Olivo Barbieri, Alps Geographies and People, 2012
Benvenuti a bordo! Olivo Barbieri vi porta in alto, in elicottero, per mostrarvi le contraddizioni del mondo dietro ai luoghi comuni, nello spazio ormai completamente antropizzato della terra. In un momento ci caliamo nella miniaturizzazione del brulichio umano fuori dalle città, in aree-mondo che hanno trasformato per sempre l’idea di paesaggio. «Mountains & Parks» il titolo del bel libro/catalogo (Magonza Editore) che accompagna l’omonima mostra, ormai chiusa, al Centro Saint Bénin di Aosta, curata da Alberto Fiz. Diviso in tre sezioni, il volume, riporta tre diversi corpus tematici: parchi, discariche e sculture. Per Barbieri, la fotografia non è documentazione di realtà ma indagine sulla rappresentazione della realtà. Attraverso lo scatto e l’alterazione cromatica delle superfici, l’artista cerca di pervenire alla struttura primaria delle cose, siano esse montagne, cascate, persone, insegne commerciali o opere d’arte. Il volume si apre con una sua dichiarazione secca ed essenziale: «fotografo ciò che non capisco e ciò che mi spaventa: gli ideogrammi, le città di notte, le megalopoli inquinate, gli stadi, le grandi montagne, le montagne cinesi, gli arrampicatori con un’estetica, le vacanze». Entriamo, in questo suo (e nostro) mondo globale e percepiamo la bellezza dei luoghi del desiderio, ma anche un diffuso sentore di malattia. La visione delle immagini pubblicate ci procura la curiosità del viaggiatore. Attraversiamo i parchi a tema che sono delle sconfinate Disneyland da rotocalco. Sono le aree attorno alle megalopoli sulle quali già dal 2003 l’autore si concentra con visioni intelligenti, patinate e fortemente critiche. Come potrebbero ancora esistere le cascate del Niagara senza l’indotto economico del turismo? E cosa conservano di naturale quando una volta chiuse la sera le vediamo completamente disseccate? Nell’intervista di Fiz, Barbieri afferma: «Fotografando di notte le cascate del Niagara ho visto che sono solo un enorme luogo di spettacolo. Il vero flusso d’acqua più famoso del mondo, attraverso condotte sotterranee, viene incanalato per produrre energia elettrica. Ciò che maestosamente vediamo in superficie sopravvive solo per intrattenere, ogni anno, milioni di turisti. A mezzanotte le luci che illuminano la cascata vengono spente e lo scorrere dell’acqua interrotto fino allo spuntare del giorno. Parchi tematici». Ma l’immagine riportata è una specie di luminosa cartolina anni sessanta con un’aria di festa e di stupore e un senso di pericolosa inconsapevolezza sulle teste degli ignari visitatori.
Olivo Barbieri, The Waterfall Project, Iguazu, Argentina e Brasile, 2007
Nelle foto di Iguazu, un gruppo di spettatori ammira stupito le cascate. I turisti sono protetti da una solida piattaforma che sporge sull’abisso. «Uno zoo al contrario – dichiara l’autore – dove gli umani si auto-ingabbiano per proteggersi dalla forza della natura che li attrae e spaventa. Se ci alziamo e allarghiamo lo sguardo poi, scopriamo che questa è solo una chiazza di foresta circondata da coltivazioni». Il Monte Bianco che è apparentemente l’immagine del trionfo della montagna, cela la problematica ambientale del surriscaldamento. Barbieri mette in evidenza l’esigua presenza del ghiaccio a formare il disegno di una sorta di grande teschio. Nel ciclo dedicato alle montagne è messa in crisi la visione eroica dello scalatore che incarna l’invincibilità del corpo cinematografico contemporaneamente al rischio della morte.
Barbieri adotta partiture di colori per rivelare l’essenza della forma senza alterarne l’immagine. Così la montagna scarnificata torna all’origine: è azzurra come sommersa dagli oceani o bianchissima come risultante da un foglio da disegno. Tra i parchi c’è l’immagine dei Faraglioni immersa in un cielo arancio-Pantone. Più che il paesaggio, l’autore mostra concettualmente un’idea di tramonto come si forma nella memoria.
Olivo Barbieri, Capri, 2013
I parchi sono però anche le discariche del sudest asiatico dove le popolazioni vivono immerse nei micro-frammenti di plastiche, metalli, componenti industriali e materiali tossici. Gli abitanti di Jatiparang, coabitano con 1500 mucche in una pericolosa promiscuità. Qui animali e uomini fanno a gara per arraffare gli scarti alimentari dei camion provenienti dalle vicine megalopoli. La visione dei villaggi spazzatura in Tailandia, Indonesia, Malesia, crea profondo disagio e rispecchia la faccia sporca del consumismo occidentale colorato e spensierato. Il globo terracqueo è dunque raccontato come in un saggio enciclopedico per immagini e porta l’autore a toccare la profondità geometrica delle forme essenziali del mondo sino a renderla oggetto scultoreo. La novità è infatti l’opera plastica, sono le sculture, simili a rendering, nate dalla fotografia. «Le sculture – conclude l’artista nell’intervista con il curatore – materializzando una serie di segni primari, fanno riferimento alla mappatura simbolica dei codici Hobo, gli antichi vagabondi americani, e dei Rom, gruppi sociali che rifiutano la condizione stanziale. È una mappatura simbolica che convive con altri sistemi, anch’essi simbolici».
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