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L'arte che re-incanta il mondo




Pubblichiamo una riflessione sull’ecologia e sul rapporto uomo-natura attraverso la lente dell’arte contemporanea, a partire dalla mostra «Fare i conti con il rurale», aperta fino al prossimo 11 giugno presso la Fondazione «L’Arsenale» di Iseo (BS).


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La libertà è un respiro. Ma tutto il mondo respira, non solo l’uomo. […]

Ma è in questo modo, come cosa e diritto di tutti, che l’uomo intende la libertà? Non credo.

A me sembra vada diffondendosi il concetto di libertà come furto del respiro altrui;

libertà come sopraffazione.


Anna Maria Ortese




Durante i suoi viaggi all’estero, lo Sciamano Davi Kopenawa Yanomami non attraversa mai le montagne. Non importa se per raggiungere un luogo impiega sette ore in più, non passerà mai attraverso una galleria nel ventre della montagna, perché quest’ultima è sacra e va protetta.

Questo cambiamento repentino di prospettiva non è altro che un forte schiaffo in faccia. Esistono quindi altre modalità di vedere, percepire e abitare il mondo, che non comprendono solo merci, profitto e lavoro? Stiamo sempre più abituandoci a pensare al naturale come qualcosa di separato o accessorio all’umano, entriamo e usciamo dai monti senza nemmeno accorgercene perché, di fretta, dobbiamo raggiungere la nostra destinazione.



Emanuele Coccia ci parla di Fitocene, secondo cui il mondo non è una realtà anteriore all'arrivo degli esseri umani, ma è il risultato costante delle loro azioni. Questo spiega come flora, fauna e umani siano profondamente interconnessi: il mondo al di fuori di noi non è altro che vita e corpo di altri esseri viventi. Non esiste quindi, secondo Coccia, un equilibrio naturale stabile che non comprenda anche l’uomo nella sua equazione. All’interno dell’ecosistema mondo, fatto di interconnessioni, tutto dipende da tutto. Questa interdipendenza è una relazione politica che ci obbliga a prendere una posizione: così come noi dipendiamo dal pianeta, esso dipende da noi, e ciò fa del mondo e dell’umanità dei soggetti politici.



È proprio quell’ecologia definita «politica» che rende esplicite le interconnessioni tra natura e capitalismo economico ed estrattivista. Ecologia ed economia condividono la stessa radice etimologica, derivano dal greco oikos che significa focolare domestico. In origine l’ecologia era la scienza del tener casa - tradizionalmente affidata alle donne - mentre l’economia era la gestione organizzata di tali attività. Quando l’economia ha iniziato a lavorare contro la scienza ecologica ha prodotto danni, per questo motivo è vitale riconoscere il naturale, la Terra, come il solo capitale reale. Occorre, come sostiene Deleuze nelle Tre Ecologie, un cambiamento a livello mentale, di rapporti sociali e di soggettività. In questo tipo di modello economico le nostre relazioni non sono autentiche, perché sono inquinate dalla mercificazione e dalla messa al lavoro dei nostri rapporti personali. È necessario, dunque, partire dal risveglio delle soggettività alienate e mortificate, passando attraverso un cambiamento mentale dato dalla consapevolezza di ciò che non va. Questa presa di coscienza non può avvenire in solitudine, ma in modo collettivo, reinventando il rapporto del corpo con il soggetto e con le fantasie, attraverso un procedimento più simile al modo di fare dell’artista piuttosto che dei professionisti. L’ecologia ha a che vedere con i corpi, non è astrazione, è in questa corporeità che possiamo trovare quelle relazioni, quelle forze, che sono particolarmente attive, perché sono creative, sono artistiche.

«Un’idea ordinata di ecologia può derivare solo dall’arte, la sola forza rivoluzionaria capace di trasformare la terra, l’umanità e l’ordine sociale. Nel senso di completare la trasformazione da un mondo malato a un mondo in salute». Sono le parole di Joseph Beuys, l’artista contadino e sciamano che più è riuscito, scavando dentro di sé, ad andare oltre il visibile e a ispirare con la sua arte migliaia di persone. Prendendo come punto di partenza proprio la sua stessa vita, Beuys è stato in grado di innescare cambiamenti sociali, politici e filosofici. Quando nel 1982-86 in occasione di Documenta 7 a Kassel, l’artista iniziò il progetto collaborativo e comunitario di piantumazione delle 7000 querce, egli creò un’opera in divenire destinata a vivere nel futuro. Lo fece con l’augurio che l’ecologia diventasse un concetto da sostenere e ampliare negli anni.

Ancora una volta, egli è stato profetico, perché l’attenzione ecologica in ambito artistico si sta, infatti, sempre più sviluppando.



Per Beuys «l’arte e la creatività rappresentano l’unico possibile punto di partenza per cambiare la società» ed è lo stesso pensiero che ha condiviso per tutta sua carriera artistica Piero Gilardi, il quale tra le numerose opere e progetti militanti – nel 2002 ha avviato a Torino il PAV Parco d’Arte Vivente immaginandolo come un «incubatore di coscienza ecologica», che sin dalla sua apertura ha declinato questo spirito in ogni mostra organizzata.

L’Arte, quindi, dovrebbe inserirsi all’interno di un panorama ecologico, politico e antispecista. Senza auspicare un utopico ritorno a un romantico naturale perduto, ma fare i conti con la drammatica situazione ambientale attuale.

Con la mostra «Fare i Conti con il rurale» si ritorna all’oikos, alle micropolitiche, ossia le politiche che si misurano con il quotidiano, non facendosi carico di una prospettiva a lungo periodo, ma partendo dal qui e ora. Ancora prima di accedere alle sale della Fondazione “L’Arsenale” di Iseo, un inconsueto e intermittente cinguettio abbatte i confini tra esterno ed interno, tra campi e piazze. Naturale e artificiale si uniscono – come Nella giungla della città di Bertolt Brecht – anticipando il sentimento della mostra.

Come concepire diversamente il tempo e la memoria? Come pensare relazioni e desideri? Come essere insieme? Sono le domande che il curatore Arnold Braho fa emergere, alle quali ogni artista della galleria «The Address» cerca di dare una risposta personale, attraverso un progetto di ricerca che intende apprendere dalla natura e dal rapporto con essa saperi dimenticati, espandendo l’immaginario a forme e formati che non esistono all’interno delle istituzioni e cornici contemporanee.



Ne sono un esempio le opere specchianti di Edoardo Manzoni che manifestano l’interdipendenza dei rapporti tra uomo e animale. In particolare, l’artista analizza la caccia e le pratiche di sopravvivenza mantenendo il binomio tra osservare ed essere osservati: siamo cacciatori che si specchiano nella preda, uomini che si riflettono in animali.



Le sculture di Lucia Cristiani uniscono la gentilezza e la fragilità del fiore con la forza e la durezza degli strumenti appuntiti e affilati utilizzati per il lavoro nei campi, la preziosità dell’argento con la semplicità del ferro, la bellezza del naturale con la fatica del rurale.



Marina Cavadini si concentra sul micro, su tutti quegli elementi che spesso passano inosservati, come le pozze d’acqua stagnante o le piccole piante, estremamente resistenti, che crescono ai margini. Ingrandendo al massimo queste realtà e mettendole in mostra si scoprono un ritmo e un tempo totalmente differenti da quelli umani. Le lance di Nicola Ghirardelli sono assemblage di materiali diversi, che sembrano, così come le opere di Edoardo Caimi, appartenere a epoche primitive oppure a futuri post-apocalittici.

La proposta del rurale in una mostra d’arte contemporanea, che nasce dalle ricerche e dagli interessi che gli artisti della galleria (oltre ai nomi già citati: Alice Faloretti, Oliviero Fiorenzi, Manuel Gardina e Giorgio Mattia) già da anni portano avanti, è un sentore di come le coscienze si stiano risvegliando e di quanto sia sempre più urgente, non solo limitarsi alla critica del sistema e delle politiche estrattive, ma essere in grado di costruire un’alternativa al capitalismo nel quale siamo immersi.

È nostro compito re-incantare il mondo, come ci suggerisce Silvia Federici, ovvero immaginare nuovamente quei saperi e quelle potenzialità umane che sono andate distrutte dalla razionalizzazione del lavoro, non in vista di un utopico ritorno al passato, ma «come ponte verso una società dove i rapporti con gli altri sono una delle maggiori fonti della nostra ricchezza».Per questi motivi è fondamentale fare i conti con il rurale, perché la «re-ruralizzazione» del mondo è una condizione indispensabile per la sopravvivenza della Terra. È la strada da percorrere per ricongiungere ciò che il capitalismo da anni sta separando, a partire dal nostro rapporto con la natura, con gli altri esseri viventi e con i nostri corpi.




Immagini:

1) Joseph Beuys, 7000 Oaks, 1982-1987

2) Davi Kopenawa Yanomami

3) Piero Gilardi

4) Nicola Ghirardelli, Formed by lightfire II, 2022. Foto di Giacomo Alberico

5) Edoardo Caimi, Trapcloack, 2021. Foto di Giacomo Alberico

6) Edoardo Manzoni, Senza Titolo (Scena), 2023. Foto di Giacomo Alberico

7) Lucia Cristiani, Untitled (Achillea), 2023. Foto di Giacomo Alberico

8) Marina Cavaldini, Untitled (Deep Moisture), 2022. Foto di Giacomo Alberico

9) PAV, Courtesy Arte Magazine


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Alessia Riva è una giovane curatrice e critica d’arte contemporanea, scrive per varie riviste tra le quali «Artribune» e ha recentemente curato «(Im)possible Ecolologies» all'orto Botanico di Roma. Studia alla NABA di Milano.

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