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Sinomorfismi

La Cina e la ricerca del tempo perduto



La fantascienza cinese, proprio come la new wave fantascientifica occidentale degli anni Sessanta, sembra oggi porsi come vettore del futuro, ma con una consapevolezza sul proprio ruolo e potenziale storico che mezzo secolo fa era mancata. Se per via delle ideologie preponderanti, a ponente ci troviamo a vivere inaspettatamente in narrazioni risalenti a quasi mezzo secolo fa, la Cina sembra aver compreso esplicitamente questo meccanismo, proponendosi di governarlo, fino a trasformare la science fiction nell’unica sociologia possibile, anche se forse non in quella auspicabile. Oggi la Cina è impegnata in una lotta contro gli Stati Uniti per il predominio dei mari e dello spazio extraatmosferico, ma parimenti anche della narrativa d’anticipazione. Sì, perché chi domina la fantascienza controlla il dominio del tempo.

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Il sostrato disvelato del mondo: allenarsi con gli stereogrammi

In un articolo per «Machina» di qualche tempo fa cercai di delineare le suggestioni narrative che, contenute nella fantascienza degli anni Sessanta, giungono fino a noi per dare forma all’ideologia preponderante del presente: quella neolibersita [1]. È il caso questo, in cui la letteratura di genere assurge al compito di assorbire tendenze in gestazione, di dare senso a costellazioni di fatti poco visibili, nell’interpolazione definitiva di una sorta di gestalt emergente: proprio come accade quando si osserva uno stereogramma dal cui rumore, indistinto, dal fruscio, emerge improvviso e inatteso l’ordine di un oggetto tridimensionale [2]. Un esercizio utilissimo per allenare la mente alle connessioni e non meno utile a farsi venire il mal di testa. In quella sede argomentavo come tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, si affollino una serie d’eventi socialmente solo tratteggiati (costellazioni dotate di flessibilità finalistica), dapprima decodificati dalla fantascienza e poi da questa strutturati, solidificati (fine della flessibilità, stabilità strutturale). Da qui l’errore che c’induce a volte a credere che la fantascienza racconti il presente in chiave metaforica, o celata, quando in realtà essa resta fedele a se stessa prefigurando il futuro a partire da elementi del presente, in un dato momento, meno espliciti. Il modo d’impostare questa argomentazione si deve in primo luogo al metodologo Thomas Khun e in parte ai suoi epigoni della scuola costruttivista [3], ma anche a René Thom. Dalle pagine dei libri di genere, poi queste forme ideologiche solidificate (letterificate) scivolano nuovamente via, invadendo il contesto sociale che le fa proprie vestendosene, rispecchiandosi in esse, e in queste riconoscendosi, come prodotti preconfezionati da indossare. È il meccanismo del cacciatore di tendenze (cool hunting) che negli anni Novanta affascinò tanto la sociologia dei consumi: colui che ruba dalle culture metropolitane gli stilemi spontanei, le materie prime, per poi immetterli sul mercato come prodotti lavorati, trasformati in oggetti di consumo da rivendere a quelle stesse culture che li hanno generati. È il meccanismo già ben chiaro a Marx della sussunzione reale. Ma nel caso della fantascienza il dispositivo si dispiega nella dimensione ideologica che è cosa non aliena, ma ben più articolata, del più semplice circuito di circolazione delle merci. Lì, diviene un tutt’uno con le strategie della formazione, della cultura e del consenso che oggi assumono prevalentemente la forma distopica che quei libri prefiguravano. La distopia materiale è poi rintracciabile nelle condizioni sociali generate a fronte di un’accelerazione, in parte già in atto, a cui le economie occidentali si dichiarano da tempo pronte a sacrificare forme sociali meno acuminate, giacché d’ispirazione mutuale. La gestione politica del vaccino anti covid, ad esempio, non affiancata da un significativo potenziamento delle strutture sanitarie e dei servizi, ha esattamente questo significato: soluzioni rapide di corto respiro, efficienti prioritariamente per far uscire dalla crisi il modello di sviluppo che sempre più incessantemente, date le sue priorità dromologiche, la crisi produrrà. In queste condizioni, una soluzione valida sul lungo periodo non è plausibile (o comunque avversa allo smaltimento dell’ingombrante stato sociale), quindi meglio affidarsi a strategie d’eccezione e d’emergenza barattate con le certezze, seppur di classe, offerte dallo stato di diritto. Al culmine di questo processo io intravedo la space economy, locuzione elegante ed edulcorata per definire il neocapitalismo in fase di ristrutturazione ed espansione, che per fare ciò guarda, anche, alle risorse strategiche e materiali collocate nello spazio extraatmosferico, senza risparmiare, per raggiungere il proprio obiettivo, mutamenti ecologici drastici alla biosfera terrestre. Scritture emergenti: l’escatologia del circuit bending Dalla rottura sintattica di James Ballard con la tradizionale fantascienza anglofona, che s’attestava piuttosto uniformemente sui temi classici delle grandi distese di spazio e di tempo, ridotte spesso a un O.K. Corral del cosmo [4], fino alla new wave letteraria introspettiva, dove per primo l’autore inglese osò spingerla, si produrrà un’onda sismica che darà vita al Cyberpunk degli anni Ottanta. Da lì ancora fino all’oggi attraverso l’Accelerazionismo e il Singolarismo attratti da prefigurazioni, scansioni temporali, sempre più compresse, che in alcuni casi supportano, in altri ispirano, ideologicamente le sfide e le priorità proprie del neoliberismo [5]. Nell’articolo per «Machina» con cui ho aperto segnalavo anche una possibile via di fuga (non l’unica ovviamente), un’ucronia che si spalanca nella uniforme distesa distopica. Si tratta di un frammento fuori posto che riemerge dal passato e si colloca, in penombra, nella focina generativa, esattamente tra le pagine di quei libri che aprono la strada all’ideologia del contemporaneo: un racconto di Alfred Jarry, Commento inteso alla costruzione pratica della macchina per esplorare il tempo (1899) inserito in una raccolta che segna l’inizio della new wave fantascientifica The Traps of Time (1969). A rileggerla oggi, inoltre, tale ucronia trova delle ulteriori pezze d’appoggio nella recente necessità espressa da Carlo Rovelli di rievocare il dibattito leninista sull’empiriocriticismo, collocandosi dalla parte di Bogdanov (la realtà come organizzazione arbitraria di una collezione di sensazioni) e non da quella di Vladimir Il’ič Ul’janov (scientificità dell’ineluttabilità storica) [6]. Così facendo, credo, si spalanchi la strada all’idea fortemente politica di egemonia giustapponibile al reale: la verosimiglianza. Quella collocazione di Jarry corrisponde a una sorta di distorsione dello spaziotempo, simile a quando si manomette arbitrariamente il circuito elettrico di un giocattolo musicale. La pratica si chiama circuit bending e consiste nel cortocircuitare il funzionamento di un oggetto per farlo suonare, sorprendentemente e in un modo del tutto inatteso (sfruttandone i glitch), in una maniera affatto prevista dal progetto originale, così da dispiegare le potenzialità, spesso ululanti e urticanti, proprie del macchinico [7]. L’episodio della serie Ai confini della realtà intitolato Sogno o incubo (1985) è una ottima rappresentazione di questa finestra prodotta dal glitch, che si apre sulla vera forma del mondo o che, per lo meno, ci induce a pensare che la sua reale forma sia un’altra da ciò che percepiamo [8]: se le cose celano funzioni e presenze invisibili (glitch), forse allora alcuni eventi potrebbero essersi svolti in maniera diversa da come li ricordiamo. La perdita d’anamnesi sociale, la memoria glitchiata, si porrebbe quindi all’origine dell’ucronia di cui tutti siamo fiancheggiatori attivi: la sensazione di vivere dentro una realtà verosimigliante che fiaccamente subiamo, invece di approfittare del suo attributo più evidente, la sua disponibilità a essere riorganizzata, la sua continua riscrivibilità. La paranoia tipica dei racconti di Philip Dick diviene allora un meccanismo quotidiano che possiamo flaccidamente intravedere (come nel caso del cospirazionismo) o un invito esplicito a fare della consuetudine un utilizzo non previsto, tradendo la sua scontata destinazione d’uso: il conflitto. Nello stesso articolo, a cui rimando per completezza, è però colpevolmente assente uno sguardo sulla prefigurazione non occidentale e in particolare una panoramica sulla Cina. Accelerazione: la diplomazia del bike massacro Per anni, la Cina è stata da un lato materia pregiata per cultori e, dall’altro, per i non addetti ai lavori, massa indistinta di pedalatori. Tra le tante, una sua interessante rappresentazione ci arriva dal film 2+5 missione Hydra [9], film italiano di fantascienza del 1966, che ci consegna la fotografia della percezione dell’epoca precedente a quella Deng Xiaoping. Quest’ultimo, con la sua via cinese al comunismo, crea le condizioni che porteranno, nel 2002, la Cina ad aderire all’Omc (Organizzazione mondiale del commercio), evento da cui prende avvio quella scalata, oggi sotto gli occhi di tutti, che la porterà a divenire il primo competitore mondiale degli Stati Uniti. Certo non si può affermare che questa accelerazione, come spesso accade, non abbia richiesto un immenso tributo di vite, prezzo pagato in termini di scomparsa di diritti e di cancellazione di culture d’appartenenza. Quello stesso prezzo, ponderato alle diverse condizioni storiche e geografiche, che s’appresta a pagare l’Occidente alla sua fase distopico-accelerata. Il riferimento a me più caro è alla politica del bike massacro. Un gruppo di biciclette moddate, modificate se non di sana pianta inventate, si affrontano su un circuito irto di insidie, identificato da un nome che evoca terrore, riportando alla mente quello di un rito propiziatorio Inca: bike massacre [10]. Ma nella dinamica del torneo, sono solo le alleanze tra ciclisti che contano davvero e spesso tutti finiscono con l’allearsi con tutti, così da rendere il massacro solo rituale: a patto forse di rimetterci l’integrità strutturale della bici e, di tanto in tanto, qualche dente. Piccola e graziosa metafora, allora, del gioco della globalizzazione, in cui alla fine ci si ritrova tutti dalla stessa parte a condurre il mondo nella medesima rovinosa direzione. Stessa logica trialettica contenuta nel celeberrimo gioco del calcio a tre porte, in cui solo la cooperazione estesa, nel bene e nel male, può evolvere la tattica delle componenti in campo. Quindi, se la questione della collocazione umana, nel dispositivo cinese, nella sinomacchina spinta all’estremo, rimane oggetto di repressione e censura nei confini nazionali e di condanna, spesso anche ipocritamente strumentale, al di fuori di essi, se ne trova traccia nell’emergente comparto della letteratura fantascientifica che inizia, anch’essa, a mettere caparbiamente in crisi il primato dell’area anglofona e di conseguenza la sua capacità di generare senso e consenso. Lo fa anche sorretta da una trasversale e ancora sotterranea spinta europea (con all’interno l’influente e cangiante geopolitica russa) in parte attratta dalle correnti avverse alla Nato, cioè, in sostanza, avverse alle ingerenze sempre meno sostenibili da parte degli Stati Uniti. Tanto più che a oriente si delineano nuovi attrattori supermondiali con approcci differentemente espansionistici, e culture dalle forme seducentemente esotiche, neanche troppo aliene dalle nostre. Vite pieghevoli: come si confeziona un leporello Qualora per necessità o diletto voleste confezionarvi un libricino con le vostre mani, vi consiglio il modello leporello. Su una lunga fisarmonica di carta (ottenuta incollando i lembi dei fogli), si appiccicano due pezzi di cartone più spesso, le copertine, foderate a loro volta con un cartoncino decorativo: e il libro è fatto. È ancora Dick a ricordarci che quantunque il nostro mondo inizi a sgretolarsi, giacché negli stati d’eccezione accelerati non valgono più i sistemi di riferimento inerziali, è il caso di aggrapparsi con forza a minute pratiche d’artigianato, onde non smarrire il senso di realtà: attributo arbitrario, questo, con cui per comodità continuiamo a identificare la nostra collezione di sensazioni sempre mobili, onde renderla generalizzabile; checché ne dica Rovelli. Possiamo dedicarci a riparare biciclette, oppure a comporre leporelli, che a quanto pare qualcosa hanno a che fare con l’attribuzione a intermittenza dei diritti umani, strettamente commisurati alle urgenze del profitto e alla sua ininterrotta ricerca di strategie per eludere l’odioso inconveniente della limitatezza delle risorse del pianeta. La strategia della fisarmonica, quindi, come meccanismo di perenne dilatazione e compressione degli spazi e dei tempi di vita, e valorizzazione della loro interdipendenza, sempre più esplicita, con giurisprudenze mobili, dinamiche almeno quanto gli indici di borsa. Leggi specialissime, che si materializzano nella modulabile Pechino pieghevole di Hao Jingfang (2020). I pieghevoli, allora, come genere letterario dotato di attributi propri e specifici: didascalica capacità di far convivere l’esigenza di un’immensa massa critica di consumatori, da foraggiare mediante il business del supporto vitale, e necessità di stipare la stessa in uno spazio fisico e politico-rivendicativo d’ingombro minimo: l’ecosistema ad ampiezza variabile, con tempi di vita commisurati all’appartenenza di classe. Ma se la fantascienza cinese o, come qualcuno preferisce definirla in modo più esteso, il sinofuturismo, guarda agli sviluppi sociali prossimi e venturi (si veda ad esempio il film Dragofly eyes, 2017, realizzato con immagini di telecamere di sorveglianza), occorre sapere che almeno dall’anno 2000 esiste un’intensissima, e non necessariamente compromettente, commistione tra fondi statali e sviluppo e diffusione di questa narrazione di genere; si veda ad esempio l’attività dell’Istituto Confucio in Italia e nel mondo o ancora le cattedre di narrativa fantascientifica della Beijing Normal University. Critica o no che sia, la fantascienza cinese diviene allora strumento d’egemonia, di imperialismo, giacché proprio come accadde negli anni Sessanta occidentali, essa legge tendenze, metabolizza prospettive, confezionando il domani. Il parallelismo tra quanto accaduto col Cyberpunk e quanto accade oggi col sinofuturismo è rafforzato dalla definizione che il critico letterario cinese Song Mingwei ha fornito per questa nuova ondata di fantascienza: Chinese new wave (中国科幻新浪潮). Chi controlla la fantascienza controlla allora il dominio del tempo, tanto più in una nazione che, alla ricerca del tempo perduto, lavora parimenti al dominio sul mare e nello spazio extraatmosferico; tanto più in un contesto sociale in cui la fantascienza propone numeri di vendita che la collocano al di fuori dalla ristretta letteratura di genere e già a suo agio nel mainstream. Per questo motivo la narrativa d’anticipazione cinese è oggi in rotta di collisione con le fantascienze occidentali. Si veda ad esempio il film The Wandering Earth (2019) in cui la presenza di figure predominanti statunitensi o occidentali in generale è pressoché assente, a differenza ad esempio, di quanto avveniva nei film giapponesi di fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta in cui gli scienziati nipponici erano sempre accompagnati (certificati) da colleghi occidentali. Sociologia cinese: guardare attraverso un viewmaster in bachelite La fantascienza in Cina è la forma di sociologia predittiva, non interessata a cogliere le tendenze che da qualche parte del pianeta prendono forma [11], quanto a porle scientemente in essere. Si tratta, credo, dell’unica forma di scientificità a cui le scienze umane possano aspirare, giacché incapaci o impossibilitate a semplificare il proprio oggetto d’analisi, a differenza di quanto riesce disinvoltamente alle scienze naturali. Alle prime rimane quindi l’opzione di forgiare il proprio obbiettivo percolandolo, in seguito, attraverso artefatti culturali, fino ad entrare nella testa e nei singoli progetti di vita di ogni individuo. In questo modo, la predittività delle scienze sociali diviene perfetta, e su ciò tanto Rovelli che Bogdanov che Gramsci sarebbero d’accordo. Nel frattempo, la Cina ha risalito la china della sfida spaziale acquisendo un posto di rilievo sulla Luna e su Marte, iniziando a occupare luoghi d’eccellenza strategica nello spazio profondo, comprimendo in una sola veduta, talvolta inevitabilmente un po’ posticcia, un po’ da bazar di prodotti casalinghi, anni di sviluppo sociale e tecnologico, ereditato forzatamente dall’Occidente e, in molti casi, efficientato. Un diorama in miniatura, un po’ come quando si guarda all’interno di un viewmaster in bachelite, facendo esperienza dell’impressione voyeuristica di spiare un mondo dal buco della serratura. Proprio come accadeva nel bellissimo racconto di Dick Un autore importante (1954) in cui fraintendimenti prospettici danno casualmente vita alla storia del popolo ebraico. Attenzione quindi ai viewmaster: per garantire l’effetto profondità utilizzano lo stratagemma di tenere un oggetto sempre in primissimo piano. Tattica che pare descrivere perfettamente il ruolo della fantascienza cinese. Note [1] C. Pongide, La fantascienza che gira le viti del mondo, «Machina», 26 febbraio 2021. [2] Redazione, 33 stereogrammi da scoprire, «Wired», 1 febbraio 2016. [3] Si veda: W. Bijker, La bicicletta e altre innovazioni, Milano, 1998. [4] Si veda, in questo senso, il bel film Atmosfera zero, 1981. [5] C. Pongide, Ideologia del presente: il futuro distopico, «Quaderni d’altri tempi», 5 giugno 2018. [6] M. Chehonadskih, I compagni del passato: l’Illuminismo sovietico tra negazione e affermazione, (Parte I e II), «Machina», 5 ottobre 2020. [7] R. Ghazala, Circuit-Bending – Build Your Own Alien Instruments, Hoboken, 2005. [8] L’episodio citato: Sogno o incubo, vado.li/sognooincubo, 9 maggio 2017. [9] L’origine del programma spaziale cinese, vado.li/astronavecinese, 29 marzo, 2021. [10] L’invenzione del gioco si deve, con ogni probabilità, all’agitatrice culturale Nikky Valis Cranti. [11] Rendendo necessaria una revisione del sorprendente testo del brano Notte Di Note, Note Di Notte, di Claudio Baglioni: «In questo stesso istante tra la California e il Giappone, c’è chi inventerà il futuro».



Immagine di copertina di Artificina. Fantascienza contemporanea cinese, Future fiction


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Cobol Pongide è scienziato, ufociclista e musicista. Lavora nel campo delle tecniche di mappatura dello spazio, del cicloattivismo e della definizione dello spazio extra atmosferico come terreno di conflitto. Ha pubblicato (con Daniele Vazquez) Ufociclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile (D editore 2018); Marte oltre marte. L’era del capitalismo multiplanetario (DeriveApprodi, 2019); Cosmo anticapitalismo. Critica e conflitto nel tempo della conquista dello spazio (Novalogos, 2021).

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