Globalizzazione senza ideologie? Una prospettiva sociologica
- Ruggero D'Alessandro
- 1 giorno fa
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Una riflessione a partire da La condizione post-ideologica. Società , politica, cultura di Francesco Giacomantonio (Goware, Firenze, 2022).
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Con il XXI secolo giunto al giro di boa dei primi venticinque anni si sarebbe passati dalla fase ideologica dell’umanità a quella post-ideologica. Questo concetto è spesso ribadito da studiosi, giornalisti, intellettuali, politici; spesso lo si fa con sicumera, superficialità , a volte ripetendo un mantra le cui implicazioni sono semplicemente ignote o ignorate.
Un agile volume del sociologo e filosofo della politica Francesco Giacomantonio aiuta a fare chiarezza. La riflessione sul contemporaneo sociale s’intreccia con l’analisi dei processi politici, così come i processi culturali vengono letti alla luce del percorso storico e di indagini svolte da pensatori di indiscusso spessore: Oswald Spengler, Antonio Gramsci, Max Horkheimer, Friedrich von Hayek, Giovanni Sartori, Slavoj Žižek. Si spazia, dunque, fra economia e psicoanalisi, politologia e filosofia, sociologia e storia delle idee. Si tratta nella fattispecie di articoli di Giacomantonio apparsi nella seconda metà degli anni Dieci sulle seguenti riviste: Scenari, Lab’s Quarterly, Metabasis.
Nelle pagine introduttive l’autore chiarisce che intendere la dimensione post-ideologica come categoria ne fa un utile strumento per indagare politica, cultura, immaginari. In tal modo si possiede una migliore visione d’insieme di un secolo come il XXI che si mostra altamente complesso.
Altro punto su cui Giacomantonio insiste in modo convincente è il seguente: da un lato non si rimpiangano epoche passate anche troppo impregnate di posizioni culturali, visioni del mondo (meglio il bel termine tedesco Weltanschauung), analisi intellettuali; quanto, d’altro canto, non si deve mai rinunciare alle sfere valoriale, storica, critica riguardo politica, società , economia.
Dando uno sguardo complessivo si colgono tre punti chiave sviluppati nel testo: la società contemporanea e il suo carattere fortemente non ideologico; il quadro delle più significative eredità provenienti dal ‘900; una rassegna dei problemi più cruciali della sociologia del sapere, dell’analisi delle idee, della critica della cultura.
Riguardo al primo punto, la sociologia nasce e si sviluppa fra seconda metà ’800 e primi ‘900 affermandosi assieme ad altre scienze chiamate sociali (antropologia, psicologia, etnologia), pur con distanze temporali l’una dall’altra. Ma con l’avanzare della modernità , soprattutto con l’avvento della post-modernità , il pensiero sociologico si allontana dall’ambizione iniziale: contribuire a risolvere i problemi sociali e politici del pianeta. Dalla Scuola di Francoforte (Adorno e Horkheimer, Marcuse e Benjamin in primis) affiora la necessità di un crescente disincanto, criticando tanto il capitalismo privato che quello di Stato (si pensi allo slogan anni Sessanta «né con Mosca, né con Washington»). Tra polemiche e disillusione, regolando i conti ora con il marxismo, ora con l’economia o il modello di Welfare State protagonisti della teoria sociologica denunciano il totalitarismo, criticano la affluent society (si veda l’opera dell’economista statunitense John K. Galbraith), smontano i meccanismi del capitalismo maturo, il predominio dell’Economico sul Politico. Si pensi, fra gli altri, a Charles W. Mills, Vance Packard, Elias Canetti, Christopher Lasch, David Riesman fino al più recente Zygmunt Bauman.
Uno sconsolato Theodor Adorno scrive negli anni Quaranta, in piena guerra mondiale, dall’esilio californiano:
Per l’intellettuale, la solitudine più scrupolosa è la sola forma in cui si può conservare un’ombra di solidarietà . Ogni collaborazione, ogni umanità di rapporti e di partecipazione non è che una maschera per la tacita accettazione dell’inumano [1].
Da scienza umana che ambisce a indagare la società nel suo complesso si passa a una crescente specializzazione e alle conseguenti aree di pensiero sociologico che indagano i sottosistemi sociali: famiglia, scuola, produzione, consumo, cultura. Si scava nelle agenzie di socializzazione, primarie e secondarie, fra famiglia e mondo del lavoro.
Riguardo al secondo aspetto, i rapporti conoscenza-società , si tratta d’indagare sia i saperi all’interno delle società umane che le procedure per mezzo delle quali tali saperi assumono lo status di realtà -verità (tema assai caro al Michel Foucault negli anni ’70). Si può anche parlare del problema del senso sociale di una data epoca storica con il suo portato di mutamenti politiche, sociali, culturali. Si pensi al modello di società e socialità che si afferma negli anni ’80 con individualismo, edonismo, esibizione sfrenata del lusso (anticipata ottant’anni prima dal sociologo statunitense Veblen)[2].
Fondamentale per costruire le prime basi della sociologia della conoscenza la «triade dei maestri del sospetto» tratteggiata dal filosofo francese Paul Ricoeur: Marx, Nietzsche, Freud. Entrano in campo temi legati agli intellettuali, ai gruppi dominanti in una società capitalista, al concetto di ideologia e alle sue differenti declinazioni. Proprio con il trapasso dagli anni ’70 agli ’80 la «sociologia della conoscenza» si attenua in una meno ambiziosa «sociologia dei processi culturali» in cui intellettuali e ideologie assumono rilevanza ridotta.
Altri concetti si fanno strada nel tendenziale e crescente vuoto di senso che infesta quegli anni di yuppismo sfrenato e illusioni economiciste, trascurando i frutti avvelenati della «società dei due terzi» e degli sbilanciamenti fra Nord e Sud del mondo. Non per nulla uno dei termini più significativi è quello di «società del rischio», coniato dal sociologo tedesco Ulrich Beck [3].
Per circa quattro secoli (fra Rinascimento e seconda rivoluzione industriale) si afferma con crescente velocità e complessità l’epoca della modernità . I primi processi economici, sociali e culturali segnano il passaggio dall’Umanesimo e dal Rinascimento – a fine ‘400 – alla piena età barocca nel ‘600. Giacomantonio sottolinea la profonda discontinuità rispetto ad Alto e Basso Medioevo, con feudalesimo, attività commerciale, pastorizia agricoltura, le prime città decisive per queste attività . Si pensi a Venezia per i traffici marittimi o ad Anversa per la nascita della Borsa.
Dal profilo epistemologico si notano tre momenti di trasformazione:
in primo luogo […] inducono la relativizzazione della conoscenza e il pluralismo dei valori. […] si determina un aumento del livello della complessità sociale e della interazione tra i soggetti […] le relazioni divengono sempre più mediate da nuovi elementi istituzionali (quali lo Stato moderno e i suoi vari apparati amministrativi e burocratici, l’economia di mercato) [4].
Politicamente (e non solo) il ‘700 diventa il secolo delle rivoluzioni (lo sarà anche il successivo): si parla, ovviamente, della rivoluzione americana del 1776, francese del 1789, industriale che si origina nel Regno Unito negli anni ‘50/60 del medesimo secolo.Â
Nel ‘900 si produce a partire dagli anni Settanta un’altra rivoluzione, prettamente economica e socio-culturale, definita «post moderna»:
-Â Â si dissolvono i rapporti sociali;
-Â Â sfumano le grandi narrazioni;
-Â Â i mezzi prevalgono rispetto ai fini;
-  il sapere assume l’identità di valore di scambio, a scapito del valore d’uso - per citare l’analisi di Karl Marx;
-Â Â ideologie, riflessione filosofica, corso della storia si esauriscono.
Autori di riferimento sono il giurista e sociologo tedesco Niklas
Luhmann (che elabora il fondamentale concetto di «riduzione della complessità »), il sociologo britannico Anthony Giddens (che ispira negli anni ’90 la svolta liberista del Labour Party e dei tre governi di Tony Blair), il filosofo sociale anglo-polacco Zygmunt Bauman (destinato a grande fortuna all’inizio del terzo millennio), il citato Beck, il filosofo francese Jean-François Lyotard cui si devono le prime analisi sulla post-modernità .
Giacomantonio opportunamente sottolinea un punto chiave, spesso poco considerato: con l’avvento del neoliberalismo e della vulgata neocapitalista si produce un intervento statale ai minimi termini, i sistemi sociali e politici si «privatizzano», burocrazie finanziarie si sostituiscono a quelle istituzionali. Il risultato, dal profilo politico e sociale, non può che essere la spoliticizzazione di massa, il tramonto dell’attività d’intermediazione svolta fino all’altro ieri da partiti, sindacati, associazionismo di base; mentre i meccanismi d’integrazione sociale ammuffiscono nelle soffitte della storia. Come meravigliarsi, allora, se in pochi anni in tanti Paesi occidentali e non si affacciano i movimenti populisti, salgono al soglio presidenziale o del premierato figure mediocri quanto legate a doppio filo con il mondo finanziario e industriale? L’elenco viene risparmiato al lettore, sperando che lo conosca già .
Il terzo capitolo di questa narrazione a metà fra lucida analisi e pessimistica verifica si occupa dei processi culturali in rapporto ai meccanismi conoscitivi, individuali e di massa.
Anche qui emergono punti delicati che coinvolgono tanto gli individui che le società .
L’antropologia delle relazioni cambia profondamente per un complesso intrecciarsi di concause: dall’informatica della prima e delle successive generazioni, l’uso spropositato dei telefoni cellulari (ormai ce ne sono uno ogni quattro abitanti della Terra), il passaggio dai gruppi umani in carne e ossa a quelli virtuali, il trapasso sistematico dall’analogico al digitale. E soprattutto la predominanza dell’Economico sugli altri elementi delle collettività umane – Politico, Sociale, Culturale. Il senso del to be alone in the crowd (essere isolati in mezzo alla folla) è diffuso in ogni spazio metropolitano, anche di limitata grandezza.
Strettamente connesso è il quadro dei problemi che vive l’identità . L’individuo non è più quello borghese, acculturato, con una certa sensibilità sociale o addirittura politica. Del suo tramonto si lamentano già i sodali della Scuola di Francoforte identificandone l’epoca con gli anni Dieci/Venti del Novecento, fra Belle Époque, Grande guerra, primo dopoguerra, avvento dei fascismi europei.
Scrive Giacomantonio:
La modernità progressivamente sostituisce alla determinazione della collocazione sociale un’obbligatoria autodeterminazione […]. L’individualizzazione consiste nella trasformazione dell’identità umana da dato a compito e nel fatto che gli attori vengono investiti della responsabilità dell’esecuzione di questo compito e delle conseguenze di tale esecuzione [5].
Poi si determina uno stravolgimento dei tempi di vita, delle dinamiche familiari, degli spazi decisionali e di autodeterminazione civile. L’adolescenza viene prolungata e tutto si sposta, di conseguenza, in avanti nel tempo di vita. Si pensi alla formazione di una famiglia quasi sempre dopo i 30 anni o molto oltre, al tempo per trovare un’occupazione decentemente pagata, alla terza età che ormai inizia non prima dei 68-70.
Dal canto suo il mondo del lavoro è afflitto da ritmi forsennati, precarietà , frammentazione del tempo di lavoro (con ovvie ricadute sulla vita privata), milioni di lavoratori precari anche per decenni e sottopagati, difficoltà nel poter acquistare un’abitazione o semplicemente affittarla - si pensi alla disastrosa condizione sociale italiana acclarata da decine di studi, fra ISTAT, CNEL, uffici studi sindacali, Sbilanciamoci, Emergency e altre espressioni dell’associazionismo di base.
La conclusione del libro – supportato da oltre 250 testi di bibliografia – evidenzia la dissoluzione di senso che investe la vita, individuale e collettiva. Un dissolversi causato tanto dalla perdita della coscienza storica, quanto dall’imporsi della ragione strumentale e utilitaristica [6].
Si staglia all’orizzonte teorico e quotidiano la riduzione del vivere a pura reificazione, fungibilità , non indispensabilità di ogni vita umana, ratio che si fa pura logica matematica e calcolante.
Giacomantonio esprime la consapevolezza che non è compito del testo prefigurare chissà quali ricette per il futuro o redigere programmi politici.
Si è parlato spesso della perdita di coscienza storica. Si pensi a quanti giovani (e non) sono incapaci di collocare dati avvenimenti sul calendario delle epoche umane o sintetizzare una fase della storia almeno recente. Il processo di civilizzazione e lo sviluppo intellettuale – oggi decisamente in crisi – si riattivano solo se la dimensione storica viene colta ben oltre la pura datità misurabile.
qualcosa che va oltre la mera capacità /abilità dell’intelligenza (che è propria in varia misura anche del mondo animale e ormai pure di alcune evoluzioni informatiche) e avvicina il canone della piena coscienza. [7]
Concludo con un’osservazione personale: da quanto si vede finora e si può temere per il futuro, a proposito dell’AI penso di debba parlare di involuzioni informatiche.
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Note
[1]Â Theodor W. Adorno, Minima moralia. Riflessioni sulla vita offesa, Einaudi, Torino, 1994, p. 17
[2]Â Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata. Studio economico sulle istituzioni, Einaudi, Torino, 1971
[3] Ulrich Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità , Carocci, Roma, 2000
[4] Francesco Giacomantonio, La condizione post-ideologica. Società , politica, cultura, goWare, Firenze, p. 38
[5]Â ivi., p. 59
[6] Corre l’obbligo di citare il classico studio degli anni Quaranta (ancora in tema di teoria critica della società ) di Max Horkheimer, Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale, Einaudi, Torino, 1969
[7]Â Giacomantonio, La condizione post-ideologica, cit., p. 94
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Ruggero D'Alessandro si occupa di sociologia e storia della cultura, politologia e storia contemporanea. Tiene lezioni in università di diversi paesi europei, tra cui l'Italia. Per DeriveApprodi ha pubblicato: Gioventù ribelle a Londra (2016), Gioventù ribelle a San Francisco (2018), L'Utopia possibile (2019).