«Non ce l’aspettavamo, ma lo abbiamo organizzato» era il commento a caldo scritto dopo l’ultimo Festival tenutosi a settembre 2022 a Bologna.
La scommessa? Fare in modo che quelle giornate non fossero un semplice evento ma il momento di verifica di un processo di costruzione di reti cooperative, di affinamento di teoria, di produzione di cultura politica, di rilancio di una nuova modalità di aggregazione e socialità.
Ma non ci bastava questo. La scommessa doveva trasformarsi, assumere la prospettiva di «sfida alta»: gli elementi di aleatorietà «che non ci aspettavamo» essere la base di partenza di una progettualità tesa a definire in modo sempre più convincente il «non ancora».
Dopo aver visto l’alta partecipazione, la qualità degli interventi, il funzionamento della macchina cooperativa che abbiamo costruito in questi mesi, possiamo dire che siamo riusciti a lanciare la sfida e cogliere la nuova prospettiva.
Ma non l’abbiamo fatto da soli: chi è venuto alla Casa di Quartiere Scipione dal Ferro, partecipando agli intensi dibattiti, attraversando la libreria e godendosi degli ottimi bicchieri di vino, ha partecipato attivamente a questa sfida. Tanti volti nuovi, una trasversalità generazionale che si coglie a primo impatto. Elementi che ci danno l’idea di un consolidamento della rete che si è costruita intorno a DeriveApprodi, a Machina, alla rifondata doc(k)s, alle microlibrerie di Roma e Bologna.
Questo consolidamento non è stato l’esclusivo frutto della spontaneità: dopo la fine del Festival 5, abbiamo lanciato un ambizioso progetto teorico-culturale. A fine novembre, infatti, all’adunanza di Machina è stato discusso il progetto di costruzione di una «cartografia dei decenni smarriti», con il chiaro intento di rileggere gli elementi trascurati e scarsamente analizzati degli anni Ottanta alla luce delle questioni e alla posta in palio del presente. Poche settimane dopo, in una riunione online, veniva declinato il percorso di indagine sugli anni Ottanta: gli anni della «controrivoluzione capitalistica», secondo la definizione di Paolo Virno, gli anni in cui «opportunismo, paura e cinismo» diventano i sentimenti prevalenti delle soggettività messe al lavoro, ma che offre dei chiaroscuri da mettere sotto la lente di ingrandimento.
Un progetto portato avanti dalla redazione di Machina, che, in poco più di sei mesi, ha portato alla pubblicazione di quasi cinquanta articoli sugli aspetti soggettivi, sulle espressioni culturali, sulle trasformazioni del lavoro, sui mutamenti delle forme dell’organizzazione politica, sul contesto internazionale e italiano.
È su questa base che è stato progettato il Festival 6: un evento musicale, una mostra fotografica, 34 relatori, 20 dibattiti in cui si è discusso di musica, arte e cinema, delle filosofie e sociologie, delle tonalità emotive, dei cambiamenti strutturali e geopolitici negli e degli anni Ottanta. Ma più dei singoli incontri, a emergere è stato il dialogo tra i vari momenti che si sono succeduti: un rimando tra autori e temi che è stato reso possibile proprio dal lavoro cooperativo portato avanti in questi mesi.
Proprio perciò, a partire da una rielaborazione e lettura collettiva dei testi, è già in cantiere il progetto di un volume che uscirà per il nuovo marchio editoriale MachinaLibro.
Questo Festival, dunque, non è stato concepito come semplice evento ma come momento di verifica di un processo costruito dall’intersezione tra rete autoriale di Machina, lettori di DeriveApprodi, partecipanti e relatori delle presentazioni e dei corsi di formazione del Punto Input, progettualità teorico-culturale.
Sottolineiamo ulteriormente, oltre all’importanza del lavoro preparatorio, la non scontata partecipazione durante i tre giorni. Un pubblico sul quale interrogarsi ma che, soprattutto, ha colto la sfida di interrogarsi con noi. È emersa una trasversalità generazionale – chi ha vissuto o è cresciuto durante quegli anni, chi ha avuto modo di percepirne la coda, chi, per ragioni anagrafiche, ne ha colto solo le sfumature tramandate – segno del fatto che si sente la necessità di riattraversare la genealogia del nostro presente.
Possiamo dire, inoltre, di un pubblico che ha colto la nostra proposta di affrontare temi alti e strutturali, di discutere dei nodi aperti, di pensare e vivere nuove forme di socialità e di aggregazione. Sotto quest’ultimo aspetto, la scelta del luogo, una Casa di Quartiere posta in un quartiere investito dai processi di trasformazione della città, si è rivelata una scelta adeguata, in quanto percepita come crocevia di forme di vita e linguaggi non rituali, di relazioni reali, a partire dalla preziosa collaborazione con l’Aics e dalla sinergia con i ragazzi e le ragazze che gestiscono lo spazio.
È importante indagare la voglia di ricostruzione di una cultura politica, artistica, filosofica, che non sia mera testimonianza o semplice forma di resistenza rispetto alla cultura «ufficiale».
Rimane viva la lezione di Nanni Balestrini, a cui abbiamo dedicato uno specifico momento durante queste tre giornate: coltivare «intelligenza esigente», significa costruire forme di cultura teorica capace di sfidare la cultura di massa, guardare alle soggettività portatrici di «grandi ambizioni», di forme di vita, di modalità di espressione non residuale.
Questa la sfida: nostra e di chi ha attraversato il Festival. Allora, più che salutarci dandoci appuntamento al prossimo evento sugli anni Novanta, continuiamo insieme ad alimentare questo processo di quotidiana ricerca.
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