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Oltre Marie. Prospettive di genere nella scienza


particolari
Immagine di Veronica Marchio

Siamo lieti di pubblicare la «Nota delle autrici» di Oltre Marie. Prospettive di genere nella scienza (Le Plurali editrice, 2023) perché si tratta di un libro innovativo sia dal punto di vista scientifico che per il linguaggio e lo stile adottato, scritto da due giovani donne impegnate nell’analisi delle disuguaglianze di genere e nella critica del potere nel lavoro scientifico e universitario. Una matematica e una astrofisica che ci mostrano, in modo chiaro, incalzante ed efficace come un approccio di genere possa ridefinire relazioni e prospettive scientifiche e come la questione della neutralità della scienza e l’immagine del singolo scienziato geniale siano ancora oggi delle mere ideologie.


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Questo piccolo saggio rappresenta per noi non soltanto una sfida, ma anche un esperimento di riflessione collettiva oltre i temi specifici del libro.


Il primo grande dilemma che ci poniamo è il linguaggio. Nel libro Insegnare a trasgredire, la scrittrice afro-americana bell hooks racconta quando da giovane, durante il primo anno di università, venne folgorata dalla frase di una poesia di Adrienne Rich: «questa è la lingua dell’oppressore. Ma ne ho bisogno per parlarti». Commenta bell hooks: «Quando oggi mi ritrovo a pensare al linguaggio, quelle parole sono lì, costantemente in attesa, per sfidarmi e aiutarmi. Mi ritrovo a recitarle di continuo in silenzio, con l’intensità di un canto. Mi spaventano e mi scuotono nella consapevolezza del legame tra lingua e dominio».

È con una consapevolezza altrettanto radicata che ci approcciamo al tema del linguaggio. Come fare ad argomentare, a mettere in dubbio una cultura e visione del mondo, usando proprio le parole, le espressioni e le forme grammaticali che quel mondo hanno rappresentato e plasmato? Un mondo impregnato di cultura patriarcale, classista, abilista (e non solo), che si esprime attraverso una lingua profondamente escludente. D’altra parte, come affrontare una sperimentazione linguistica senza rischiare di perdere in chiarezza e comprensibilità immediata? Dopo lunghe riflessioni, abbiamo scelto di seguire l’approccio di Adrienne Rich: utilizzare, nonostante i suoilimiti, quella lingua tanto familiare e fruibile. È per questo che non troverete la schwa in questo libro, strumento che altre autrici hanno invece cominciato a usare e che avrebbe reso il lavoro più in linea con le nostre posizioni.

Allo stesso modo compariranno a volte delle figure retoriche, delle metafore o delle similitudini che, a guardarle bene, meriterebbero di essere ripulite dagli spessi stratidi polvere che le ricoprono.


In secondo luogo, abbiamo ragionato sulle persone per le quali scrivere. Vogliamo rivolgerci a un pubblico eterogeneo: le persone legate professionalmente alla scienza e interessate ad approfondire la questione di genere nell’accademia, e le persone che non hanno nulla a che vedere con la scienza, ma che sono curiose di sapere come il genere influenzi anche un campo percepito da sempre come neutrale. Il registro, la struttura e il linguaggio tipici di un saggio saranno sicuramente familiari a gran parte del pubblico che ci leggerà, ma abbiamo deciso di tenere a mente tanto le ali quanto le nostre personalissime radici. «Ho lavorato», scrive sempre bell hooks in Elogio del margine, «per cambiare il mio modo di parlare e di scrivere, per incorporare nei miei racconti il senso geografico: non solo dove io sono ora, ma anche da dove vengo, e le molteplici voci presenti in me». E spiega: «Mi riferisco alla lotta personale che si conduce per definire la posizione da cui ci si dà voce – lo spazio del teorizzare». Ci sembra necessario rendere il nostro scritto leggibile non soltanto per le persone con una preparazione accademica o istruzione universitaria, ma anche per quelle che appartengono al nostro universo d’origine, che ci hanno accompagnate nell’infanzia o nell’adolescenza, che ci hanno viste crescere e a cui desideriamo parlare dell’importanza del genere nella scienza tanto quanto alle altre. Tentare di conciliare questi due target sarà un’impresa non sempre facile, ma è per noi molto importante fare questo tentativo.

Il testo, breve, leggero, costruito con parole semplici e facilmente percorribile, non avrà le vesti di un saggio classico, ma speriamo rappresenti un abito comodo pertutte le persone che lo leggeranno.


Per la stessa ragione non troverete note tra le righe. Anche in questa scelta (assai complicata per chi, come noi, è abituata a farne largo uso) ci siamo lasciate guidare dalle riflessioni di bell hooks, che, come avrete capito, è per noi grande fonte di ispirazione e che in Talking back scrive: «mi sono confrontata con le comunità nere della classe operaia e con la mia famiglia e i miei amici per capire chi di loro avesse mai letto libri con note a piè di pagina. Alcuni non sapevano cosa fossero, ma la maggior parte le vedeva come l’indicazione che si trattava di un libro destinato a persone con un’istruzione universitaria. Queste risposte hanno contribuito alla mia decisione di non usare le note». Ci saranno persone alle quali questa osservazione susciterà delle perplessità. Per altre, come per noi, ha invece un immediato richiamo e ci rassicura sul fatto che siamo sulla buona strada. E poiché desideriamo che questo libro possa essere letto da chiunque lo voglia senza mai sentirsi fuori luogo, abbiamo scelto strade alternative a quella delle note. Eliminarle al termine del processo, dopo averle già pensate e inserite, è stata un’operazione difficile; ci consoliamosapendo che nella bibliografia si può trovare traccia completa di tutte le fonti e i riferimenti che abbiamo utilizzato.

L’ultima riflessione riguarda il metodo. Si suppone, in genere, che più autrici lavorino insieme alla stesura di un libro in modo collaborativo, ossia occupandosi in parallelo di parti differenti del testo, ognuna in modo individuale, integrando poi il tutto assieme. Nel nostro caso, invece, ci lanciamo in un tentativo di scrittura collettiva: scriveremo il libro a quattro mani, tutto, nel senso più letterale del termine. Ogni riga del testo sarà frutto di confronto, discussione e rielaborazione condivisa.


Per concludere, prendiamo di nuovo in prestito le parole di bell hooks: «scegliere di usare un linguaggio semplice, o l’assenza di note a piè di pagina, avrebbe significato mettere a rischio la possibilità di essere presa sul serio negli ambienti accademici. Ma si trattava di una questione politica, e di una decisione politica». È proprio qui che abbiamo scelto anche noi di posizionarci e da qui abbiamo scelto di scrivere. Entrambe veniamo dal mondo della ricerca scientifica ed è nella pratica del fare scienza che sono nate le riflessioni alla base di questo libro. Ma le nostre radici affondano altrove, in terreni differenti, dai quali abbiamo scelto di continuare a farci alimentare.


Buon attraversamento, per ritrovarci oltre.


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Nastassja Cipriani è socia fondatrice di WeSTEAM e assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino. Matematica e insegnante, si occupa di uguaglianza di genere nella scienza, discriminazione delle donne nell’accademia ed epistemologia femminista.


Edwige Pezzulli socia fondatrice di WeSTEAM, è assegnista di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica e comunicatrice scientifica. È autrice di laboratori, conferenze e workshop su temi scientifici e di intersezione tra scienza e genere. È autrice e conduttrice RAI di Superquark+ e Scienziate. Ha pubblicato il libro Apri gli occhi al cielo (Mondadori 2019).

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