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Anticipazioni dal 78

Precariato, multinazionali e resa a macchina della vita


Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi
Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi

In un momento di revisionismo storico sui fascismi e sulle lotte degli anni ‘70 la ricerca d’archivio permette l’emersione di memorie passate, possibili di riattualizzazione. Il testo di Ivan Bedeschi si muove in questa direzione affrontando alcune delle prospettive, oltre che delle potenzialità, del lavoro politico sugli archivi condotto attraverso il paradigma estetico. Propone qui una disamina di estratti commentati del frangente extraparlamentare che costituiscono basi solide sulla deterrenza del potere nel contesto internazionale e nazionale in relazione al lavoro, in particolare operaio. La postura dell’artista non può essere solamente estetica ma analitica, mossa dal desiderio di riappropriazione di quei poteri collettivi autonomi sottratti dal capitalismo. Non si tratta quindi della sola strutturazione di apparati teorici, né di un luogo di sola enunciazione di processi organizzativi, rivendicativi e conflittuali - come tali, attraversati da soggettività eccedenti e incatturabili, che pure ne hanno alimentato la ricerca - ma piuttosto di un’operazione continua di de-archiviazione.

In questi tempi di fascistizzazione della società, segnati da molteplici regimi di guerra simultanei, dalla violenza dello Stato, dall’estrattivismo delle nostre vite e delle nostre lotte, questi documenti ci parlano ancora oggi delle sfide del presente, di cosa significhi fare controinformazione (o come si preferisce adesso, di contronarrative antiegemoniche), di processi di archiviazione militante, del precariato culturale e della necessità di un nuovo internazionalismo. Perché rivendicare ancora un’arte separata dalla materialità di queste lotte?

 

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Si dice che il precariato sia una determinazione costituita dall’apertura dei mercati in seno alla globalizzazione. Nuove polarità si combattono sul fare produttivo, mettendo a repentaglio una certa linearità temporale di passati ormai non più prossimi. Da una parte, la stagnazione degli stipendi nella loro contrattazione a ribasso, dall'altra la frammentazione dei saperi, nella mancata possibilità di continuità rendicontata di figure professionali stabili, nell'onda di mercati volubili cui crisi si ripercorrono di decennio in decennio.

In questo, il lavoro culturale prosegue alla stregua di tutti gli altri, nella totalizzante fatica del quotidiano che vede giovani lavoratori e lavoratrici, estenuarsi per risparmi che non riescono a essere raccolti, a spese che difficilmente riescono a essere concluse, ad un progresso che va difeso come resistenza. É in questo contesto che il denaro crea possibilità di diritto. Senza il primo anche il più caro dei desideri, come la possibilità di cura di un affetto in fin di vita, rientra nel contesto dei privilegi, come del resto le cure per il sé e il tempo necessario al desiderio, al progetto che potrebbe essere risolutivo, almeno in parte, a tale scopo.

È dunque comune percezione di fallimento, di impossibilità e rabbia dato lo sforzo continuo, che forza il precariato globale, sebbene con diversi stadi di presunto benessere, tra una singolarità e l’altra, al costo delle vite e della mancata conquista delle proprie possibilità, dei luoghi necessari alle comunità in potenza.

Si denomina così il caratterizzarsi dell’impossibilità posta del diritto, anche di quelli definiti inalienabili per le possibilità umane.

È dunque chiaro, che questa continua messa a fatica del soggetto subordinato sia una distintiva disposizione attua al controllo, all’adesione al potere del non potere, alla legittimazione del fare capitalista, nel contesto della resa a macchina della vita.

 

È dal contesto extraparlamentare europeo degli anni ‘70, che il rapporto tra vita e macchina, tra lavoro e resa a macchina delle vite, si sviluppa in contenuti decisivi. Le macchine desideranti come chiave teorica atta alla descrizione del divenire-macchina della vita nel sistema neoliberale sono solo una delle voci a riguardo. Tale rapporto porta però a una precisa constatazione, quella della resa a merce della forza lavoro, nel proseguire dello sviluppo industriale, all’accelerazione della capacità produttiva, e dunque alla definizione di nuovi processi di soggettivazione.

Siamo macchine che guidano macchine, che usano macchine, riparano macchine. Siamo macchine del consumo, macchine-flusso, macchine di propagazione della merce, macchine della merce, macchine riproduttive, macchine cui cure necessitano macchine, di fatto macchine in un trans-umanesimo già applicato, in quanto macchine utili alla tecnologia del denaro.

In questo l’impossibilità totalizzante dell’ «avere diritto» dove la macchina-Stato, costituita di per sé sulle basi di aventi o non aventi diritto, si struttura in diramazioni dispositive definite a favore della subordinazione.

 


Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi
Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi

 

Nel numero 20 del maggio 1981, Controinformazione apre con una proposta di ricerca collettiva intitolata Classe operaia, etica del lavoro, proletariato pericoloso. Si legge tra le prime righe:

Il popolo lavoratore viene modellato come soggetto morale, rispettoso della proprietà altrui. Gli strumenti di lavoro che quotidianamente lo circondano appartengono al datore di lavoro; la reverenza nei confronti delle macchine simboleggia l’ossequio verso chi le possiede. Onestà, disciplina, dedizione al risparmio sono elementi connaturati alla fabbrica trionfante e fanno da solido spartiacque tra lavoro e indolenza. (...) L’ordine produttivo, ora, impone una definitiva revisione di quei legami di solidarietà, una classificazione più rigorosa dei soggetti che fin lì erano convissuti nello stesso marasma sociale e avevano condiviso la medesima cultura.

Classe operaia, etica del lavoro, proletariato pericoloso, Controinformazione, Periodico di informazione, N°20, anno 8, Milano, maggio 1981, p. 2.



Le macchine sono ovunque, ne abbiamo dedizione, cura, proprietà, ogni oggetto prodotto e produttivo ne caratterizza un utilizzo proprio al solo scopo cui è di progetto. La fabbrica è trionfante, solida all’imperialismo e a nuovi processi di colonizzazione dell'umano e non, dove la sua totalità ne descrive la trasparenza. L’indolenza, l’apatia, rigetta culture, solidarietà, propone individualismo, recide le possibilità in divenire. Il soggetto morale continua nella propagazione del consumo, di dati atti alla sua sorveglianza, nella pervasività stantia dell'impossibilità. Così, “principio morale e prassi politica vengono a fondersi. L’operaio professionale del XIX secolo contiene in sé sia il principio della creatività negata, sia il principio della realizzazione futura. Entrambi si esercitano e si tramandano in virtù del lavoro produttivo”. (ibid.4)

Una serie di dispositivi toccano quindi le culture popolari, nel ridosso di fatiche dettate da economia, burocratizzazione delle vite (profilazione, controllo, attuazione di leggi, più o meno liberticide). La strutturazione a macchine del vivente come capacità di lucro produttivo si inserisce nell'avvenire di tecniche che acuiscono ancor di più le differenze di status, promulgando divisione in classi, nel contesto intersezionale. I processi di soggettivazione dunque, nel loro continuo mutare, hanno la necessità di essere portate ad un grado zero, autocoscienza, partecipazione e messa in crisi dei fare dispositivi ne sono possibili soluzioni. Abbiamo molto, se con attenzione non ci facciamo abbagliare da lumini di presunta redenzione. Ci resta la resistenza.

 

L’anticipazione da parte del movimento extraparlamentare dei ‘70 di descrivere la capacità produttiva di modellarsi e rimodellarsi a favore di una maggior centralizzazione dei profitti in seno alle multinazionali è di particolare rilievo. Le sensibilità a riguardo toccano coloro che abbracciavano l’idea di una continua destabilizzazione del contesto statale, i compagni persi, ma anche tutto un frangente non riformista che metteva per iscritto i cambiamenti del contemporaneo a loro prossimo, proprio di quella Critica del quotidiano di Lefebvre.

A tale scopo, mi sento di citare due documenti del 1978, il primo delle Brigate Rosse, Risoluzione della Direzione Strategica di febbraio 1978 e un ultimo, del Giornale della Brigata d'assalto Dante Di Nanni. Personalmente, rispetto gli avvenimenti di quell'anno, abbraccio l'idea di Umanità Nova sul rapimento Moro, cui riscrivo parte di un testo del 16 aprile 1978: “Il rapimento Moro è la prima fase, crediamo, della risposta che le BR intendono dare allo Stato cercando di disgregare l'apparato dirigente DC di cui Moro è il massimo esponente e depositario degli accordi con il PCI. Questo discorso pensiamo rientri nella logica di compagni che hanno deciso di opporre a uno Stato un altro Stato, ad un apparato un altro apparato, in una prospettiva selettiva e verticale, per lo ‘Stato proletario’ che non possiamo politicamente condividere, in quanto anarchici.” (Umanità Nova, Settimanale Anarchico, N° 14, anno 58, 16 aprile 1978. Copia conservata all’Archivio G. Pinelli, Milano)

 

C’è di più. Nel paragrafo Lo Stato imperialista delle multinazionali non è fascista né socialdemocratico del documento di febbraio, si legge riguardo le multinazionali:

 

Il concetto di fascistizzazione appare non solo riduttivo ma anche falsante (corsivo mio,ndr) nella misura in cui non ci consente di cogliere il nuovo carattere della «violenza concentrata» né il rapporto che essa stringe con le pratiche di integrazione riformista.

Lo Stato imperialista delle multinazionali non è fascista né socialdemocratico, Controinformazione, Periodico di informazione, N°11-12, anno 5, Milano, luglio 1978, p. 79. Copia conservata all’Archivio Primo Moroni, Milano



Reputo qui l’idea «falsante» mal posta in questo senso. La violenza concentrata, è inter e extra relazionale ad un sistema di potere. Questa, anche nei suoi apici meno nefasti, tocca l'idea di supremazia di un certo essere umano sul vivente atta al dominio della totalità della produzione, estensione che ci permette di comprendere quanto la società dei consumi sia l'attuazione continua dei fascismi. Lo sfruttamento e i privilegi si rivolgono sempre alle possibilità di consumo, anche nell’idea di un capitalismo reputazionale. Ed è proprio la messa a consumo delle vite il primo processo di soggettivazione che mostra i fascismi come strutturazione ultima del capitalismo, la sua vera natura.

Il fascismo dello Stato totalitario determina il rapporto tra Stato coloniale e la propagazione di nuove tecnologie del consumo. È infatti grazie alle nuove tecnologie che il potere totalitario può diramarsi e propagandare, potere perseguito attualmente in atto in scala globale, nella società spettacolare. La violenza concentrata è razzismo, sessismo, abilismo, classismo, colonizzazione. La convivenza e l’attuazione di risoluzioni fasciste nei regimi democratici esplicata attraverso il consumo è l’epicentro di guerre, repressione e genocidi, dimostrazione del proprio divenire. E prima di ogni macchina bellica, è il vivente ad essere consumato, deturpato, ucciso. Per questo regimi produttivi e fascismo non potranno mai essere scissi, pur solo nella risoluzione gerarchica di tali costituzioni, in cui l’accentramento dei poteri denomina uno scadere delle possibilità del diritto di vita.

 

Così, concludendo l'analisi sulla falsante idea di fascistizzazione dei grandi gruppi economici, non possiamo che considerare i fascismi come totalità cui relazioni di potere si adeguano, partendo da relazioni personali a quelle di più ampia scala decisionale.

Nel contesto contemporaneo, è chiaro che i fascismi siano alla stregua di ogni singolarità e di ogni macro economia. In questo caso dunque, non sarebbe un processo del divenire-fascista del sistema multinazionale, ma una parte propria di quest’ultimo.

 



Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi
Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi

 

Continuando invece la lettura al paragrafo La ristrutturazione industriale si legge:

Di pari passo alla riorganizzazione dell’apparato politico militare, la ristrutturazione dell’apparato economico marcia sulla strategia dei grandi gruppi multinazionali che hanno come obiettivo primo quello di riassestare i meccanismi di accumulazione del capitale ormai entrati profondamente in crisi, aumentare i propri profitti, instaurare nuovi livelli di sfruttamento e di controllo sulla classe operaia e nuove forme di dominio sui popoli dei paesi in via di sviluppo. (...) In sostanza, il dilagare della disoccupazione, che è la conseguenza prima della crisi economica è ormai diventato un dato strutturale e progressivo, sia perché la crisi economica tende sempre più ad aggravarsi e si continua ad assistere alla costante chiusura di interi stabilimenti, sia perché l'aggiornamento tecnologico e la riorganizzazione del ciclo produttivo dentro le fabbriche non porta allo sviluppo di nuova occupazione, ma ad un aumento dello sfruttamento e all'espulsione costante e progressiva degli operai.

ibid. pag. 80.



Molto è stato scritto sulla transizione del sistema liberale all’attuale. Sicuramente l’idea di ristrutturazione industriale che comprendeva nuove strategie produttive e riproduttive in seno al capitalismo ne è un’esemplificazione chiara. L’espulsione progressiva degli operai, la chiusura degli stabilimenti si deve alle nuove possibilità tecniche che il mercato presenta internazionalmente. Disoccupazione e precariato sono alla base di tale sviluppo.

 

Sulla base internazionalista, il fare imperialista delle multinazionali, nella uguale definizione dei weatherman statunitensi degli Stati imperialisti è la costante di tale strutturazione. Lo Stato ne ha possibilità di delega e nella sua realizzazione deve solo porre l’accento sul proprio disporsi, nel legiferare, nell’obbligare l’alterità alla continua messa in crisi delle soggettività. L’apparato imperialista è dunque spostato da un accentramento nazionale alla sua migrazione internazionale grazie nuove tecnologie di accumulazione, macchine del profitto, le multinazionali.

È il rapporto tra sviluppo tecnologico e merce che ne determina le conseguenze. Nel documento si attesta quanto il Fondo Monetario Internazionale e Comunità Economica Europea determinino nuove direttrici, dove tecnologia, informatica, elettronica, chimica, automatizzazione, industria bellica, ricreino il contesto di nuove lavorazioni ad alta intensità di capitale, nella «riconversione della piccola e media industria in funzione delle multinazionali e (...) [nella] aggregazione di più fabbriche che vanno a formare interi settori produttivi dei grandi gruppi industriali». (ibid. pag. 80) Stesso Fondo contestato a Genova nel 2001, e da ciò che erroneamente venne definito movimento No Global.

Accentramento della knowledge e di potere industriale, ricreano così il tessuto produttivo, nella mancanza da parte di lavoratori e lavoratrici privati o dipendenti di necessario potere contrattuale a difesa e tutela del diritto e del salario. Possibilità di appalti e subappalti dove la ristrutturazione industriale, pone così da una parte l’internazionalizzazione del fare produttivo con la conseguente deresponsabilizzazione delle proprietà sulla classe lavoratrice, dall’altra tocca le possibilità di aggravare le condizioni dello stato sociale, sempre più teso alla privatizzazione del comune e alla scissione in fare repressivo delle collettività con cui le società post belliche hanno potuto conquistare la propria Storia.

È così che il doppio stato repressivo si conclude nella rappresaglia del diritto di vita, espropriando con empietà le macchine viventi. Flusso della tecnologia del denaro, macchine merce, cui processi di soggettivazione guidano alla risoluzione del fare normativo, proprio del potere subordinate.

 



Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi
Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi

 

Chiudo con alcune righe della Brigata d'assalto Dante Di Nanni che nel 78 si chiede in quattro punti schematici cosa caratterizzi il quadro internazionale dell'epoca. Quest'ultimo nei due punti, sui quattro, a seguire.

 

Punto b: Il carattere durevole delle condizioni che sono alla base della caduta tendenziale del saggio di profitto, e cioè l’aumento dei prezzi delle materie prime e il carattere caotico della concorrenza fra i capitalisti. Elemento decisivo nel rendere durevole questa situazione è la lotta dei popoli e dei paesi per l'indipendenza dall'imperialismo, per la libertà e la lotta del proletariato per la sua emancipazione dalla schiavitù del lavoro salariato. (corsivo mio)

 Giornale della Brigata d’assalto Dante Di Nanni, in Controinformazione, Periodico di informazione, N°11-12, anno 5, Milano, luglio 1978, p. 103. Copia conservata all’Archivio Primo Moroni, Milano.


Punto d: La debolezza dei rivoluzionari è la causa della sconfitta e degli arretramenti di cui abbiamo parlato. Le nostre debolezze (di cui ci facciamo carico) riguardano sia la teoria che la pratica rivoluzionaria; in particolare l'egemonia del riformismo su larga parte del proletariato internazionale contribuisce a creare un clima di isolamento e di incertezza sul quadro internazionale profondamente negativo. È prioritario ribadire il rifiuto dell'identificazione della linea rivoluzionaria con lo Stato (sia pure socialista) o con un partito. (Corsivo mio) Se è vero che il proletariato non ha confini, è pure vero che oggi di fronte alle iniziative dell'imperialismo non esiste una risposta internazionalista efficace e coordinata. In fondo le stesse penose vicende della resistenza palestinese hanno messo a nudo il livello basso e debole dell’impegno rivoluzionario internazionalista, o meglio, più che altro la scarsa incisività della mobilitazione quando non è sorretto da una strategia rivoluzionaria generale.

ibid, pag 104.

 

Ora, sembra essere fuori luogo concepire una strategia rivoluzionaria generale, posta nei termini in cui l’internazionalismo di allora si confrontava, considerando tutto l’apparato anti-normativo che giustamente si propaga oggigiorno. Ciò non toglie che il mutare dei contesti, si traduca in nuovi termini, strategie, tra possibilità e impossibilità, tra azioni e modalità repressive. Nel frattempo, considerare le storie passate o presenti, può porre indici sulla loro riattualizzazione, nel riconsiderarle, nella loro riscrittura, funzionalmente a ciò che il contemporaneo presenta.

 

Così le storie continuano nel proprio proliferare, costituendo dibattiti utili a comprenderlo.

Quali futuri per le soggettività anti-normative contemporanee, nel concomitarsi di tali passati, nelle anticipazioni lucide del mondo vissuto, nel proprio riferirsi o meno a ciò che il passato ha proposto?



Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi
Ivan Bedeschi, La Strage è di Stato, 2025, serie, collage su carta, 21x29,7cm. Courtesy Ivan Bedeschi

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Ivan Bedeschi (Vimercate, 1994). Grazie a una Borsa di Studio accede al Biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali alla NABA di Milano. Interessato al rapporto tra ricerca d’archivio e possibilità estetiche traduce contenuti contro-egemonici in lavori artistici che riguardano i temi delle Istituzioni della violenza. Collaborando con archivi militanti, tra ricerca e produzioni grafiche, ha realizzato alcune copertine per DeriveApprodi. Ha tenuto corsi di filosofia contemporanea comparata alla grafica editoriale e conferenze con il gruppo di ricerca Millepiani. Selezionato da Ana Dević, Andris Brinkmanis e Marco Scotini per un progetto curatoriale durante il periodo pandemico, ha partecipato ad alcune esposizioni personali e collettive, a Milano e hinterland.


2 commenti


kadihi7643
6 giorni fa

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Jordan Michael
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6 giorni fa

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