Una riflessione attorno a due figure cardine del Novecento italiano: Nanni Balestrini e Luigi Nono per la mostra «Nanni Balestrini. Altre e infinite voci», curata da Marco Scotini alla Galleria Michela Rizzo di Venezia.
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È il 1970 quando Gene Youngblood pubblica un’opera decisiva come Expanded Cinema. Il termine «espanso» non si riferisce solamente alle molteplici modalità di fruizione delle immagini in movimento, che si allontanano dalla sala cinematografica per giungere all’interno di musei e gallerie, ma si tratta soprattutto della stretta connessione che sussiste tra il linguaggio cinematografico e le arti dell’immagine, del suono e della parola. Il cinema si è espanso diventando sorgente di immaginari e attivatore di metamorfosi linguistiche, basti pensare a come la tecnica del montaggio abbia influenzato la letteratura del Novecento e, in maniera ancora più radicale, la poesia. La poesia definita espansa si nutre di immaginari, tradizioni e concetti diversi, rende permeabili i suoi confini lasciandosi trasportare in altri ambiti come quelli della performance, della figura e dell’installazione. La poesia espansa produce ibridazioni che dimostrano come immagini e testo possano coesistere, senza che una debba prevalere sull’altra, e generare una coscienza nuova.
La rottura dell’unità della rappresentazione e delle strutture linguistiche, il montaggio e la successiva ricombinazione di testi altrui sono i tratti peculiari del metodo di Nanni Balestrini.
Egli separa le frasi, frattura le parole, spezza le voci al solo fine di liberarle. L’obiettivo del poeta è scarcerare il linguaggio dal suo «involucro fonetico», dalle «avide merci» e dal «pensiero lineare». Balestrini utilizza il movimento del linguaggio per contrapporsi alla sua inerzia, il che significa opporsi, al «dogma e al conformismo che minaccia il nostro cammino, che solidifica le orme alle spalle, che ci avvinghia i piedi, tentando di immobilizzare i passi». Attraverso il montaggio viene messa a nudo non solo la miseria linguistica della nostra società, ma anche la miseria politica e umana. Così facendo, decostruendo il senso comune, Balestrini non produce solamente una coscienza nuova, ma un dissenso, dà vita a qualcosa di inedito e sorprendente che rompe le gabbie, fuoriesce, esplode, espande gli orizzonti.
Ciò che Nanni Balestrini applica nel campo poetico, il compositore Luigi Nono lo mette in atto nel campo musicale. Entrambi, infatti, ricercano la disalienazione della parola, l’uno attraverso la pratica del cut-up e del fold-in, l’altro attraverso la tecnica di scissione in fonemi. Inoltre, ambedue ricorrono all’utilizzo della tecnologia per sovvertire gli strumenti del padrone e contro il sistema che li ha prodotti, è il caso balestriniano delle poesie generate servendosi delle facoltà combinatorie dell’IBM e le composizioni di musica elettronica.
Il rapporto tra questi due grandi artisti si è sviluppato su più livelli di collaborazioni, interferenze, ma soprattutto su parallelismi culturali sorprendenti nei quali la costante il mutuo interventismo politico. È proprio sul rapporto tra queste due fondamentali figure del Novecento Italiano che si articola la mostra «Nanni Balestrini. Altre e infinite voci» curata da Marco Scotini alla Galleria Michela Rizzo di Venezia. La retrospettiva presenta una vasta gamma di materiale documentario originale e una selezione di oltre 50 opere di Balestrini che risalgono agli anni ’60, come i primi collage Cronogrammi del 1961; i collage sulle grandi foto a colori dei settimanali «Epoca» e «Tempo» del 1963; la serie Maestri del Colore del 1964 e la serie Quindici del 1969. L’esposizione si focalizza sul suo decennio d’esordio con il musicista Luigi Nono a partire dal comune lavoro fatto sulle voci e con le voci, come suggerisce il titolo.
«Tu Nanni inventa. È un ordine – non illuministico, non libertario, non generico – ma oggi, dall’intimo e non dall’alto…» è una frase tratta dallo scambio epistolare tra Nono e Balestrini mentre lavoravano insieme a Contrappunto dialettico alla mente del 1968 e ora in mostra. L’opera è una sperimentazione di Nono con la musica elettronica ispirata alla composizione di madrigali di Adriano Banchieri. Fra i materiali utilizzati vi sono il testo di Balestrini, la poesia della rivoluzionaria cubana Celia Sanchez sull’assassinio di Malcom X e il testo dell’appello di un’organizzazione femminile afroamericana contro la guerra del Vietnam.
La componente politica e l’attenzione alle lotte sociali sono delle costanti sia nel lavoro del poeta che in quello del compositore. Per Nono fare musica «è intervenire nella vita contemporanea, nella situazione contemporanea, nella lotta contemporanea di classe, secondo una scelta che io ho fatto, quindi […] produrre qualcosa per un modo di provocazione e discussione». Tra i componimenti di Nono è doveroso ricordare La fabbrica illuminata del 1964 – componimento di denuncia dello sfruttamento capitalista e della pessima condizione di lavoro degli operai (tema trattato anche da Balestrini nel celebre libro Vogliamo tutto del ’71) e Il canto sospeso, uno dei più importanti capolavori degli anni Cinquanta del Novecento. Una commemorazione alle vittime del fascismo, il cui testo è basato su frammenti di lettere dei condannati a morte della resistenza europea. Musicalmente, in quest'opera Nono apre nuove vie, non solo grazie all'esemplare equilibrio tra voci e strumenti, ma anche grazie alla scrittura vocale puntillistica in cui le parole sono scomposte in sillabe affidate a voci diverse, in modo da creare sonorità diversificate e fluttuanti. Un livello di attenzione acustica e visiva la si può trovare anche in Nanni Balestrini. Le opere plastiche, infatti, sono caratterizzate da un certo movimento della componente sonora, dalla spazializzazione delle parole che ne scandiscono il ritmo, il tono, la vicinanza e la lontananza.
L’itinerario espositivo della mostra risulta capovolto: si apre con il fatidico ’68, per poi procedere a ritroso con gli anni nelle sale successive. Sin dall’entrata la relazione tra Balestrini e Nono emerge a partire dalla gigantografia dell’opera di Balestrini I muri della Sorbona, nella quale il poeta ricopre le pareti della Galleria La Tartaruga con gli slogan della contestazione francese, con posizionato accanto il dittico Non consumiamo Marx di Luigi Nono del 1969. Si tratta di una vasta opera contenente testi tratti dalle scritte murali parigine in occasione del Maggio Francese, insieme a documenti della contestazione contro la Biennale veneziana del '68 e registrazioni di strada ricavate dal vivo durante le manifestazioni e le lotte.
Ironico come dopo più di cinquant’anni quanto accaduto all’epoca sia ancora estremamente attuale, con riferimento particolare alle contestazioni emerse in Francia lo scorso inverno a causa della riforma delle pensioni e l’attuale rivolta delle banlieues in rapporto all’assassinio di Nahel a cui, tra l’altro, la mostra è dedicata. D’altra parte, ogni sovvertimento, soggettivo o sociale, impone un esilio della voce, un’interruzione del gesto, una rottura dell’enunciato e il riavvicinamento con linee etimologiche che erano state interrotte, oppure impone un taglio netto nella lingua vivente, per introdurre una differenza, uno spaziamento o, come direbbe Derrida, «un’anarchia improvvisata». È dunque tra le pieghe, nelle fratture, sulle soglie, che si cela sempre la rivoluzione.
Immagini
1. I muri della Sorbona Nanni Balestrini. Galleria la Tartaruga, Roma, 1968. Courtesy Archivio Balestrini
2. Nanni Balestrini e Umberto Eco all’IBM Milano, 1961
3. Exhibition view della mostra Nanni Balestrini. Altre e infinite Voci, Venezia, 2023.
4. Exhibition view della mostra Nanni Balestrini. Altre e infinite Voci, Venezia, 2023.
5. Exhibition view della mostra Nanni Balestrini. Altre e infinite Voci, Venezia, 2023.
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Alessia Riva è una giovane curatrice e critica d’arte contemporanea, scrive per varie riviste tra le quali «Artribune» e ha recentemente curato «(Im)possible Ecolologies» all'orto Botanico di Roma. Studia alla NABA di Milano.
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