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La sessuazione secondo Freud e Lacan: un discorso edipico senza fine


La sessuazione secondo Freud e Lacan
Immagine: Nancy Spero, The Dance, 1993

Con questo suo importante contributo Silvia Lippi critica, da psicoanalista, il modo binario in cui nella clinica freudiana e lacaniana ancora oggi viene trattata la sessualità. Tale critica è costruita a partire dalla necessità di mettere in discussione la centralità del complesso di Edipo. Non si tratta di sostenere che ci si deve sbarazzare del complesso freudiano, ma che occorre sradicare la sua centralità nella direzione della cura in quanto il complesso di Edipo non può più essere il punto di partenza per pensare la sessuazione nel contemporaneo. In particolare, questa manovra teorica-clinica diventa tanto più urgente in quelle analisi che sono caratterizzate da problematiche identitarie e dove altrimenti il rischio di agire una «violenta» pratica normativa e riparativa diviene molto probabile.

 

***


Il concetto di Edipo nella psicoanalisi nasce con l’interpretazione dei sogni. Freud si rende conto che molt* de* su* pazient* realizzano, mentre sognano, i loro desideri incestuosi e/o assassini nei confronti dei loro genitori[1]. Freud prende allora spunto dalla famosa tragedia di Sofocle per spiegare i meccanismi inconsci del desiderio: Edipo si innamora di sua madre e la sposa, uccidendo in seguito suo padre, il tutto senza saperlo. Il complesso si costruisce per Freud attraverso delle tappe, secondo una progressione che indica lo sviluppo psichico della persona. Per raggiungere lo stadio della normalità, Freud ci dice che l’Edipo dovrebbe concludersi secondo delle modalità distinte per i maschi e per le femmine: dal lato maschile, l’Edipo soccombe a causa dell’angoscia di castrazione provocata dalla minaccia paterna, dal lato femminile sarà abbandonato a seguito della delusione della figlia nei confronti del padre che non saprà rispondere alla sua domanda d’amore e di protezione. Il soggetto si ammala quando il «declino» dell’Edipo non avviene correttamente. In molti dei suoi testi, Freud ci spiega che i sintomi del soggetto sono legati al complesso famigliare: pensiamo a Dora, la famosa paziente di Freud, la cui tosse è il segno dell’identificazione al tratto paterno, che sigilla, nello stesso tempo, l’amore infinito della figlia nei confronti del padre.

Ma Freud si rende conto che un Edipo «normale» non esiste, e che i resti degli amori primordiali del soggetto persisteranno durante tutto il corso della sua vita. Il complesso è un processo infinito, le fasi paterna, materna, fallica, femminile, ecc. si alternano senza trovare pace: l’Edipo si designa come la vera malattia della nevrosi[2]. L’unico modo per sbarazzarsene è proprio quello di non cercare una risoluzione definitiva, di lasciare cioè il «triangolo aperto», come dicono Deleuze & Guattari, aperto ad altri flussi — inaspettati — del desiderio[3].

Lacan cercherà, a sua volta, di dare un’altra svolta al complesso di Edipo, emancipandolo dalle costruzioni immaginarie che il soggetto produce durante la cura, e rinforzando, in un certo senso, il suo lato normativo. Lacan, in altre parole, trasporta il complesso freudiano sul piano simbolico, mettendo da parte la sua dimensione immaginaria: se l’Edipo è all’inizio una combinatoria di fantasmi costruiti sulle figure genitoriali, diventerà con Lacan la matrice della legge che vieta l’incesto e che stabilizza il desiderio a livello individuale come sociale. Lacan chiama questa legge simbolica, a seconda dei momenti del suo insegnamento, «legge del Nome-del-Padre», «legge della castrazione», «legge del padre morto», «legge del padre simbolico». Lacan utilizzerà le lettere dell’alfabeto greco per differenziare la castrazione immaginaria «- ϕ» e la legge della castrazione «Φ». Nel momento in cui cercherà di formalizzare, servendosi della logica, la differenza sessuale, utilizzerà il segno Φ per indicare la «funzione fallica», alias la legge della castrazione, alla quale tutti i soggetti, indipendentemente dal loro sesso o genere[4], devono sottomettersi. È da questa legge — universale — che nasce la norma cisgender[5] eterosessuale, che, come vedremo, è ancorata all’Edipo.

Se la famiglia etero-patriarcale è all’origine del complesso di Edipo, per Lacan è la legge della castrazione che detta la norma della differenza sessuale, per forza binaria. Se Freud pensa che la madre è castrata (infatti desidera il fallo) e il padre no (ed è la ragione per cui sarà ucciso: prima da Edipo e poi dai fratelli della orda primitiva), per Lacan la castrazione non riguarda più il corpo, nel senso che non ci sono degli esseri castrati (le donne) ed altri no (gli uomini): la castrazione diventa una legge astratta, trascendentale, legata alla funzione del linguaggio, linguaggio che impedisce al soggetto di godere (della madre), e gli impone la riconoscenza del proprio sesso. È in questo senso che possiamo dire che la legge simbolica ha un effetto sul corpo, corpo che non è certo un’istanza indipendente dal contesto culturale in cui è concepito.

Quindi, se la legge della castrazione funziona per un soggetto, cioè se questa riesce ad imporsi, il soggetto «normale» deve per forza accettare il proprio sesso, il sesso che gli è stato imposto alla nascita, il sesso che figura sui suoi documenti, e che corrisponde al sesso anatomico.

Pene = uomo, vagina = donna: ma siamo sicuri che questa associazione che ci sembra così naturale sia una verità del corpo indipendente dalla legge simbolica?[6] E se non fosse così, in che modo l’Edipo che detta la norma cisgender ed etero-patriarcale, condizionerebbe il genere e l’orientazione sessuale?

Se l’Edipo è per Freud un fantasma, e se la legge simbolica per Lacan nasce da una costruzione immaginaria, questo non vuol dire che questa legge, che detta la norma in materia di genere, non abbia un impatto sull’inconscio. Judith Butler ha ampiamente mostrato nei suoi scritti l’influenza inconscia della norma a livello dell’oggetto del desiderio e dell’assunzione del genere[7].

Se la norma di genere avesse un’origine edipica, sarebbe sicuramente ingiusto dire che in Freud e Lacan il maschile e il femminile sono due essenze, due categorie distinte tra loro. La norma di matrice edipica non impone al soggetto nato maschio una posizione identitaria e libidinale esclusivamente maschile, e al soggetto nato femmina, esclusivamente femminile. Ricordiamo che nelle differenti fasi dell’Edipo freudiano il soggetto può identificarsi indistintamente alla madre o al padre, quindi ad una posizione femminile o maschile, o anche a tutte e due, a seconda dei momenti diversi della vita del soggetto. Il famoso concetto di bisessualità psichica, inventato e mai abbandonato da Freud, permette ad un uomo del XIX secolo di spiegarci che identità e orientazione sessuale non dipendono dal sesso biologico.

Per quanto riguarda Lacan e la sua maniera di concepire la sessuazione, possiamo dire che quest’ultima non dipende dall’anatomia, ma dalla logica. La posizione maschile e la posizione femminile si distinguono tra loro a partire dai loro modi di godere differenti, e nulla impedisce a un uomo di godere in modo femminile, e viceversa. Lacan non poteva essere più chiaro: «L’essere sessuato non si autorizza che attraverso sé stesso»[8], dirà giustamente in Les non-dupes errent.

La posizione maschile e la posizione femminile sono per Lacan intercambiabili e mai definitive, e soprattutto non si oppongono simmetricamente tra loro: se l’uomo è «tutto-fallico» (tout-phallique), la donna è «non tutta-fallica» (pas tout-phallique). Questa circolazione logica dei due godimenti distinti e mai complementari (uno chiuso e uno aperto, uno concentrato sul linguaggio e l’altro sul corpo, ecc.), ha fatto credere a cert* psicoanalist*, che Lacan è più queer delle stesse persone queer. Ma un conto è pensare che l’isterica fa l’uomo o che un mistico gode come una donna, e un’altra cosa è travestirsi, performare un altro sesso, fare una transizione di genere, cambiare nome all’anagrafe, modificare il proprio corpo, ecc. Infatti, i cambiamenti di posizione nel quadro della sessuazione di Lacan, come la bisessualità psichica del soggetto per Freud, non gli risparmiano di dover riconoscere quella «piccola differenza[9]» tra i sessi, differenza, che per Lacan, non è più solo un effetto della legge simbolica: la legge simbolica è raddoppiata da quello che Colette Soler chiama il «reale del corpo» (è cosi che la psicoanalista interpreta l’insistenza di Lacan sulla «piccola differenza» nella sua prima lezione di … o peggio)[10]. Insomma, il soggetto non si deve solo piegare alla legge simbolica (che detta la norma del binarismo sessuale), esso si deve piegare anche alle leggi dell’anatomia, vedi della genitalità. Possiamo girare la frittata tutte le volte che vogliamo: i sessi sono due, e da lì non si scappa. Né la bisessualità psichica dell’Edipo, né la sessuazione logica di Lacan costruita sulla funzione fallica, permettono di pensare l’identità e l’orientamento sessuale aldilà del maschile e del femminile.

 


Dalla castrazione al trauma: cambiare il perno per pensare la differenza sessuale

 Il binarismo è attualmente rimesso in discussione da un certo numero di psicoanalist* in Francia (Fabrice Bourlez, Thamy Ayouch, Laurie Laufer, Vincent Bourseul…), e la comunità lacaniana è oggi divisa. La mia ipotesi è, che se vogliamo pensare una psicoanalisi inclusiva, che pensa l’identità di genere come differenza assoluta e particolare (creata cioè a partire dalla propria esperienza sintomatica) e non come opposizione binaria dei sessi, dobbiamo rinunciare una volta per tutte a mettere al centro della differenza sessuale l’Edipo: sia esso pensato come legge della castrazione (la norma sessuale), o come funzione fallica (differenza fondata sul fallo simbolico, universale, e le sue differenti combinatorie).

Che la funzione fallica sia chiamata funzione paterna, fallo o castrazione, questa non può più comunque essere considerata come la legge universale, il passaggio obbligato per il soggetto (indipendentemente dal sesso o genere) per aver accesso al godimento specifico in funzione della sua identità sessuale. La ragione è molto semplice: la funzione fallica è ancora un retaggio dell’Edipo.

Non voglio dire che dobbiamo sbarazzarci completamente del complesso freudiano, ma semplicemente togliergli la centralità nelle cure, in particolare in quelle con problematiche identitarie. È innegabile che la castrazione, il fallo, la funzione paterna, ecc. siano legate a certe dinamiche famigliari che fanno questione per molti soggetti nevrotici, ma il complesso di Edipo non può essere il punto di partenza per pensare la sessuazione.

È il trauma che ci fa da bussola, elemento di non-sapere dell’analizzante come dell’analista, che ci muove nei meandri del suo desiderio: è il trauma il cuore dell’inconscio, come ce lo indica Freud in molti dei suoi scritti, e anche Lacan certo, quando riesce ad allontanarsi dalla sua ossessione per il fallo e la castrazione.

Concentrarsi sul trauma e non sulla castrazione vuol dire spostare l’asse della direzione della cura sul sintomo: sintomo non come compromesso o come metafora, ma come modalità di godimento e come ripetizione del trauma. Sintomo come après coup, dice Freud, come invenzione dice Lacan, sintomo come trasformazione, perché senza sintomo il soggetto non può né agire né tessere dei legami sociali. Il sintomo ci permette un altro approccio della differenza sessuale, non binaria, e direttamente connessa al trauma singolare del soggetto.


 

Pene o fallo: che cosa marca la differenza sessuale per Freud e per Lacan?

 Vorrei qui riproporvi la mia ipotesi: né Freud né Lacan riescono a spostarsi dall’Edipo per pensare la differenza sessuale. Prendiamo nell’insegnamento freudiano, il famoso penisneid, la voglia del pene della bambina[11]. Questa, nel momento in cui si rende conto di non avere il pene, è presa dall’orrore della sua castrazione. Orrore che non è certo risparmiato al bambino, che vede che la sua sorellina, come pure la sua mamma, ne sono sprovviste e quindi, chissà, anche lui, un giorno, potrebbe perdere il suo membro venerato. Ma perché il bimbo e la bimba non hanno paura di crescere senza il seno, come il loro papà, allora che la loro mamma ne è provvista? O più chiaramente, da dove viene la capacità che ha questo pezzetto di carne, di concentrare su di sé tutte queste angosce immaginarie, se non che il pene si trova a simboleggiare tutti i privilegi di cui godono i suoi possessori (o i fantasmi di uno stato in cui questi privilegi li possederebbero senza limiti, come il Padre primitivo)?

Se il destino dei padri e delle madri non fosse così drasticamente differente, come pure quello dei bimbi e delle bimbe, a causa del famoso pezzetto di carne denominato pene, come era il caso ai tempi di Freud e del resto ancora in gran parte oggi, le costruzioni immaginarie che determinano la differenza fra i sessi sarebbero quello che sono? Il fallo, cioè il pene in erezione, verrebbe ancora a simboleggiare il desiderio della madre, e poi il desiderio tout court?

Tutto è cominciato con l’idea freudiana del fallo come oggetto del desiderio della madre[12], mettendo quindi, l’organo maschile — Freud non distingue il fallo dal pene — al centro della dinamica del desiderio, prima della madre e poi del soggetto. È un desiderio concepito come mancanza, e in un certo senso già sessuato, perché, nonostante tutti gli sforzi di astrazione che si possono fare, quando pronunciamo la parola «fallo» è difficile non immaginare immediatamente il pene maschile in erezione.

Questo valore indefesso del pene è sicuramente prolungato dall’Aufhebung di Lacan[13] (Lacan aveva fatto subire un’operazione simbolica all’Edipo, ed è ora la volta del pene. Questo «scavalcamento» permette al fallo di equivalersi a ciò che il pene non è: lo conserva quindi a partire dalla sua negazione (ma sempre lo conserva!). Il fallo diventa allora il significante della mancanza, alias della castrazione, o più generalmente il significante dell’insignificabilità del desiderio[14]. Nonostante la sottigliezza di questa teorizzazione lacaniana, possiamo notare senza fatica che la referenza all’organo genitale maschile resta fondamentale nella costruzione del concetto di fallo per Lacan. Possiamo ripetere quanto vogliamo che il pene non è il fallo per i lacaniani, e però pene e fallo sono irrimediabilmente concatenati, l’uno dipende dall’altro vicendevolmente. Il fallo non è un puro simbolo, e la castrazione non è una pura funzione logica: essa ha presa sui corpi solamente perché qualcosa dell’ordine del desiderio passa per Lacan attraverso la differenza anatomica. E perché passa proprio di là?

La teoria simbolica e poi logica di Lacan non è senza rapporto con i contenuti immaginari, legati a delle realtà sociali e culturali del mondo in cui egli viveva. Ma non possiamo continuare a giocare su due piani nello stesso tempo, e parlare di un simbolico puro, quando pensiamo alla sua teoria della differenza sessuale, tenendo conto dei dati sociali e culturali, e rinviando poi alla differenza anatomica quando si vuole liberare la nozione di simbolico da ogni rimando a delle categorie sessuali anatomiche o di genere. È questo doppio gioco che è spesso messo in scena da molti psicoanalisti lacaniani, che si innervosiscono quando oggi il loro binarismo sessuale è messo in causa.

Anche se Lacan ha precisato in … o peggio, che è un errore credere che la castrazione sia legata al penisneid, in quanto la castrazione è un effetto del linguaggio (e quindi è universale[15]), perché insistere allora nello stesso testo sulla «piccola differenza» anatomica fra i maschi e le femmine? Infatti, Lacan scrive che la differenza sessuale non può essere riconosciuta solamente a partire da «criteri che dipendono [per l’appunto] dal linguaggio»[16]. La differenza sessuale separa i soggetti da dentro, a partire dal non-rapporto sessuale: la differenza è interiore, non è una relazione esteriore all’altro. È una differenza auto-referenziata, non un’opposizione simmetrica fra l’uomo e la donna (ricordiamoci che per Lacan, La donna non esiste). Ma questa differenza auto-referenziata passa tuttavia attraverso il fallo, significante capace di concentrare in sé la questione del desiderio.

 


Lacan e la transfobia

 Se per Freud l’Edipo è centrale per pensare la differenza sessuale, siamo certi che non lo sia anche per Lacan nelle sue formule della sessuazione? E se l’Edipo è all’origine della legge simbolica, non lo è anche del concetto di castrazione, o di «funzione fallica», al centro della logica della differenza sessuale in Lacan?

Ebbene, credo proprio che l’Edipo sia ancora «presente» nel quadro delle formule della sessuazione di Lacan, non come complesso, ma come resto, resto significantizzato dalla funzione fallica, pietra miliare delle formule (tutto fallico, non-tutto fallico, ecc.). Non sbagliamoci: il fallo qui è quello simbolico, lo stesso della legge del padre morto di Totem e Tabù, del Nome-del-Padre, della castrazione.

Dall’Edipo non si sfugge. Anche la posizione femminile, che Lacan considera non-tutta fallica, resta comunque, sempre, un po’ fallica: il passaggio per la castrazione è obbligatorio! La formula arci conosciuta di Lacan «Del Padre se ne può fare a meno a condizione di servirsene»[17] non dice altro che questo. Intendete padre come volete, cioè come Nome-del-Padre, come funzione fallica, come castrazione… ma non dimenticatevi che questa funzione logica è all’inizio un personaggio dell’Edipo: il papà, ovviamente provvisto di pene.

A partire da una concezione della differenza sessuale basata sull’Edipo e sul suo significante primordiale — il fallo —, fondatore e organizzatore del linguaggio, del desiderio e della sessuazione, la molteplici identità di genere che incontriamo oggi nella clinica, non possono essere concepite altrimenti che come delle «trasgressioni», vedi delle «disfunzioni» della norma sessuale edipico-anatomica: «disforia di genere», dicono ancora oggi alcuni psichiatri e psicoanalisti[18].

Vorrei ricordare qui il discorso di Lacan, in cui si riferisce alle persone transgender, pronunciato durante il suo seminario del 1971, Di un discorso che non sarebbe del sembiante:

 

«L’identità di genere non è nient’altro che quello che io intendo con questi termini, l’uomo e la donna. È evidente che la questione si pone a partire da quello che si sviluppa precocemente, cioè che all’età adulta, gli esseri parlanti sono destinati a ripartirsi fra uomini e donne. Per capire l’accento da mettere su queste questioni, su questa istanza, dobbiamo renderci conto che quello che definisce l’uomo, è il suo rapporto alla donna, e inversamente» [19].


È evidente che Lacan non lascia spazio ad altre sessuazioni non-binarie, e soprattutto la relazione è pensata solamente fra persone che hanno un’identità opposta. La coppia è eterosessuale e la sessuazione binaria, punto e basta.

Da notare che questo passaggio, è una delle rare volte in cui Lacan utilizza il termine «genere» riferito all’identità sessuale, senza adottarlo e senza interessarsene particolarmente in seguito[20]. Nella stessa lezione del seminario, Lacan aveva invitato il suo pubblico alla lettura di Sex and Gender di Robert Stroler, considerandolo un libro importante, ma criticandolo subito dopo perché il testo non parla del concetto lacaniano di forclusione del Nome-del-Padre. Anche qui, Lacan non ha dubbi, le persone trangender, sono per lui necessariamente psicotiche. Dice infatti:

 

«Una delle cose più sorprendenti, è che la faccia psicotica di questi casi è completamente elusa dall’autore, essendo in mancanza dei punti di riferimento necessari, la forclusione lacaniana non gli è mai pervenuta alle orecchie, forclusione che chiarisce subito e facilmente la forma di questi casi»[21].

 

Nel seminario seguente, … o peggio, cominciato nel 1971, Lacan insiste nella sua prima lezione sulla diagnosi universale di psicosi per le persone transgender, considerando che il loro problema, vedi errore è proprio il fatto di prendere il fallo per il pene. Ciò è piuttosto comune precisa Lacan, ma quello che caratterizza i «transessualisti» — è così che chiama le persone transgender —  è giustamente «la follia di volersi liberare di questo errore», attraverso giustamente, «il passaggio per il Reale», cioè l’intervento medicale o chirurgico che permette al soggetto di modificare il corpo[22].

Inutile dilungarsi in lunghe spiegazioni, l’errore di Lacan risiede nella sua maniera di articolare la questione della differenza sessuale al simbolico, rappresentato giustamente dalla funzione fallica (o paterna) che opera lo smistamento dei sessi, in modo rigorosamente ordinato: potete immaginare quello che volete, prendere tutte le posizioni che volete, mettervi dal lato «uomo» o dal lato «donna», ma quando si ha a che fare con la legge (ogni tanto la legge della castrazione, ogni tanto la legge dell’anatomia), i sessi sono sempre e solo due, uomo e donna. E se non siete pront* ad accettarlo, non vi resta che passare nel campo della psicosi.

Il punto di vista di Lacan non potrebbe essere più terso. E quello che è chiaro anche per noi, è che Lacan non doveva averne una grande esperienza clinica delle transidentità, almeno al di fuori dagli ospedali psichiatrici, per affermare che le persone transgender sono per forza psicotiche. Probabilmente ha in testa il delirio di diventare donna di Schreber: ma chi potrebbe mai dire che tutte le persone non-binarie delirano?

Non ci sorprende dunque che Lacan analizzi il desiderio di cambiare genere in modo insoddisfacente[23]. Innanzi tutto, nei due seminari del 1971, egli non tiene conto delle transizioni di donne verso il genere maschile, né delle persone che transizionano senza fare uso della chirurgia, né di una ipotetica identità non-binaria per altri soggetti che non riconoscono il sesso che gli è stato assegnato alla nascita senza per forza voler appartenere al sesso opposto[24].

Non voglio certo dire che considerare le persone transgender psicotiche sia un’ingiuria per Lacan, dal momento che ha sempre messo la psicosi al centro del suo approccio teorico-clinico, senza patologizzarla, e soprattutto senza segregarla[25]. E non voglio neanche escludere che tra le persone transgender vi possano essere dei soggetti psicotici, ma una tale generalizzazione è incomprensibile, a meno che, ancora una volta, si metta la legge del Nome-del-Padre (o del fallo, o della castrazione…), al centro della dinamica della sessuazione, in quanto norma: o accettate il vostro sesso biologico, o siete pazzi! E se siete pazzi, lo siete perché non vi siete piegati alla norma, che vi impone un’identità di genere sottomessa all’anatomia.

 


Finale

 L’Edipo diventa una trappola per pensare la differenza sessuale, perché non può concepire l’identità sessuale al di fuori del maschio o della femmina, imponendosi così come funzione anatomo-etero-fallica.

Non credo però che la questione sia di pensare un aldilà dell’Edipo, ma un contro-Edipo, un anti-Edipo come dicono les enfants terribles della filosofia, Deleuze & Guattari. Il corpo, vedi l’inconscio, non è una conseguenza dell’Edipo, né del fallo, né della castrazione, che è più una difesa che un elemento traumatico per il soggetto. Deleuze e Guattari lo spiegano magnificamente in questo passo: 

 

«È proprio questo che ci preoccupa, questa riformulazione della storia, e questa “mancanza” attribuita agli oggetti parziali. E come gli oggetti parziali non avrebbero perso la loro virulenza e la loro efficacia, una volta introdotti in un uso di sintesi che rimane fondamentalmente illegittimo nei loro confronti? Non neghiamo che vi sia una sessualità edipica, un'eterosessualità e un’omosessualità edipica, una castrazione edipica — oggetti completi, immagini globali ed io specifici. Neghiamo che siano produzioni dell'inconscio» [26].

 

Il desiderio pensato senza la referenza alla castrazione è quello che Freud chiama «pulsione», pulsione che può trovare certo degli accomodamenti ma senza avere nessuno che la pilota (come il Nome-del-Padre, declinato al singolare o al plurale), e dove la mancanza (la castrazione) non determina il desiderio, ma eventualmente qualcosa del processo desiderante del soggetto che si chiama fantasma. Chi ha detto che la pulsione vuole tutto? Al contrario, la pulsione ha sempre qualcosa di parziale che la muove, e che gli dà una struttura: Lacan parlava della pulsione come di un quadro surrealista. Il sintomo è un esempio perfetto di questa modalità di desiderio.

L’Edipo è dunque una legge che si impone all’inconscio come alla società, ma l* psicanalist*, grazie soprattutto alla clinica delle transidentità, possono rendersi conto che la sua legge è legata a un fantasma, e non al corpo.

Il corpo che desidera e che gode impone altre necessità al soggetto, giustamente attraverso l’espressione del sintomo. Ed è dunque come sintomo — sintomo in quanto ripetizione del trauma singolare, e sintomo come modalità particolare di desiderare e di godere après-coup — che possiamo abbordare la questione dell’identità, e considerare quindi la transidentità come un sintomo. Dove, ripetiamolo il sintomo non è una patologia da estirpare, ma un’invenzione del soggetto, che gli permette un’iscrizione nel legame sociale. Il sintomo non è per forza «tossico» per il soggetto, proprio perché il soggetto è capace di trasformarlo: «sintomo felice» dice Colette Soler[27]. E se la transidentità fosse, in certi casi, un magnifico esempio di sintomo felice?

 


Note

[1] S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Opere complete, vol. III, Bollati Boringhieri, Torino 1978, p. 239.

[2] S. Freud, Sviluppo della libido e organizzazione della sessualità, in Introduzione alla psicanalisi, in Opere complete, vol. VIII, Bollati Boringhieri, Torino 1978, p. 494.

[3] G. Deleuze – Felix Guattari, L’Anti-Edipo, Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2002, p. 106. Corsivo dell’autore.

[4] Per «sesso» intendiamo il sesso anatomico, e per «genere» la costruzione individuale dell’identità. I termini «sessuazione» e «sessuale» sono invece più generali, e saranno usati per indicare indistintamente il sesso e il genere, quando giustamente non è necessario distinguerli.

[5] Si intende per «cisgenere», una identità di genere in cui il soggetto assume il genere che gli è stato assegnato alla nascita.

[7] J. Butler, Trouble dans le genre. Le féminisme et la subversion de l’identité, La Découverte, Parigi 2005, p. 36.

[8] J. Lacan, Les non-dupes errent (1973-1974), seminario inedito, 9 aprile 1974.

[9] J. Lacan, Le Séminaire, livre XIX, …ou pire, Parigi, Seuil, 2011, p. 13.

[10] C. Soler, Une nouvelle économie sexuelle, in Le choix du sexe, «Revue du Champ Lacanien», n°17, 2015, pp. 11-12.

[11] S.Freud, Quelques conséquences psychiques de la différence anatomique entre les sexes, in La vie sexuelle, PUF, Parigi 1969, p. 127. Il penisneid è pertanto discutibile come fatto clinico, sebbene si possano incontrare delle bambine che vorrebbero avere un pene. Ma come spiegare che ci sono anche dei ragazzini che sarebbero felici se glielo tagliassero? Questi desideri possono manifestarsi nelle bambine trans, ma non esclusivamente. La voglia di avere il pene non può essere determinata solo dall'angoscia della castrazione, contrariamente a quanto Freud pensava a proposito del complesso di mascolinità della bambina. Parallelamente, una persona non può desiderare di sbarazzarsi del suo pene senza che ciò significhi per lei una castrazione, essa può avere ogni sorta di ragione, i cui fondamenti simbolici e traumatici sono del tutto estranei alla castrazione (immaginaria) come tale. Questa persona può, ad esempio, desiderare di unirsi al collettivo delle donne per sfuggire a una certa abiezione politica che attribuisce al corpo maschile, come afferma la scrittrice trans Andrea Long Chu, nella sua autobiografia teorica. Andrea Long Chu, « On Liking Women. The Society for Cutting Up Men is a Rather Fabulous Name for a Transsexual Book Club », in Motherland, n° 30, hiver 2018. Questo passo è preso da Silvia Lippi & Patrice Maniglier, Soeurs, Pour une psychanlyse féministe, Seuil, Parigi 2023, p. 75.

[12] Se all’epoca di Freud ci fossero state delle coppie omoparentali di donne, l’inventore della psicoanalisi avrebbe continuato a dire che il fallo simboleggia l’oggetto del desiderio della madre?

[13] J. Lacan, La significazione del fallo, in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino 2002, p. 692.

[14] Devo questa bella definizione lacaniana del fallo a Patrice Maniglier.

[15] J. Lacan, …ou pire, op. cit., p. 16.

[16] Ibid.

[17] J. Lacan, Le Séminaire, Livre XXIII, Le Sinthome, Seuil, Parigi 2005.

[18] Per Jean-Pierre Lebrun, «La disforia di genere qualifica colui o colei che ritiene che l'anatomia che è la sua — il suo sesso — non corrisponda a ciò che egli o ella pensa di essere, ciò che definisce allora come suo genere». Ricordiamo che questo termine designa, nel vocabolario psichiatrico attuale, non la transidentità come disturbo, come lo pensa Lebrun, ma la sofferenza, nel senso generico del termine, legata alla transidentità.

[19] J. Lacan, Le séminaire, Livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas que du semblant, Seuil, Parigi 2006, p. 32.

[20] Per Jacques-Alain Miller a ragione. Egli afferma infatti, in una conversazione con Eric Marty, in cui lo psicoanalista e lo scrittore cercano di sminuire l’apporto di Judith Butler e di altri sostenitori della concezione multipla delle sessuazioni: «Così, Lacan, i lacaniani, non si sono lasciati scappare Stroller [lo psichiatra e psicanalista che ha usato questo termine distinguendolo da quello di sesso]. Ma non hanno pertanto adottato il concetto di genere. E io non ho per niente l’impressione che abbiamo mancato qualche cosa. Importato da Judith Butler, questo concetto è fatto per: minorare, pluralizzare, scardinare, cancellare, far dimenticare la funzione della differenza sessuale, il fatto che ci sia un esso e l’altro, e questo fa due, e non un piccolo n sessi, come lo volevano Deleuze e Guattari da L’Anti-Edipo, ancora prima che comparisse il genere».

[21] J. Lacan, D’un discours qui ne serait pas que du semblant, op. cit., p. 31.

[22] J. Lacan, …ou pire, op. cit., p. 17.

[23] «Voi sapete forse che il transessualismo consiste precisamente in un desiderio molto energico di passare attraverso tutti i mezzi possibili verso l’altro sesso, fosse pure a farsi operare, quando si è dal lato del maschio». J. Lacan, D’un discours qui ne serait pas que du semblant, op. cit., p. 31.

[24] Penso giustamente ad una persona nata uomo e che si limita a dire che si rifiuta di essere uomo, e questo non fa di lui per forza una donna.

[25] Vedi in particolare J. Lacan, Conférence sur la psychanalyse et la formation des psychiatres à Sainte-Anne, 1967, inedito.

[26] G. Deleuze – F. Guattari, L’Anti-Edipo, op. cit., p. 87.


***


Silvia Lippi, psicoanalista, vive e lavora a Parigi. Psicologa all’ospedale psichiatrico Barthélemy Durand d’Étampes, e docente titolare dell’IRPA, Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata, diretto da Massimo Recalcati, nelle sedi di Milano ed Ancona. Attraverso i suoi articoli e i suoi libri, sviluppa una psicoanalisi attenta alle esperienze psicotiche e alle interpellanze dei gruppi minoritari. Fra le numerose pubblicazioni in Francia si segnala, il recente Soeurs, Pour une psychanalyse féministe (Seuil, 2023). Sono usciti in Italia La decisione del desiderio (Mimemis, 2017), Freud. La passione dell’ingovernabile (Feltrinelli, 2018), Ritmo e melanconia (Poiesis, 2018), e Trasgressioni, Bataille, Lacan (Orthodes, 2019).

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