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Ritratto di Walter Rodney



Pubblichiamo un ritratto di Walter Rodney (Georgetown, Guyana 1942- Georgetown, Guyana 1980, intellettuale e militante nero la cui vita e il cui pensiero si sono sviluppati fra America, Africa ed Europa.


* * *



«How long shall they kill our prophets while we stand aside and look?»

Bob Marley Redemption song




Walter Rodney è stato uno degli studiosi marxisti e militanti neri più significativi degli ultimi decenni. I suoi contributi teorici e politici hanno inaugurato nuovi paradigmi di ricerca, la sua vita a cavallo di tre continenti ha lasciato tracce indelebili, la sua morte ancora oggi grida vendetta.

Nonostante questo Rodney è pressoché sconosciuto in Italia. Non uno dei suoi importanti testi è stato tradotto, raramente l’ho visto menzionato o citato. Eppure la sua opera e la sua vita contengono spunti di pensiero e di lotta che stanno sullo stesso piano, per profondità di analisi, eloquenza e ricchezza, dei testi di CLR. James, Frantz Fanon, Amilcar Cabral, Angela Davis, Malcolm X. Persino in quell’importante testo di qualche anno fa, con cui Mellino e Pomella ci hanno introdotto al pensiero e alla tradizione del cosiddetto marxismo nero, il suo nome manca all’appello. Perché questo silenzio attorno alla sua figura e opera? Certo il terzomondismo non è più di moda, ma rinchiudere Rodney in quella tendenza mi sembra estremamente scorretto e riduttivo. Forse la Guyana, paese sudamericano ma caraibico per storia, cultura e sensibilità, è decisamente lontana dalle nostre antenne europee.

Panafricanismo, lotte di liberazione anticoloniale e contro il neo-colonialismo in Africa e nei Caraibi, Black power e marxismo: Rodney ha attraversato da protagonista questi contesti, arricchendoli di una passione e intelligenza straordinarie.

Questa breve presentazione non sarà esaustiva, ma è un primo piccolo contributo per fornire a chi agisce in ambito accademico e politico marxista, antirazzista e anticapitalista di lingua italiana un accesso alla sua biografia e opera, nella convinzione che mantenerne viva la memoria possa darci vigore e strumenti concettuali e analitici importanti per portare avanti le nostre lotte.

Racconterò per sommi capi l’intreccio tra percorso biografico e produzione teorica, nel tentativo di evidenziare il rapporto strettissimo tra teoria e prassi, di rendere conto dell’ampiezza dello sguardo, globale, di Rodney e di sottolineare la consapevolezza acuta del suo posizionamento in contesti specifici e diversi.

Georgetown (Guyana), Kingston (Giamaica), Londra (Regno Unito), Dar es Salaam (Tanzania), di nuovo Kingston, gli Stati Uniti, per tornare a Georgetown. Metropoli e periferie del capitalismo globale. Queste le tappe, gli snodi di un soggetto postcoloniale nero, in lotta contro il capitalismo e l’imperialismo.

Mi baserò sostanzialmente su tre testi di Rodney:

§ Walter Rodney Speaks: The Making of an African Intellectual (da qui in avanti WRS)

§ The Groundings with my Brothers (Groundings)

§ How Europe Underdeveloped Africa (HEUA)

Lascerò spesso parlare Rodney, e mi limiterò a un lavoro di raccordo.

Tutte le traduzioni sono mie.


La formazione


«Ho avuto il raro privilegio di viaggiare e vivere e lavorare con i neri in molti contesti. Questo fatto mi ha reso sensibile rispetto ai modi in cui abbiamo bisogno di comprendere la specificità di contesti differenti» (WRS, 81).


Walter Rodney nasce a Georgetown, capitale della Guyana, ex colonia dell’Impero Britannico, nel 1942. La Guyana ha una composizione etnica che vede la presenza di ex schiavi africani insieme a una nutrita percentuale di indiani, due gruppi che storicamente hanno lavorato nelle piantagioni e che spesso sono stati in conflitto. Figlio di sarti, membri di un partito multirazziale di ispirazione socialista, Rodney inizia presto il suo apprendistato politico e fin da giovane matura una consapevolezza delle stratificazioni di classe del suo paese. Studente brillante, usufruisce di una borsa di studio per andare a studiare all’University of West Indies, a Kingston, Giamaica. In Giamaica si laurea in storia, ed è pronto per spiccare il volo. Destinazione Londra.


Nel ventre della bestia: Rodney a Londra

A Londra studia storia alla SOAS (School of Oriental and African Studies), un’istituzione nata a inizio secolo per la formazione dei soggetti provenienti dalle numerose colonie dell’impero britannico. Rodney consegue un dottorato in storia e il risultato di questa permanenza nel cuore dell’ex impero è una poderosa storia dell’Africa nera occidentale, ancora oggi disponibile: A history of the Upper Guinea Coast, 1545-1800 (Monthly Review Press, New York 1989).

Rodney fa esperienza del razzismo della società inglese e cerca di approfondire la conoscenza del marxismo. Questo apprendistato non avviene in università, ma grazie a un triennio di incontri informali con CLR James e sua moglie Selma. James è stato uno degli intellettuali caraibici più influenti del secolo scorso, autore dell’imprescindibile I giacobini neri, la storia della vittoriosa rivoluzione degli schiavi di Haiti contro il colonialismo francese. Grazie a James, Rodney affina i suoi strumenti di analisi, che gli consentono di interpretare il capitalismo e la divisione internazionale del lavoro come strutturalmente legati a razzismo e colonialismo.

Razzismo e colonialismo sono strumentali al funzionamento globale del capitalismo e non meri incidenti di percorso, epifenomeni poco rilevanti. Rodney interpreta la modernità capitalistica con strumenti analitici materialisti e sviluppa una consapevolezza della reciproca e ineguale interazione tra metropoli e periferia, tra l’Europa e il mondo colonizzato. Lo schiavismo prima, la colonizzazione dell’Africa poi sono i due momenti che fondano la ricchezza dell’Europa e il concomitante impoverimento e stagnazione dell’Africa e dei Caraibi. Da questa analisi conseguono alcune decisive prese di posizione politiche persino all’interno del campo marxista:


«In questo periodo particolare, in questa epoca, credo che la nostra storia imponga a un marxista nero la necessità di operare quasi esclusivamente, e sicuramente in modo essenziale, all’interno della comunità nera. Ora io so che questo suonerà probabilmente eretico a molti marxisti perché essi diranno che il mio gruppo di riferimento è la classe operaia e che quindi devo trascendere, piuttosto che essere prigioniero delle divisioni razziali all’interno della classe, dato che queste divisioni razziali sono sostanzialmente divisioni al livello soggettivo della coscienza. Questa è la posizione tradizionale, ma non sono per niente convinto a riguardo. […] Penso che una serie di strategie scorrette derivino dall’assumere le divisioni razziali come solo soggettive e quindi come qualcosa che puoi sciogliere semplicemente con il parlare a un operaio bianco e con l’esporgli una logica superiore. Io credo che una logica superiore funzioni solo quando non vi sia un radicato interesse di classe. Forse dovrei spingermi più in là e dire, quando non c’è un privilegio storico, perché mentre potrebbe non esserci una netta differenza di classe tra un operaio nero e uno bianco, ci sono certamente differenze di privilegio storico in tutti i campi, culturalmente, politicamente, economicamente e in termini di mobilità sociale» (WRS, p 102-103).


Rodney si fa portavoce di un marxismo sofisticato, attento alle dinamiche storiche e razziali. Il suo lavoro di storico nero all’interno del mondo accademico lo porta anche ad analizzare le politiche di produzione della conoscenza, le regole a cui ci si deve attenere per essere considerati scientifici. La sua produzione accademica, lungo tutto il corso della sua vita, esemplifica la tensione fra il dover aderire a standard intellettuali non neutri, ma imposti da una classe specifica, e l’esigenza di trasformare questa conoscenza in un’arma per la lotta e per l’emancipazione. La lotta di classe è presente anche fra le mura accademiche e Rodney diventa un intellettuale guerrigliero.

Ascoltiamo le sue parole a riguardo, tenendo presente l’articolazione della posizione a cui perviene:


«Un’idea che sta prendendo piede in me, muovendomi da un’istituzione a un’altra in questo paese, è l’idea della lotta intellettuale. Tutti questi enormi grattacieli di vetro e cemento sono molto diversi dal mio ambiente normale. Mi colpiscono come se fossero la rappresentazione architettonica del potere della classe dominante. Queste istituzioni sono potenti e non dobbiamo sottovalutare la loro potenza. […] i neri sono presenti in queste istituzioni perché sono parte dello sviluppo della lotta nera, ma solo come concessione rivolta a incorporarci all’interno della struttura. Uso il termine “intellettuale guerrigliero” per rapportarmi con l’iniziale sbilanciamento di potere nel contesto dell’apprendimento accademico. Andando oltre il simbolismo dei palazzi, penso anche ai libri, alle referenze, alle assunzione teoretiche e alle basi ideologiche a cui sottostà ciò che dobbiamo imparare in ogni singola disciplina. Una volta che si comprende il potere che tutto ciò rappresenta, allora bisogna riconoscere che la nostra lotta deve basarsi su un’onesta consapevolezza di questa disparità iniziale. E questo è precisamente come opera la guerriglia. […] L’istituzione ci ha dato legittimità. Le istituzioni stesse erano legittime. Le attività in cui eravamo impegnati erano considerate legittime. Sto parlando in vista di una trasformazione di questa situazione e di una consapevolezza per cui la legittimità dell’istituzione è una legittimità specifica di classe, e noi non vogliamo accettare quella legittimità. Vogliamo trovare modi di combatterla. [...] La prima e più grande responsabilità dell’intellettuale è di lottare sul piano delle idee. Non abbiamo creato noi la distinzione artificiale tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, ma questa distinzione c’è, e se vogliamo trascenderla questo non avverrà solo perché un’intellettuale progressista diventa un lavoratore manuale. Va trascesa rompendo le modalità di una società che opera tale distinzione. Quindi il primo livello di lotta per l’intellettuale è nella propria sfera di operazione. […] Quindi l’intellettuale guerrigliero è colui il quale partecipa a questa lotta totale per la trasformazione all’interno della propria orbita. Il suo compito è di operare sotto l’egida dell’istituzione, di prendere da essa e di trasformarla nel corso del tempo. Questa trasformazione è estremamente difficile, ma prendere da esse significa prendere il meglio che essa ha da offrire il che vuol dire, in un certo senso, espropriare la conoscenza borghese. La borghesia ha già espropriato così tanto dalla classe lavoratrice. La borghesia ha le strutture e le possibilità per l’elaborazione della conoscenza. Noi dobbiamo trovare dei modi di padroneggiare quella conoscenza da una prospettiva diversa. Questo è il punto in cui la questione di classe entra nel quadro, non entrando nell’istituzione e pensare che la nostra metafisica sia migliore della loro, ma con il comprendere che c’è un sapere nell’analisi della società e che dobbiamo utilizzare quell’opportunità all’interno di queste particolari strutture dell’apprendimento e idee per sovvertire l’intenzione dei capitalisti di riprodurci come membri di una classe che li serve. La piccola borghesia è una classe di servizio, una classe manageriale per quanto concerne le idee e l’amministrazione. E a questa lotta che mi riferisco quando utilizzo il concetto di ‘intellettuale guerrigliero» (WRS, pp. 111-114).


Padroneggiare gli standard del nemico, piegarli ai propri interessi, sovvertirli.

Rodney, l’intellettuale guerrigliero, ha chiarito la propria posizione e la propria missione.


Giamaica: The groundings with my brothers e i Rodney Riots (1969)

Rodney torna in Giamaica per insegnare storia all’università.

Cosa succede quando un intellettuale accademico, oltre a insegnare in università si avventura in luoghi extra-istituzionali per parlare e confrontarsi con le masse?

L’intellettuale guerrigliero Rodney non si accontenta di rimanere nel campus, ma cerca tutte le occasioni per intrattenere rapporti con i lavoratori giamaicani e con le fasce più svantaggiate e marginalizzate della società giamaicana. Conferenze sulla storia dell’Africa precoloniale, interventi e aggiornamenti sul movimento Black power statunitense: Rodney agita e scuote le menti e, nel suo costante impegno di divulgazione anti-imperialista, fa un incontro decisivo: sono i Rasta giamaicani a intercettare il suo messaggio e a rinsaldare in lui la fiducia nel potere politico e creativo degli sfruttati, coloro ai quali l’accesso al mondo accademico, e alla mobilità sociale che ne deriva, è sbarrato. The groundings with my brothers è il risultato testuale di questa esperienza:


«...l’intellettuale, l’accademico, all’interno della propria disciplina, deve attaccare quelle distorsioni che l’imperialismo culturale bianco ha prodotto in tutte le branche del sapere. […] L’intellettuale nero, l’accademico nero deve legarsi all’attività delle masse nere» (Groundings, pp. 62-63).


Grounding with, radicarsi con, ragionare assieme, costruire assieme le fondamenta.

Nel momento in cui Rodney porta la sua conoscenza fuori dell’accademia, socializzandola, il governo giamaicano, preoccupato per le sue attività politiche extracurricolari, lo dichiara persona non grata. Nel 1968, di ritorno da una conferenza in Canada, Rodney viene bandito dalla Giamaica. L’intellettuale guerrigliero è scomodo e pericoloso. Nel momento in cui gli studenti, gli operai e i Rasta apprendono della decisione del governo, a Kingston si scatena la rivolta. Migliaia di persone scendono in piazza per protestare contro l’espulsione di Rodney dal paese. La repressione governativa e poliziesca è feroce. I tumulti passeranno alla storia come i Rodney riots.

Rodney è un intellettuale capace di mettersi in gioco e di apprendere fuori dai contesti considerati appropriati. Il Black power non è uno slogan, ma il processo consapevole dell’interazione tra intellettuali e masse, in vista della lotta per il socialismo.

Le pagine finali di Groundings riconoscono questo mutuo processo di apprendimento:


«... voglio esprimere la mia gratitudine per le esperienze che ho condiviso con loro [i Rasta] e questo perché ho imparato, ho appreso da loro, appreso veramente. Bisogna parlare con i Rasta giamaicani e bisogna ascoltarli, ascoltarli molto attentamente. […] Si impara l’umiltà, perché guarda da chi stai imparando. Il sistema dice che i Rasta non hanno niente, che sono analfabeti. […] I miei colleghi, i miei cosiddetti pari, i bianchi, la borghesia nera, tutte queste persone sono motivo di frustrazione per me e mi irritano. Faccio fatica a portare avanti una discussione con loro, ma con i fratelli neri si impara a essere umili perché ti stanno insegnando effettivamente delle cose. […] Siamo passati attraverso un’esperienza storica per cui avremmo dovuto essere completamente eliminati. Siamo stati oggetto di pratiche di genocidio. Milioni stuprati dal continente africano, un sistema schiavistico nei Caraibi designato a ucciderci. […] Ora, non solo siamo sopravvissuti come popolo ma i fratelli neri a Kingston, Giamaica, questi sono fratelli che, fino a oggi, ogni giorno fanno un miracolo. Il miracolo è che essi vivono, sono fisicamente prestanti, hanno una forte vitalità mentale, un grande senso dell’umorismo, una grande saggezza. Come fanno a farcela in queste condizioni di sfruttamento? […] I neri nei Caraibi hanno prodotto tutta la cultura che abbiamo. La borghesia nera e i bianchi dei Caraibi non hanno prodotto niente. Sono le persone nere che hanno sofferto tutti questi secoli a produrre cultura. Questo è stupefacente» (Groundings, pp. 67-68.)


Rodney è costretto a trovare un posto di lavoro alternativo. La scelta cadrà sull’università di Dar es Salaam, nella Tanzania di Julius Nyerere.


Tanzania, Africa. Come l’Europa ha sottosviluppato l’Africa

Dal 1969 fino a meta anni Settanta Rodney sarà professore di storia africana all’Università di Dar es Salaam, un’istituzione che raccoglie le menti più progressiste di Africa e dei Caraibi. La Tanzania di Nyerere è un paese che a fatica cerca di costruire un socialismo africano. Qui Rodney potrà lavorare con più libertà e l’esperienza africana gli consentirà di stringere legami con i movimenti di liberazione anticoloniale africani, in particolare quelli di Mozambico e Angola. Il suo armamentario teorico e politico si arricchisce e affila. La questione della lotta armata, il ruolo della piccola borghesia nei paesi di recente indipendenza, le forme insidiose che il neo-colonialismo assume per ribadire la divisione internazionale del lavoro e mantenere le ex colonie in uno stato di perpetua sudditanza: Rodney metabolizza questi nuovi problemi e scrive How Europe underdeveloped Africa, il suo testo più famoso e importante, un’analisi materialistica e dialettica della produzione del sottosviluppo. Gli intenti del testo sono subito esplicitati.

L’intellettuale guerrigliero produce conoscenza per lottare contro il sistema capitalistico internazionale:


«Questo libro deriva da una preoccupazione riguardo alla situazione africana contemporanea. Si appoggia al passato solo perché altrimenti sarebbe impossibile capire come il presente sia venuto formandosi e quali siano le prospettive per il futuro prossimo. Nella ricerca di una comprensione di ciò che è attualmente chiamato “sottosviluppo” in Africa, i limiti della ricerca hanno dovuto essere fissati tra il lontano XV secolo da una parte, e la fine del periodo coloniale dall’altra. […] I fatti esposti e l’interpretazione fornita offriranno un piccolo contributo per rafforzare la conclusione che lo sviluppo Africano è possibile solo sulla base di una rottura radicale con il sistema capitalistico internazionale, che è stato il principale agente del sottosviluppo dell’Africa negli ultimi cinque secoli. […] Lo scopo di questo testo è di raggiungere gli Africani che desiderano esplorare ulteriormente la natura del loro sfruttamento, piuttosto che di soddisfare i cosiddetti standards imposti dai nostri oppressori e dai loro portavoce nel mondo accademico» (HEUA, pp. VII-VIII).


Una dettagliata ricostruzione storica compiuta con in mente un lettore militante, pronto a tradurre la teoria in lotta contro il capitalismo. HEUA è un testo denso, complesso, capace di soddisfare i criteri scientifici dello scrivere la storia. Nello stesso tempo è un libro-arma, un intervento a gamba tesa per sgombrare il campo da analisi scorrette.

La tesi di fondo è che il sotto-sviluppo africano è stato attivamente prodotto da secoli di schiavismo prima e di colonialismo poi. La traiettoria dell’Africa e del suo sviluppo è stata deviata in maniera violenta, una violenza che continua a informare i rapporti tra Africa da una parte e Europa e Stati Uniti dall’altra. Il sottosviluppo non è un dato che fa riferimento a una presunta arretratezza, a un deficit africano innato. Quella arretratezza è stata attivamente prodotta, garantendo all’Europa ricchezza e sviluppo:


«A causa della superficialità di molti degli approcci al “sottosviluppo” e a causa delle conseguenti interpretazioni, è necessario enfatizzare ancora una volta che sviluppo e sottosviluppo non sono solo termini comparativi, ma hanno anche fra loro una relazione dialettica: vale a dire, i due sono il prodotto della loro reciproca interazione. L’Europa Occidentale e l’Africa hanno avuto una relazione che ha assicurato il trasferimento di ricchezza dall’Africa all’Europa. Questo trasferimento di ricchezza fu reso possibile solo dopo che il commercio assunse una dimensione veramente internazionale e questo ci porta indietro alla fine del XV secolo quando l’Africa e l’Europa entrarono in relazione per la prima volta, insieme all’Asia e alle Americhe. Le parti sviluppate e quelle sottosviluppate del capitalismo contemporaneo sono state in continuo contatto per quattro secoli e mezzo. La tesi che io propongo è che in questo lungo lasso di tempo l’Africa ha contribuito a sviluppare l’Europa Occidentale nella stessa misura in cui l’Europa Occidentale ha contribuito a sottosviluppare l’Africa» (HEUA, p.75).


Ancora oggi questo poderoso lavoro di ricostruzione storica risulta fresco, stimolante, affidabile. La relazione dialettica tra sviluppo e sottosviluppo, tra Europa e Africa, ci consente uno sguardo non eurocentrico ma globale della nascita del capitalismo e della centralità dell’Africa in ogni analisi seria della modernità. La mole di dati che Rodney maneggia per suffragare la sua tesi è strabiliante e l’analisi marxista che propone si distingue per chiarezza e acume. La produzione teorica in Rodney non è mai fine a se stessa, ma sempre rivolta a chi è sfruttato. Il suo marxismo non è un vezzo intellettuale, non tende a guadagni personali. Il testo di Rodney è un’arma per la lotta:


«A dire la verità, il mio monito principale è la necessità dello studio e dello sviluppo del sé, affinché professarsi marxisti non diventi un fine in se stesso. […] detto questo, uno deve proseguire, sicuramente come accademico e come intellettuale, nel presentare un’analisi sulla base dell’utilizzo della metodologia marxista e sulla base del render conto intellettualmente alle masse lavoratrici invece di rendere conto intellettualmente alla borghesia» (WRS, p.98).


HEUA rimane uno dei lasciti teorici più importanti di Rodney.


Ritorno in patria: the Working People’s Alliance e l’assassinio.

L’intellettuale guerrigliero lascia la Tanzania e torna in Guyana. L’esigenza di una militanza non solo accademica ma capace di inserirsi nel vivo della situazione politica spinge Rodney a casa. Questo intellettuale tricontinentale, capace di tessere relazioni ovunque vada, capace di incorporare la conoscenza Rasta, le prospettive anticoloniali africane, il Panafricanismo e il nazionalismo caraibico, il Black power statunitense, un marxismo sofisticato come cassetta degli attrezzi, torna a Georgetown, chiudendo il cerchio:


«Nei Caraibi dobbiamo confrontarci con la nostra specificità. Dobbiamo chiederci quali sono le caratteristiche specifiche della piccola borghesia in quanto classe, nel suo svilupparsi intorno alla statualità. Questo non è una domanda che gli Europei si pongono perché non fa parte della loro situazione. Abbiamo ancora una larga percentuale di contadini. Li trattiamo come piccoli produttori di merci e quindi alla stregua della piccola borghesia, o li vediamo come parte della classe lavoratrice, dei produttori nel nostro paese? Come ci comportiamo con la larga percentuale di disoccupati? Il 33% della nostra popolazione è disoccupato. Li chiamiamo “proletariato lumpen” con tutto ciò che questa definizione implica, che sono fuori dalla classe operaia, che per alcuni aspetti sono persino antisociali e contro, o non dovremmo comprendere che questo fenomeno è una parte fondamentale dello sviluppo del capitalismo nella nostra società?» (WRS, p.107).


Gli ultimi anni di Rodney lo vedono impegnato come dirigente della WPA, la Working people’s alliance, un partito socialista guyanese capace di unire i lavoratori indiani e africani, lavoratori che il divide et impera coloniale e postcoloniale aveva messo gli uni contro gli altri. Il lavoro politico di Rodney, così come era già avvenuto in Giamaica, attira la repressione del governo guyanese. A fronte di numerosi tentativi di assassinarlo, decide di non andarsene dalla Guyana, nonostante la possibilità di andare a insegnare negli Stati Uniti o di tornare in Africa. La coerenza da intellettuale guerrigliero glielo impedisce. Rodney rimane a Georgetown e continua la sua inesausta attività politica, organizza scioperi, tiene comizi in tutto il paese, tesse rapporti con i lavoratori indiani e africani, diventa il leader delle masse guyanesi. I suoi comizi sono seguiti da centinaia di persone e le analisi sul razzismo e l’imperialismo consentono ai lavoratori guyanesi di contestualizzare storicamente e di comprendere la propria situazione. L’unione tra indiani e africani, sostiene Rodney, è fondamentale per non riprodurre dinamiche che dividono la classe operaia. Nell’estate del 1980 un’autobomba lo uccide. Il governo del Primo Ministro Burnham è il mandante. Il suo funerale è l’evento di massa più grande di tutta la storia della Guyana.

Walter Rodney ci lascia una grande eredità. La potenza del suo pensiero e del suo argomentare, l’eloquenza e chiarezza delle sue parole sono ancora oggi formidabili. Le analisi su capitalismo, razzismo e colonialismo rimangono attuali e penetranti. Il suo modo di fare e di insegnare la storia, di stare dentro e fuori dall’accademia, sono elementi qualificanti della sua vita e della sua opera. L’intellettuale guerrigliero ci sollecita a continuare la lotta contro il capitalismo.




Bibliografia e percorsi di lavoro

L’opera di Walter Rodney è disponibile solo in inglese. Non penso ci sia, a quanto ne so, materiale disponibile in italiano. Questo è un inconveniente, perché solo chi ha dimestichezza con la lingua imperiale inglese può accedere ai suoi testi. Ne segnalo alcuni.


Chinedu Chukwudinma, A Rebel’s Guide to Walter Rodney, Bookmarks Publications, London 2022.

(Questa è una pubblicazione molto recente e molto utile. Un testo breve, ma una miniera di informazioni sulla vita di Rodney).


M. Mellino, A. R. Pomella, (a cura di), Marx nei margini. Dal marxismo nero al femminismo postcoloniale, Edizioni Alegre, Roma 2020.

Un testo molto importante sul marxismo non europeo, anche se manca un capitolo dedicato a Rodney.


W. Rodney, How Europe Underdeveloped Africa, Howard University Press, Washington 1981 (prima edizione pubblicata da Bogle-L’Ouverture Publications, London and Tanzanian Publishing House, Dar es Salaam 1972).


W. Rodney, A History of the Guayanese Working People, 1881-1905, John Hopkins University Press, Baltimore 1981.


W. Rodney, A History of the Upper Guinea Coast, 1545-1800, Monthly Review Press, New York 1989.


W. Rodney, Walter Rodney’s Russian Revolution: A View form the Third World, Verso Publishing, London 2018 (Testo di recente pubblicazione che raccoglie i materiali che Rodney ha scritto sulla Rivoluzione Russa).


W. Rodney, The Groundings with my Brothers, Bogle-L’ouverture Publications, London 2001 (prima edizione 1969).


W. Rodney, Walter Rodney Speaks. The Making of an African Intellectual, Africa World Press, Inc, New Jersey 1990.


Su Youtube trovate altro materiale interessante. Mi limito a segnalarvi:

https://youtu.be/YqfcbmncFI0In the sky wild’s noise: A documentary on Dr. Walter Rodney.


Un altro video, in cui si può apprezzare la chiarezza di pensiero e di analisi di Rodney è questo Walter Rodney: Crisis in the periphery: Africa and the Caribbean

https://youtu.be/xxTBujB8xhU


Walter Rodney: Speech to the Working People’s Alliance, Guyana, 1980

https://youtu.be/8XCQso4w5Ks

Sempre su YouTube troverete alcune conferenze accademiche dedicate alla figura e all’opera di Rodney. Basta digitare il suo nome per spulciare nei materiali video presenti.


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Andrea Ughetto, musicista, libraio, traduttore, ha studiato a Londra, dove spesso torna, vive a Pinerolo, ha tradotto recentemente A. G. Linera, Democrazia, stato, rivoluzione. Presente e futuro del socialismo del XXI secolo, Meltemi, Milano 2020. Per «Machina» ha curato il Ritratto di Thomas Sankara.

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