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Pantere Nere, America bianca



Per capire quello che sta succedendo negli Stati Uniti negli ultimi anni, con l’emergere di Black Lives Matter e i movimenti contro i processi di razzializzazione e la violenza poliziesca nei confronti degli afromaericani, è necessario ripercorrere la storia del Black Panther Party (Bpp). È quello che fa Bruno Walter Renato Toscano in Pantere Nere, America bianca (ombre corte, 2023), libro di cui pubblichiamo l’introduzione. Il Bpp fu un’organizzazione afroamericana nata nel 1966 a Oakland per opera di Huey P. Newton e Bobby Seale, con lo scopo di difendere la comunità Nera dalla brutalità della polizia. Armati di fucili e codici di legge, le Pantere pattugliarono le strade della città per disincentivare gli agenti a usare violenza verso gli afroamericani, diventando in poco tempo una organizzazione facilmente replicabile in tutti gli Stati Uniti.


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We just some products of our environment

How the fuck they gon’ blame us?

You can’t fight fire with fire

I know, but at least we can turn up the flames some

Lil Baby, The Bigger Picture (2020)



Il 25 maggio 2020 a Minneapolis, l’afroamericano George Floyd, segnalato alla polizia dall’esercente del negozio Cups Foods perché sospettato di avere acquistato un pacchetto di sigarette con venti dollari contraffatti, venne bloccato a terra con un ginocchio sul collo dall’agente di polizia Derek Chauvin. Floyd ripeté almeno sedici volte «I can’t breathe» («Non riesco a respirare»), chiedendo a Chauvin di lasciarlo andare. Dopo oltre nove minuti di pressione dell’agente sul collo, Floyd venne ucciso[1]. In meno di quarantotto ore Minneapolis esplose in una delle rivolte razziali più violente della storia della città, che si diffuse a macchia di leopardo in tutti gli Stati Uniti[2].

A partire da quel tragico evento a emergere fu la continuità storica dello stato di emarginazione economica degli afroamericani e la brutalità della polizia che coinvolse non soltanto la città di Minneapolis, ma anche città come New York, San Francisco e Louisville. Il clamore suscitato dall’omicidio di Floyd indusse a denunciare numerose violenze precedenti da parte della polizia a danno degli afroamericani tra cui l’omicidio di Breonna Taylor, uccisa il 13 marzo 2020 a Louisville (Kentucky) durante una perquisizione in casa. Il nome di Breonna si unì alla lunga lista di afroamericani uccisi dalla polizia e il «I can’t breathe» pronunciato da Floyd accorciò simbolicamente le distanze tra il 2020 e il 2014, quando a pronunciare quelle parole era stato un altro afroamericano, Eric Garner, soffocato a morte dall’agente del New York City Police Department, Daniel Pantaleo. Nonostante gli afroamericani siano il 13% della popolazione statunitense, essi rappresentano il 24% delle vittime totali per mano della polizia[3].

Per molti la morte di Floyd e la rivolta di Minneapolis portarono indietro le lancette dell’orologio ben oltre l’anno della morte di Garner e ancora oltre la nascita nel 2013 di Black Lives Matter (Blm) successiva all’assoluzione dell’assassino di Trayvon Martin. La violenza della polizia, gli incendi e le vetrine spaccate, unite al linguaggio dell’allora presidente Donald Trump richiamatosi al «law and order» di eredità nixoniana, ebbero come effetto, per alcuni manifestanti e commentatori, di guardare al 2020 come a un ritorno agli anni Sessanta, quando le rivolte razziali raggiunsero il proprio apice guidando l’orientamento di numerosi movimenti politici[4].

Come nel caso di questo libro, l’omicidio Floyd e quello che ne è conseguito ha reso necessaria una riflessione circa le idee dei movimenti politici che hanno lottato contro la violenza della polizia negli Stati Uniti, dando la possibilità di poter analizzare la profondità storica degli eventi del 2020. Ciò è valso anche per la società civile statunitense, la quale è riuscita a rendere simbolicamente attuale la storia di una delle organizzazioni che più di altre si è impressa nella storia e nell’immaginario politico degli Stati Uniti: il Black Panther Party (Bpp). Il Bpp fu una organizzazione afroamericana nata nel 1966 a Oakland per opera di Huey P. Newton e Bobby Seale, con lo scopo di difendere la comunità Nera dalla brutalità della polizia[5]. Armati di fucili e codici di legge, le Pantere pattugliarono le strade della città per disincentivare gli agenti a usare violenza verso gli afroamericani, diventando in poco tempo una organizzazione facilmente replicabile in tutti gli Stati Uniti.

In questo senso, diventa chiaro come alcuni attivisti abbiano trovato delle congiunzioni simboliche tra il modello politico del Bpp e la sua insistenza per la difesa armata della comunità Nera e la contemporaneità statunitense, in cui una polizia sempre più militarizzata ha ucciso 462 persone tra afroamericani, latini e nativi nel 2020[6]. Ad esempio, il 7 giugno dello stesso anno, durante una manifestazione a Los Angeles organizzata da Blm per sostenere la campagna «Defund the Police», alcune organizzazioni pianificarono una discussione pubblica accanto alla tomba di Alprentice «Bunchy» Carter, Pantera Nera uccisa nel 1969 da membri della United Slaves (Us), una organizzazione nazionalista afroamericana, a causa di attriti fomentati da una lunga operazione di infiltrazione nei movimenti radicali afroamericani dell’Fbi[7]. Il parallelismo tra Floyd e Carter non appare qui un caso: a diventare simbolicamente rilevante per i manifestanti era l’immanenza della violenza da parte del braccio armato dello stato a danno degli afroamericani, accorciando le distanze tra gli anni Sessanta e il 2020. Ma non solo. Il Black Panther Party rappresentava quell’organizzazione politica che dalle macerie delle rivolte razziali della metà degli anni Sessanta era stata capace di unire sotto i propri vessilli centinaia e centinaia di afroamericani, bianchi, latini e membri di altre minoranze in tutti gli Stati Uniti, sottolineando come il razzismo negli Stati Uniti andasse di pari passo con le disuguaglianze economiche. Anche le proteste generate dall’omicidio Floyd hanno fatto emergere una partecipazione composita e razzialmente eterogenea in tutti gli Stati Uniti, un «mosaico» come l’ha definito Bruno Cartosio[8]. La conflittualità generatasi a seguito degli eventi del 25 maggio sottolinea chiaramente una dimensione di discriminazione razziale, ma anche di classe. Nell’anno del Covid-19, la pandemia ha colpito maggiormente i lavoratori indispensabili appartenenti a classi di reddito basso, occupate nella maggior parte dei casi dalle minoranze. Non è quindi un caso che il 22% della popolazione nazionale che ha contratto il Covid nel 2020 sia rappresentata da afroamericani e che il 23% di essi sia morta a causa della pandemia[9]. «A ucciderci o è il Covid o la polizia o l’economia», disse ai giornalisti l’assistente sociale Priscilla Borkor in occasione di una tra le prime proteste per l’omicidio Floyd[10].

In generale, negli anni si è assistito all’appropriazione del Black Panther Party da parte del mondo della cultura pop che ha spesso depoliticizzato o romanticizzato la sua eredità a vantaggio del mantenimento di una estetica spendibile sul mercato dei consumi dei media. Ad esempio, la cantante afroamericana Beyoncé al cinquantesimo Super Bowl del 2016 decise di cantare indossare una divisa molto simile a quella usata dalle Pantere Nere sulle note di Formation[11]. Gli eventi del 2020 hanno però posto un confronto diretto tra la società civile e la storia dell’organizzazione, vista come riferimento storico e politico per la lotta contro la violenza della polizia.

Le Pantere Nere ancora in vita non rimasero certo in silenzio di fronte all’omicidio Floyd: in una lettera aperta del 10 giugno 2020 firmata da diciassette membri dell’organizzazione, gli ex militanti chiesero alle icone Hip Hop afroamericane di rendersi portavoce di una rinnovata lotta contro il razzismo negli Stati Uniti, di diventare un megafono per il radicalismo politico di molti afroamericani.


«È nostro dovere – recitava la lettera – […] trasmettere lezioni, saggezza, conoscenza ed esperienze alla prossima generazione di combattenti per la libertà, di lavoratori nel settore culturale e di attivisti. In questo modo un popolo oppresso può resistere alla dominazione da una generazione all’altra senza ripetere i fallimenti, le insidie o gli errori di quella precedente[12]».


Quella che si è registrata nel 2020 è stata una dinamica simile a quella denunciata dal 2017 dallo storico Cedric Johnson, ovvero una «nostalgia per il Black Power» da parte della società civile, delle organizzazioni progressiste e del mondo accademico, ovvero la convinzione di dover ricreare dei modelli politici che si rifacessero a quello della «lotta politica etnica nera» parte del milieu del Black Power degli anni Sessanta, dimenticando però sia le sue «origini storiche» sia i «suoi limiti», estraendo le Pantere dal proprio contesto storico[13].

Ma chi furono le Pantere Nere e qual è la loro storia? Questo libro nasce dall’esigenza di ricostruire la storia del Black Panther Party facendo riferimento alle loro origini, alle loro ideologie e ai limiti di una organizzazione che è riuscita a imprimersi nelle menti della società civile statunitense e internazionale. Considerati «teppisti, terroristi e folli assassini» da molti, le Pantere fecero parte di una organizzazione estremamente sfaccettata, sorta nel tumulto del movimento del Black Power negli anni Sessanta e che ha attraversato un continuo processo di cambiamento politico e ideologico[14].


Le ricerche storiche sul tema

Le ricerche accademiche sul Partito delle Pantere Nere vanno collocate in un progressivo ripensamento del movimento del Black Power, quest’ultimo strettamente legato alla nascita del Bpp. Una volta nato il Black Power negli anni Sessanta si assistette a una sua demonizzazione da parte dei media e degli attivisti del movimento per i diritti civili, i quali lo descrissero come violento, razzista e un fallimento per l’integrazione razziale sognata da Martin Luther King Jr[15]. Superato il periodo in cui furono i militanti a parlare del Black Power attraverso le proprie autobiografie, fino agli anni Novanta non si assistette a una vera e propria riconsiderazione scientifica del movimento[16]. Molto dipese dall’analisi posteriori degli anni Sessanta negli Stati Uniti, spesso intrappolata nella dicotomia «Good Sixties/Bad Sixties» (i buoni/ i cattivi anni Sessanta) ovvero la tendenza a identificare la prima metà del decennio come un periodo politicamente florido segnato dai successi del movimento per i diritti civili e la seconda metà come periodo di segno negativo, contraddistintasi per la tendenza distruttiva, individualista e violenta dei movimenti politici[17]. Il Black Power venne quindi bollato come parte di quei «cattivi anni Sessanta» ed etichettato con connotazioni negative[18].

La prima vera e prima opera di ripensamento del movimento fu quella di William L. Van Deburg, New Day in Babylon (1995), seguita da Jeffrey O.G. Ogbar, Black Power: Radical Politics and African American Identity (2004)[19]. Nel 2006 è stato invece Peniel E. Joseph che, curando la collettanea The Black Power Movement, ha dato inizio a un nuovo trend di studi da lui definito Long Black Power Movement che non separa nettamente la nascita del movimento da quello per i diritti civili ma che piuttosto ha il merito di essersi focalizzato sulle continuità anziché sulle fratture[20]. Sempre Peniel Joseph, ha poi arricchito la storia del movimento del Black Power in una monografia, ovvero Waiting ‘Til The Midnight Hour(2006)[21]. L’andamento delle ricerche storiche sul Black Panther Party non fece eccezione, giacché anch’esse parte di questo processo progressivo di rivalutazione del movimento del Black Power e, di conseguenza, di ripensamento accademico sul Partito.

Almeno inizialmente furono gli stessi membri a diventare storici di se stessi, pubblicando una serie di autobiografie, discorsi e storie del Partito delle Pantere che, insieme alla pubblicazione dell’organo del Partito, «The Black Panther», crearono un mito delle Pantere in tutto lo scenario dei movimenti della new left statunitense[22]. A contribuire a questo mito furono soprattutto i giornalisti che descrissero le Pantere Nere con accezione estremamente positiva o estremamente negativa[23]. Chiaramente, le ricostruzioni delle Pantere rappresentano dei limiti evidenti: gli ex attivisti spesso tratteggiarono in maniera strumentale la storia dell’organizzazione come il risultato del dispotismo di Huey P. Newton e David Hilliard, altra figura di spicco del Partito, in un periodo in cui gli infiltrati dell’Fbi avevano contribuito a danneggiare la coesione del Bpp e il partito si spaccò tra chi sostenne un percorso violento da attuare negli Stati Uniti e chi, invece, rese la politica elettorale l’elemento centrale del Partito[24].

A distanza di pochi anni dalla morte di Huey Newton, nel 1994 venne pubblicata l’opera dello scrittore afroamericano Hugh Pearson che ridusse la storia di Huey Newton a quella di un criminale dipendente dalle droghe pesanti, costantemente diviso tra una forza distruttrice e una creatrice[25]. In parte gli fecero eco le autobiografie della Pantera Elaine Brown (1992) e quella di David Hilliard (1993): mentre la prima evidenziò il maschilismo imperante del Partito e la lotta di una donna Nera nel gestire un Partito in crisi, il secondo descrisse il Bpp come una gang criminale[26]. Eccezione fu il saggio di Manning Marable del 1989, primo segno di un’attenzione da parte di storici e scienziati sociali che ricostruirono la storia delle Pantere Nere, andando al di là delle ricostruzioni faziose e parziali[27]. In questo senso, l’opera principale che si diresse verso una più approfondita analisi del Bpp fu The Black Panther Party [Reconsidered] curato da Charles E. Jones (1998), seguita da Liberation, Imagination, and The Black Panther Party di Kathleen Cleaver e George Katsiaficas (2001). In entrambe le opere molta attenzione venne posta sulla repressione dell’Fbi e sui problemi interni ed esterni al Partito[28]. Dall’inizio degli anni duemila si assistette a una terza fase, con la pubblicazione di molte autobiografie da parte delle Pantere Nere che fecero il paio con altre pubblicazioni accademiche che diedero rilievo alle complesse realtà locali del Partito, alle questioni di genere, alle relazioni internazionali o alle connessioni tra il Bpp e altre organizzazioni radicali che si ponevano alle origini del Partito[29]. A questi studi se ne unirono altri che esaminarono la storia del Partito a partire dall’estetica e dalla cultura politica del Partito e dai media che coprirono le notizie relative al Bpp[30].

In generale, a segnare un cambiamento di tendenza nelle ricerche storiche sul tema è stata l’acquisizione della Dr. Huey P. Newton Foundation Inc. collection nel 1998 da parte della Cecil H. Green Library dell’Università di Stanford. Nonostante la collezione archivistica si presenti estremamente frammentaria – concentrata prevalentemente sulla storia del Partito dopo gli anni Settanta – essa ha reso possibile per gli storici comprendere i meccanismi di funzionamento interni all’organizzazione, la relazione con altre sezioni di Partito e con altri paesi. Negli gli studi più recenti, oltre ad avvalersi della Dr. Huey P. Newton collection, gli studiosi hanno poi spesso fatto ricorso alla storia orale per sopperire alla frammentarietà delle fonti d’archivio. L’opera probabilmente più completa e che ha segnato una svolta in queste ricerche è Black Against Empire (2013) del sociologo Joshua Bloom e dello storico Wald E. Martin Jr., che ha ricostruito la storia del Bpp partendo da quella del Comitato centrale – ovvero il nucleo organizzativo e politico del Black Panther Party composto dai fondatori e da altre figure di spicco – non mancando di analizzare anche lo sviluppo delle sezioni locali, il rapporto tra il Partito e le altre organizzazioni, così come gli elementi politici che determinarono la fine al Partito delle Pantere Nere[31].

In questo lungo percorso storiografico in cui la ricostruzione di Pearson è stata rifiutata, dando spazio a ricerche di ampio respiro sulle Pantere Nere, si è assistito alla pubblicazione di opere accademiche sul Black Panther Party anche in Europa. Esclusa la traduzione delle autobiografie delle figure chiave del Partito delle Pantere Nere, sono state recentemente pubblicate alcune ricerche originali in Francia e Germania[32]. In Italia l’attenzione accademica per il movimento per le Pantere Nere fu coeva alla storia dell’organizzazione stessa. Il primo fu Roberto Giammanco, che nel 1967 pubblicò Black Power. Potere Negro, a cui lo storico aggiunse un’analisi delle Pantere Nere nella seconda edizione del 1968[33]. In seguito, fu Massimo Teodori nel 1970 ad analizzare la storia del Bpp all’interno della più vasta storia della new left statunitense[34]. Infine, Alberto Martinelli e Alessandro Cavalli pubblicarono Il Black Panther Party nel 1971, un’antologia di discorsi e scritti di figure di spicco del Partito curata dai due autori[35]. La prima monografia dedicata alle Pantere Nere è quella di Paolo Bertella Farnetti, pubblicata nel 1995 per la casa editrice Shake e recentemente ampliata per le edizioni Mimesis[36]. Ciononostante, anche a fronte dei numerosi studi sul sessantotto negli Stati Uniti, le Pantere Nere rimangono ancora un oggetto di studi marginale negli studi americanistici del nostro paese, i quali spesso non si sono confrontati con la letteratura più recente e con le fonti d’archivio relative all’organizzazione.

A venire meno nelle ricerche internazionali sul tema è, invece, l’analisi del rapporto ideologico tra le figure principali del Partito e come anche a partire da questo complesso rapporto siano dipesi lo sviluppo e il crollo del Black Panther Party. Eccezion fatta per l’opera di Judson L. Jeffries Huey P. Newton: The Radical Theorist (2002) e le ricerche di Paul Alkebulan, le questioni ideologiche sono state spesso accantonate e ridotte a mero riflesso di una organizzazione perennemente in crisi[37].

Al contrario, ciò che in questo libro si sostiene è che il confronto tra le differenti posizioni ideologiche dei leader dell’organizzazione appare centrale per comprendere gli sviluppi del Partito delle Pantere Nere dalla fondazione al crollo. In particolare, centrale risulta il complesso rapporto tra razza e classe alimentato dalle influenze del marxismo-leninismo e dal nazionalismo Nero nel Partito, che contribuì ad aprire o a chiudere il Bpp alle altre organizzazioni della nuova sinistra statunitense. Tuttavia, le diverse posizioni ideologiche che animarono il Bpp si rivelarono fatali per la tenuta del partito.

Questo libro è stato scritto a seguito di una serie di ricerche d’archivio da me condotte in California nel 2018. In particolare, sono stati consultati gli Eldridge Cleaver Papers, 1963-1988 depositati alla Bancroft Library della University of California – Berkeley e la Dr. Huey P. Newton Foundation Inc. collection, 1968-1994. Allo studio di entrambe le collezioni è stato poi associato lo spoglio completo del «The Black Panther. Black Community News Service/Intercommunal News Service» conservato integralmente presso l’African American Museum and Library di Oakland. Grazie alla collaborazione di alcuni archivisti, per il presente volume sono stati poi consultati i documenti audio e video parte dei Kathleen Cleaver papers, 1900-2019 – contenuti presso la Rose Library della Emory University – e i Black Panther Party Harlem Branchfiles 1969-1970 posseduti dallo Schomburg Center for Research in Black Culture di New York. Oltre ai documenti scritti e collezionati dai protagonisti di questo libro, ho poi consultato i documenti del Federal Bureau of Investigation (Fbi) relativi al Black Panther Party, a Huey P. Newton e a Eldridge Cleaver, interamente digitalizzati e disponibili online. In aggiunta, ho fatto ricorso alle risorse digitali del Wilson Center – Digital Archive relativi al rapporto tra Eldridge Cleaver e la Corea del Nord. Non irrilevante è stato l’aiuto ottenuto da alcune Pantere con cui ho avuto modo di scambiare un proficuo dialogo, tra cui Bobby Seale – che ha risposto a molte mie domande durante una conferenza pubblica svoltasi a Berkeley nel 2018 – Roberta Alexander e Tolbert Small.


Note [1] E. Levenson, Former officer knelt on George Floyd for 9 minutes and 29 seconds – not the infamous 8:46, «Cnn», 30 marzo 2021, https://edition.cnn.com/2021/03/29/us/george-floyd-timing-929-846/index.html (consultato nel luglio 2022). [2] Cfr. R. Samuels – T. Olorunnipa, His Name Is George Floyd: One Man’s Life and the Struggle for Racial Justice, Penguin-Random House, New York 2022. [3] A. Portelli, Il ginocchio sul collo. L’America, il razzismo, la violenza tra presente, storia e immaginari, Donzelli, Roma 2020, p. 16. [4] The Conversation, Minneapolis’ «Long, Hot Summer» of ’67 – and the Parallels to Today’s Protests, «U.S. News», 5 giugno 2020, https://www.usnews.com/news/cities/articles/2020-06-05/minneapolis-long-hot-summer-of-67-and-theparallels-to-todays-protests-over-police-brutality (consultato nel luglio 2022). [5] Qui e in tutte le occorrenze presenti nel libro ho scelto di utilizzare il termine «Nero» e «Nera» in maiuscolo in riferimento agli afrodiscendenti presenti negli Stati Uniti. In particolare, tale scelta è dipesa da uno recente dibattito negli Stati Uniti che ha coinvolto attivisti e giornalisti impegnati nell’utilizzare il termine «Black» e non «black» per identificare la comune identità culturale basata, soprattutto, sull’esperienza storica della diaspora africana condivisa dagli afrodiscendenti, cfr. K.A. Appiah, The Case for Capitalizing the B in Black, «The Atlantic», 18 giugno 2020, https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2020/06/time-to-capitalize-blackand-white/613159/ (consultato nel luglio 2022). Non ho invece reso maiuscola la «n» di «nero» o «neri» nei testi, nelle fonti e nei discorsi originali citati nel libro. Al contempo, l’accezione «di colore» e la n-word sono stati utilizzati soltanto nella traduzione fedele ai testi originali. [6] Statista, Number of People Killed by Police in the United States From 2013 to 2021, by Ethnicity, 10 novembre 2021, https://www.statista.com/statistics/1124036/number-people-killed-police-ethnicity-us/ (consultato nel luglio 2022); secondo il database del «Washington Post», il numero di sparatorie per mano della polizia e a danno delle minoranze non ha ancora accennato a diminuire, Police Shootings, 2015-2022, «Washington Post», 1 agosto 2022, https://www.washingtonpost.com/graphics/investigations/police-shootings-database/ (consultato nel luglio 2022). [7] T. Chimurenga, Thousands Show Up for George Floyd and Justice inLos Angeles, «Los Angeles Sentinel», 11 giugno 2020, https://lasentinel.net/thousands-show-up-for-george-floyd-and-justice-in-los-angeles.html (consultato nel luglio 2022). La campagna «Defund the Police» puntava a de-finanziare i dipartimenti di polizia per reinvestire soldi federali e statali a sostegno di misure per la collettività (formazione professionale, sostegni per la salute mentale, potenziare i centri di disintossicazione per citare alcuni esempi), cfr. P. Fernandez, Defunding the Police Isn’t Punishment. It Will Actually Make Us Safer, «Cosmopolitan», aprile 13, 2021, https://www.cosmopolitan.com/politics/a32757152/defund-police-black-lives-matter/ (consultato nel luglio 2022); U. Perano, Black Lives Matter co-founder explains «Defund the police» slogan, «Axios», 7 giugno 2020, https://www.axios.com/defund-police-black-livesmatter-7007efac-0b24-44e2-a45c-c7f180c17b2e.html (consultato nel luglio 2022). [8] Cfr. B. Cartosio – A. Olivieri, Un movimento che è un mosaico, «Jacobin Italia», 8, autunno 2020, pp. 18-25. [9] A. Altman, Why the Killing of George Floyd Sparked an American Uprising, «Time», 4 giugno 2020, https://time.com/5847967/george-floyd-protests-trump (consultato nel giugno 2022). [10] C. Alter, America Has Its Knee on People of Color. Why George Floyd’s Death Was a Breaking Point, «Time», 31 maggio 2020, https://time.com/5845752/america-has-its-knee-on-us-george-floyds-death-was-abreaking-point-protests/?utm_source=twitter&utm_medium=social&utm_campaign=editorial&utm_term=u.s._&linkId=90735873 (consultato nel giugno 2022). Qui – e nelle altre occorrenze che seguono – le traduzioni sono a cura dell’autore di questo libro. [11] J. Rhodes, Framing the Black Panthers: The Spectacular Rise of a Black Power Icon, University of Illinois Press, Urbana 2017, pp. xix-xxi. [12] AA.VV., An Open Letter from Original Black Panther Party Members to Black (Hip-Hop) Artists Who Have an Interest in Our Community (T.I., Killer Mike, Cardi B, Kayne West, Beyoncé, Jay-Z, P-Diddy, Ludacris, 50-Cent, and others), «Black Power Media», 10 giugno 2020, https://imixwhatilike.org/2020/06/10/bppopenlettertohiphop/ (consultato nel giugno 2022). [13] C. Johnson, The Panthers Cant’s Save Us Now, «Catalyst», I, 1, primavera 2017, https://catalyst-journal.com/2017/11/panthers-cant-save-us-cedric-johnson (consultato nel giugno 2022). [14] D.R. Papke, Heretics in the Temple: Americans Who Reject the Nation’s Legal Faith, New York University Press, New York-London 1989, p. 119. [15] C. Johnson, Revolutionaries to Race Leaders: Black Power and the Making of African American Politics, University of Minnesota Press, Minneapolis-London 2007, p. XXII. [16] P.E. Joseph, Black Liberation Without Apology: Reconceptualizing the Black Power Movement, «The Black Scholar», XXXI, 3/4, autunno/inverno 2001, p. 8. [17] Tale dicotomia è stata usata dallo storico Paul Buhle nel 1993 per sintetizzare in maniera critica le posizioni di Todd Gitlin – ex membro degli Students for a Democratic Society – pubblicate in T. Gitlin, The Sixties: Years Of Hope, Days Of Rage, Bantam Book, New York 1987; P. Buhle, Madison Revisited, «Radical History Review», 57, 1993, p. 248. [18] Johnson, Revolutionaries, cit., pp. XXXIV-XXXVI. [19] Cfr. W.L. Van Deburg, New Day in Babylon. The Black Power Movement and American Culture, 1965-1975, University of Chicago Press, Chicago-London, 1992; J.O.G. Ogbar, Black Power: Radical Politics and African AmericanIdentity, Johns Hopkins University Press, Baltimore 2019. [20] P.E. Joseph, Introduction: Toward a Historiography of The Black PowerMovement, in Id., a cura di, The Black Power Movement: Rethinking the Civil Rights–Black Power Era, Routledge, New York 2006, p. 10. [21] P.E. Joseph, Waiting ‘Til the Midnight Hour: A Narrative History of Black Power in America, New York, Holt Paperback, 2016. [22] Cfr. E. Cleaver, Post-Prison Writings and Speeches, Random House, NewYork 1969; B. Seale, Seize the Time: The Story of the Black Panther Party and Huey P. Newton, Black Classic Press, Baltimore 1991; H.P. Newton, To Die for the People, Vintage Books, New York 1972; Id., Revolutionary Suicide, Penguin Books, New York 2009. [23] Mentre il giornalista francese Gene Marine e Reginald Major mitizzarono il Partito, altri come Tom Wolfe cercarono di ridicolizzarlo, cfr. G. Marine, TheBlack Panthers, New American Library, New York 1969; T. Wolfe, Radical Chic and Mau-Mauing the Flak Catchers, Ferrar, Straus and Giroux, New York 1970; R. Major, A Panther is a Black Cat: An Account of the Early Years of the Black Panther Party. Its Origins, Its Goals, and Its Struggle for Survival, Morrow, New York 1971. [24] Così, ad esempio, E. Anthony, Picking up the Gun: A Report on the Black Panthers, Dial, New York 1970 e déqui kioni-sadiki – M. Meyer, a cura di, LookFor Me in the Whirlwind: From the Panther 21 to 21st-Century Revolutions, PM Press, Oakland 2017. [25] Cfr. H. Pearson, The Shadow of the Panther: Huey P. Newton and the Price of Black Power in America, Addison-Wesley Publishing Company, Boston 1994; J. Street, The Historiography of the Black Panther Party, «Journal of AmericanStudies», XL, 2, 2010, p. 353. [26] Cfr. E. Brown, A Taste of Power: A Black Woman’s Story, Pantheon, NewYork 1992; D. Hilliard, This Side of Glory: The Autobiography of David Hilliard and the Story of the Black Panther Party, Little-Brown, Boston 1993. [27] M. Marable, The Legacy of Huey P. Newton, in Id. (a cura di), The Crisis of Color and Democracy, Common Courage Press, Monroe 1992, pp. 202-206. [28] Cfr. C.E. Jones, The Black Panther Party [Reconsidered], Black Classic Press, Baltimore 1998; K. Cleaver – G. Katsiaficas, a cura di, Liberation, Imagination and the Black Panther Party. A New Look at the Black Panthers and Their Legacy, Routledge, London-New York 2013. [29] Alcune tra le autobiografie più importanti sono quelle di A. Shakur, Assata: An Autobiography, Zed, London 2014; A. Forbes, Will You Die withMe? My Life and the Black Panther Party, Washington Square Press, New York2006; A. Dixon, My People Are Rising: Memoir of A Black Panther Captain, Haymarket Books, Chicago 2012; D. Cox, Making Revolution: My Life in the Black Panther Party, Heyday, Berkeley 2019. Le opere fondamentali sullo studio delle sezioni locali sono sicuramente quelle di J. Theoharis – K. Woodard, a cura di, Groundwork: Local Black Freedom Movements in America, New York University Press, New York-London 2005; J.L. Jeffries, a cura di, Comrades: A Local History of the Black Panther Party, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis 2007; Id., On the Ground: The Black Panther Party in Communities Across America, University Press of Mississippi, Jackson 2010;Y.R. Williams – J. Lazerow, a cura di, Liberated Territory: Untold Local Perspectives on the Black Panther Party, Duke University Press, Durham-London 2008; D. Murch, Living for the City: Migration, Education, and the Rise of the Black Panther Party in Oakland, California, University of North Carolina Press, London-Chapel Hill 2010; J.E. Williams, From the Bullet to the Ballot: The Illinois Chapter of the Black Panther Party and Racial Coalition Politics in Chicago, University of North Carolina Press, London-Chapel Hill 2013; J.L. Jeffries, a cura di, The Black Panther Party in a City Near You, University of Georgia Press, Athens 2018. Sulla storia di genere cito per tutti il più recente R.C. Spencer, The Revolution Has Come: Black Power, Gender, And The Black Panther Party in Oakland, Duke University Press, Chapel Hill 2016. Sulla storia internazionale del Bpp cfr. J.B. Smith, An International History of the Black Panther Party, Garland Publishing, Inc., New York-London 1999; S.L. Malloy, Out of Oakland: Black Panther Party Internationalism During the Cold War, Cornell University Press, Ithaca-London 2017. Sulla repressione del Bpp, lo studio più importante è di C.J. Austin, Up Against the Wall: Violence in the Making and Unmaking of the Black Panther Party, University of Arkansas Press, Fayetteville 2006. Differentemente dalle ricerche storiche sul Bpp a oggi non sono stati condotti studi approfonditi e organici sulla formazione e sulla storia della Black Liberation Army, realtà underground e violenta creata anche da Pantere Nere e spesso lasciata ai racconti dei membri che ne fecero parte. Cfr. Black Liberation Army, The Soul of the Black Liberation Army, Julian Richardson Associates, New York 1981; Black Liberation Army, Message to the Black Movement: A Political Statement from the Black Underground, Arm theSpirit-Abraham Guillen Press, Montreal 2002; J.A. Muntaqim, On the Black Liberation Army, Arm the Spirit-Abraham Guillen Press, Montreal 2002; A. Shakur, Assata, cit. Tra gli studi scientifici rimando a O. Umoja, RepressionBreeds Resistance: The Black Liberation Army and the Radical Legacy of the Black Panther Party, in Cleaver – Katsiaficas, a cura di, Liberation, cit., pp. 3-19; G. Faraj, Unearthing the Underground: A Study of Radical Activism in the Black Panther Party and the Black Liberation Army, University of California-Berkeley (tesi di dottorato), 2007; W. Rosenau, «Our Backs Are Against the Wall»: The Black Liberation Army and Domestic Terrorism in 1970s America, «Studies & Conflict in Terrorism», XXXVI, 2, 2013, pp. 176-192. [30] J. Lazerow – Y. Williams, a cura di, In Search of the Black Panther Party, Duke University Press, Durham-London 2006; Rhodes, Framing the BlackPanthers, cit.; C. Davenport, Media Bias, Perspective, and State Repression: The Black Panther Party, Cambridge University Press, Cambridge 2010. [31] J. Bloom – W.E. Martin Jr., Black Against Empire: The History and Politics of the Black Panther Party, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 2013. [32] Cfr. T. Van Eersel, Panthères noires. Histoire du Black Panther Party, L’échappée, Montreuil 2006; S. Shames, Black Panthers, La Marinière, Paris 2006; R. Dubois, Eldridge Cleaver, vies et morts d’une Panthère noire, Éditions Afromundi, Paris 2017; P. Schmelzer, «Black and White, unite and fight»: die Deutsche 68er-Bewegung un die Black Panther Party, Hamburger Edition, Hamburg 2021. Rimando però anche agli studi condotti da Martin Klimke e Maria Höhn e Klimke in Ein Hauch von Freiheit? Afroamerikanische Soldaten,die US-Bürgerrechtsbewegung und Deutschland, Transcript, Bielefeld 2016, sul rapporto tra la sinistra tedesca e le Pantere Nere. [33] Cfr. R. Giammanco, Black Power. Potere Negro, Laterza, Roma-Bari 1968. [34] Cfr. M. Teodori, La Nuova sinistra americana: nascita e sviluppo dell’opposizione al regime negli Stati Uniti degli anni Sessanta, Feltrinelli, Milano 1970. [35] Cfr. A. Martinelli – A. Cavalli, a cura di, Il Black Panther Party, Einaudi, Torino 1971. [36] Cfr. P. Bertella Farnetti, Pantere nere. Storia e mito del Black Panther Party, Mimesis, Milano 2019. [37] Cfr. J.L. Jeffries, Huey P. Newton: The Radical Theorist, University ofMississippi Press, Jackson 2002; P. Alkebulan, The Role of Ideology in the Growth, Establishment, and Decline of the Black Panther Party 1966 to 1982, tesi di dottorato, University of California-Berkeley 2003; Id., Survival Pending Revolution: The History of the Black Panther Party, University of Alabama Press, Tuscaloosa (AL) 2007.



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Bruno Walter Renato Toscano è studente di dottorato in storia contemporanea presso l’Università di Pisa e cultore della materia in «Studi intersezionali di genere» presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere della medesima università. Ha pubblicato articoli scientifici per le riviste «Diacronie. Studi di storia contemporanea», «Sémata. Ciencias sociais e humanidades» e «JAm it! (Journal of American Studies in Italy)». Ha condotto ricerche presso numerosi centri di ricerca negli Stati Uniti e in Europa e dal 2018 collabora al programma televisivo «Passato e Presente» (Rai Storia-Rai Tre).





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