top of page

La mansuetudine delle lucciole e l’inoffensivo Padiglione Italia di Tosatti




Pubblichiamo un commento di Simona La Neve al Padiglione Italia dell'ultima Biennale di Venezia.


* * *


La dimensione silente dell’installazione ambientale nel Padiglione Italia alla Biennale di Venezia (23 aprile - 27 novembre 2022), è proposta ai pubblici dell’arte, a partire dal suo araldico titolo Storia della notte e destino delle comete, di Gian Maria Tosatti e a cura di Eugenio Viola. Alla platea di visitatori viene richiesto d’introdursi uno alla volta nel percorso espositivo dalla caratura immersiva, per accedere silenziosamente nel boccascena teatrale del progetto di Tosatti, come a registrare un rituale individuale. La collaborazione tra i due, artista e curatore, è rodata; si tratta di Sette stagioni dello spirito a Napoli, un romanzo visivo tra il 2013 e il 2016 diviso in sette capitoli. Il progetto per la Biennale è perciò ancora un maestoso cammino espositivo, questa volta nello spazio delle Tese delle Vergini, per la prima volta occupato da un unico artista che decide di lavorare sulla sfera pubblica della rimemorazione.






L’artista afferma che «la notte» è scesa su di noi. La intende come simbolo di fallimento dell'uomo in quanto essere razionale, capace di generare errori e orrori ambientali, dal fallimento di un’italianità produttiva, fino a oggi. La compartimentazione spaziale è suddivisa in due atti: la Storia della Notte e il Destino delle Comete. Nella prima sala le macchine industriali – dichiara l’artista – provengono dalle fabbriche fallite durante il periodo pandemico. Sono ormai datate e in disuso, rumori di sfondo lievi evocano un’atmosfera che ha perso la traccia della presenza umana e delle lancette dell’orologio. Siamo certamente stranieri in quello scenario, eppure occupiamo spazi della memoria. Compare lo spettro di quella crescita economica degli anni che furono e del suo immancabile declino. La dimensione collettiva dei lavoratori emerge solo nell’affaticato colore del pavimento, contrassegnato da impronte e testimonianze di vernici opache che segnalano molteplici corpi di passaggio. Chi sono quei corpi che evocano quelle impronte? Quali sono i gesti che ripetono e quali gli spostamenti, nel medesimo ambiente? Una segnaletica elenca i doveri del lavoratore su un cartello metallico, appeso già nella prima sala della mostra, raccontando più chiaramente la declinazione specifica della fabbrica e degli operai. Si precisa ciò che è bene fare, per non rischiare la vita. Perché quella è in ballo nel sogno industriale italiano, mentre sopraggiungono memorie a quella letteratura sulla condizione operaia. Ci viene poi, in varie tappe, ancora ricordato il silenzio, colonna sonora del padiglione. Eppure, lo ‘statuto dei lavoratori’ che diveniva legge nel 1970 è stato esito di corpi chiassosi e affannati, sudati di lotte che parevano irrimandabili. A seguire, nel percorso ci sono aree di sospensione, vuoti spettrali dentro altri spazi, seppur inoffensivi nel segnalare sempre una via di fuga. E se la notte apparentemente non ci svela nulla di nuovo, se non il crepuscolo del giorno, l’artista romano già nel suo primo atto, dimostra tutta la sua capacità narrativa di formazione teatrale. Una scala metallica ci conduce in un ambiente domestico che domina la fabbrica. La sensazione è di entrare in casa d’altri, senza permesso, mentre il pavimento sotto di noi ci riconduce indietro nel tempo. Il piccolo spazio casalingo è più propriamente un ricovero notturno essenziale. Dall’ingresso ci appare già la sua funzione. Si mostra come luogo e strumento di controllo per via della sua visuale perfetta verso la sala in basso e del suo telefono a muro che triangola spazi tra casa e ufficio. Accanto all’ambiente principale c’è una stanza con armadi vuoti su carte da parati anni Settanta, pigmentate da polveri e, la struttura arrugginita di un letto matrimoniale senza materasso. Un’estetica connotata che è più chiaramente un palco verso il Destino delle Comete che lì è preannunciato nel cadenzare lento delle sonorità in loop, dal film Fuga per la vittoria. Ci aspettiamo ora un finale che accompagni lo sguardo, dalla drammaturgia dei quattro filari vuoti di banchi di lavoro con macchine da cucire Singer – che possiedono i rulli di tessitura di un verde vivace – all’imminente chiusura del percorso espositivo.






Il finale arriva e si mostra nella sua ritualità che da individuale, diviene questa volta collettiva. Non è l’evoluzione dell’operaio massa che gradualmente acquisisce una coscienza di classe. Siamo noi, cinque persone alla volta. Il pubblico dell’arte, che per un attimo aveva smesso di esistere, attraversa un varco su una pedana sospesa sul vuoto, un paesaggio acquatico notturno. Dove sono oggi quei corpi tenuti a mente nelle sale precedenti? Chi siamo diventati dopo cinquant’anni dalla pubblicazione di Prendiamoci tutto [1] del 1972? Non lo sappiamo. C’è solo la notte, rumori ridondanti e luci sulla quarta parete scenica a dichiarare un finale inoffensivo. Sono lucciole sull’acqua, simbolo di possibilità, viene invero dichiarato apertamente. A detta del curatore Eugenio Viola – durante la conferenza stampa di presentazione del padiglione Italia – «l’ottimismo è una necessità etica, quasi un’obbligazione morale». Il finale del progetto è connesso a una citazione; era Pierpaolo Pasolini a segnalare la scomparsa delle lucciole nel febbraio del 1975 dichiarando «Darei l’intera Montedison per una lucciola» [2]. Così, quasi a segnalare una chiusura del percorso un po' da fiction all’italiana, ci viene mostrata una distesa d’acqua che mentre dovrebbe alludere alle catastrofi ecologiche, ci svela una sorta di finale consolatorio e catartico a tutta l’opera di Tosatti. E se, come l’artista Franco Vaccari alla Biennale di cinquant’anni fa, il nostro Tosatti volesse occuparsi di «innescare situazioni, piuttosto che esposizione di opere compiute in precedenza» [3] il risultato qui ci pare parziale. La volontà di dare avvio, ad esempio, a riflessioni sul processo che ci ha condotto dove siamo come individui, esito della recente storia neocapitalistica, pare demandata, come da copione, alle varie attività del forum previste in tutto l’arco temporale della Biennale, all’interno del padiglione Italia. L’arte non ha certamente il compito di produrre risposte univoche ma può essere strumento di approfondimento. Non è proprio quel sentimento consolatorio tipico dell’uomo e, di una certa “italietta” ad averci portato al dissesto economico e ambientale? Non è proprio quella speranza, simboleggiata dalle fiabesche lucciole, ad aver sopito la fame di contestazione? Se una certa mansuetudine pare perciò accontentare lo spettatore che, come il Pinocchio di Collodi si trova a gioire di fronte alle giostre luminose, quel ‘destino manifesto’ tutto italiano, pare accecare quella memoria scomoda che lo stesso Tosatti vuol far emergere. Proponiamo perciò un duplice messaggio: da un lato leggiamo una ricostruzione di ciò che siamo stati, dall’altro lato, direttamente o indirettamente, pare ci venga chiesto di attivare un’azione del tragico, una catarsi del fallimento che si declina in una certa rimemorazione del conforto. E se «alla memoria e all’oblio non si comanda» [4] il visitatore di Storia della notte e destino delle comete percepisce quindi un lieto fine, “cercando di non farsi troppo male”. La dimensione silente che ci accompagna dal principio e che aleggia fino alla fine dell’installazione di Tosatti, diviene perciò quantomeno elemento ambivalente di fronte all’esito contemporaneo di censure politiche, distrazioni tecnologiche di massa, livellamenti geopolitici e diniego di quella lotta di classe italiana a oggi così assente. Se la «notte» che è scesa su di noi è simbolo di fallimento e assenza, come fanno emergere gli sforzi di Tosatti e Viola, il buio è anche sinonimo di un’allarmante mansuetudine che, quell’acqua così calma, pare evocare nel nostro muto presente. Ci aspettavamo qualcosa di più? Sì, o forse qualcosa in meno.



Note

[1] N. Balestrini, Prendiamoci tutto, Conferenza per un romanzo Letteratura e lotta di classe, Feltrinelli, Milano, 1972.

[2] P. Pasolini, Il vuoto del potere, “Corriere della Sera”, 1° febbraio, 1975.

[3] F. Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico, Einaudi, Torino, 2011, pp. 78-79.

[4] P. Jedlowski, Intenzioni di memoria. Sfera pubblica e memoria autocritica, Mimesis, Milano, 2016.



Immagini

Gian Maria Tosatti, Storia della Notte e Destino delle Comete, Padiglione Italia alla Biennale Arte 2022, a cura di Eugenio Viola, Commissario del Padiglione Italia Onofrio Cutaia. Courtesy DGCC - MiC


Gian Maria Tosatti, History of Night and Destiny of Comets (Storia della Notte e Destino delle Comete), Italian Pavilion at Biennale Arte 2022, curated by Eugenio Viola, Commissioner of the Italian Pavilion Onofrio Cutaia. Courtesy DGCC - MiC


Comments


bottom of page