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Complottismo e marxismo




Dopo l’articolo di Tobia Savoca L’anticomplottismo liberale, pubblicato in questa sezione lo scorso 14 marzo, Alessandro Lolli ha deciso di intervenire sul tema, sviluppando una riflessione critica sullo stesso concetto di complottismo. Pur condividendo alcuni dei presupposti con cui Savoca analizza le origini della teoria cospiratoria della società, nel suo articolo – che qui pubblichiamo – Lolli mette in discussione la categoria di complottismo, la cui esistenza dipende dall’individuazione di un soggetto delirante complottista. Seguendo questa prospettiva, l’autore polemizza non solo con l’anticomplottismo liberale, ma anche con la sua declinazione marxista.


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Da qualche anno mi occupo del complottismo o – come sarà più chiaro durante la lettura di questo articolo – dei discorsi che fondano un oggetto concettuale chiamato «complottismo» il quale, a modesto parere di chi scrive, non esiste. L’articolo qui pubblicato il 14 marzo a firma di Tobia Savoca, L’anticomplottismo liberale, mi ha colpito per diverse ragioni. Intanto testimonia la crescente attenzione critica verso questa categoria concettuale che per troppo tempo è stata data per scontata (negli stessi giorni è uscito un altro articolo di critica al «complottismo» su «Nazione Indiana», anche se da una prospettiva diversa). In più espone chiaramente la posizione che molti studiosi di Marx stanno cercando di raffinare nei confronti del cosiddetto «complottismo». Ma soprattutto mostra tutti i limiti di questa posizione e i motivi per cui occorre ripensarla completamente.

Mi accingo quindi a scrivere un articolo che mette a critica le tesi di Tobia Savoca, a beneficio di tutti coloro che si interessano dell’argomento, che siano essi inconsapevoli «anticomplottisti liberali» o «marxisti» ben intenzionati che cercano una quadratura del cerchio verso questo oggetto concettuale che li affascina e li inquieta allo stesso tempo.

Savoca inizia la sua riflessione nel migliore e più marxista dei modi, storicizzando qualcosa che credevamo naturale: il concetto stesso di «complottismo». Questa categoria teorica, infatti, non ha sempre circolato tra gli esseri umani. I complotti sono sempre esistiti, così come coloro che li denunciavano e coloro che li allucinavano là dove non ve ne erano. Ma solo a un certo punto della storia umana – e in un certo luogo – si è formalizzato qualcosa di completamente differente: la teoria cospiratoria della società. Questa teoria sostiene che dall’insieme delle denunce di complotti che si sono date e si danno nel mondo possiamo inferire una certa mentalità, un modo delirante di interpretare la realtà chiamato teoria cospiratoria della società o, più brevemente, complottismo.

Savoca individua questo momento negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, nelle opere di Hofstadter e Popper, soprattutto di quest’ultimo, il vero autore della teoria della teoria cospiratoria della società. A voler essere pignoli, è nel 1945 che il filosofo affronta l’argomento in quella che è forse la sua opera più famosa: La società aperta e i suoi nemici.

La mia non è pignoleria fine a se stessa, perché il contesto è molto importante. Come sottolinea bene Savoca, l’anticomplottismo ha una matrice ideologica liberale, il luogo in cui è stato formulato per la prima volta è davvero rivelatore. La società aperta e i suoi nemici, infatti, non è solo la principale opera politica di Karl Popper, ma anche un saggio che ha influenzato tutto il pensiero liberale occidentale, caratterizzato da una pretesa molto ambiziosa: smontare filosoficamente tutti gli avversari della società liberale, leggendoli come tappe di in un unico coerente filone di pensiero, un idealismo a vocazione totalitaria che parte da Platone, passa per Hegel e arriva a Marx.

Non è questa la sede, ovviamente, per riassumere o rispondere alle sue argomentazioni, ma non è casuale che proprio qui venga formulata la teoria della teoria cospiratoria della società in quanto per Popper ciò che noi chiamiamo «complottismo» altro non è che una forma di marxismo volgare. Proprio come sembrano pensare i «marxisti» di oggi! Ma andiamo con ordine: cosa dice questa teoria della teoria cospiratoria della società? Leggiamo le sue parole:


Al fine di chiarire questo punto, illustrerò brevemente una teoria che è largamente condivisa, ma che presuppone quello che considero precisamente il contrario del vero fine delle scienze sociali: quella che chiamo «la teoria cospiratoria della società». Essa consiste nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno (talvolta si tratta di un interesse nascosto che dev’essere prima rivelato) e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo.

Questa concezione dei fini delle scienze sociali deriva, naturalmente, dall’erronea teoria che, qualunque cosa avvenga nella società – specialmente avvenimenti come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie, che la gente di solito detesta – è il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti.


Nel concettualizzare la presunta «teoria cospiratoria della società», Popper compie la mistificazione fondamentale che ci portiamo dietro ancora oggi: da un insieme di denunce di complotti – alcune vere, altre false, altre plausibili e altre ancora ridicole – Popper inferisce una certa mentalità – che lui chiama teoria – che soprassiederebbe a ognuna di queste denunce. Questa mentalità è, in quanto tale, assoluta: è un vizio della ragione che possiede il soggetto che formula le denunce. Infatti non esistono più singole denunce da valutare, ma una supposta teoria che dice che «qualunque cosa avvenga nella società […] è il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti». Entrambi i miei corsivi sono importanti.

Esiste il complottismo solo se esiste il soggetto – delirante – complottista. E costui è tale solo se qualunque evento lo giudica il risultato di diretti interventi. Giacché considerare qualche evento il risultato di interventi più o meno diretti di individui interessati vuol dire semplicemente avere una comprensione basilare del mondo. Lo sottolineo: senza questa mistificazione che pone una teoria, una mentalità e un soggetto unitario alla base delle denunce di complotti, non avremmo avuto il complottismo. La categoria si sarebbe rivelata vuota sin da principio.

Ma in quelle due pagine che dedica al tema, Popper fa di più. Ci ritroviamo tutti gli assunti che la teoria complottista ha ripetuto e riformulato nei successivi ottant’anni. Un altro passaggio necessario, infatti, è dotare il complottista di una psicologia precisa e ricostruibile. Eccola qua:


Nelle sue forme moderne esso è, come lo storicismo moderno e come un certo atteggiamento moderno nei confronti delle «leggi naturali», il tipico risultato della secolarizzazione di una superstizione religiosa. La credenza negli dèi omerici le cui cospirazioni spiegano la storia della guerra di Troia è morta. Gli dèi sono stati abbandonati. Ma il loro posto è occupato da uomini o gruppi potenti – sinistri gruppi di pressione la cui perversità è responsabile di tutti i mali di cui soffriamo – come i famosi saggi di Sion, o i monopolisti, o i capitalisti, o gli imperialisti.


La spiegazione della mentalità complottista ricalca, non a caso, la spiegazione che il positivismo ha dato del pensiero religioso, del quale è una diretta secolarizzazione: gli uomini sono ignoranti, spaventati, desiderosi di spiegazioni e si inventano Dio. Scompare Dio, arrivano gli Illuminati. Questa storiella è stata talmente influente che la ritrovate in ogni testo che affronta il «problema dei complottisti» ma anche nei discorsi di opinionisti, giornalisti e persone qualsiasi interrogate sul tema. Sono sicuro di aver letto almeno un articolo di un giornalino scolastico che raccontava l’eziologia del complottismo come secolarizzazione del religioso. Anche se l’autore non conosceva la parola secolarizzazione. Forse lo scrissi io…

Nel passo riportato il lettore «marxista» (ma non solo) dovrebbe anche notare che diretta conseguenza della teoria della teoria cospiratoria della società, come formulata dal suo autore, è ritenere capitalisti, imperialisti e monopolisti allo stesso grado di realtà dei «famosi saggi di Sion». Ma ci arriviamo, perché per me Popper ha ragione nelle sue conclusioni sebbene sbagli nelle sue premesse.

Fin qui io e Savoca sembriamo essere d’accordo. Anche lui afferma l’origine ideologica del complottismo e inquadra giustamente il cosiddetto «complottismo» come «un modo di conoscere difettoso, un’“epistemologia zoppa” o una “distorsione cognitiva”» a detta dei loro critici.

Ma qua le nostre interpretazioni divergono, o meglio, credo che egli cada in contraddizione. Io infatti mi spingo alle conseguenze estreme e necessarie del nostro comune ragionamento: il complottismo non esiste, è una categoria ideologica vuota, inventata in un certo periodo storico. Savoca invece sembra persuaso che il nostro ragionamento riguardi solo un «approccio “cognitivista”» al problema del complottismo, il quale invece esisterebbe sul serio. E infatti nell’ultima parte dell’articolo inizia a predicare cose intorno a questo complottismo, che costituiscono la sua concezione marxista del fenomeno (che tra poco verrà discussa), ovvero che il complottismo «nasconde tutto ciò attraverso narrazioni diversive», che è «il risultato di “diseguaglianze metabolizzate psicosocialmente”» e così via.

Ma qui emerge la principale contraddizione del suo discorso. Savoca dovrebbe prima di tutto spiegare come sa che questi di cui parla sono dei complottisti. Come si distingue un complottista da un non complottista? Una teoria del complotto da una teoria qualsiasi? Se abbiamo appena decostruito l’unica teoria che abbiamo enunciato intorno al presunto complottismo, quale teoria sta seguendo per individuare complotti e complottisti?

Io sono assolutamente sereno nell’affermare che non ce n’è un’altra e che tutte le teorie della teoria della cospirazione derivano o sono enormemente debitrice di quella popperiana e che nessuno ne ha formulata una che ne sia indipendente e coerente. Dall’articolo di Savoca non si evince invece una siffatta teoria.

In realtà, possiamo dedurla da ciò che egli afferma dei complottisti – una visione abbastanza comune oggi in ambienti marxisti – ma anche queste affermazioni sono derivative dell’impianto popperiano, che presuppongono, e vengono da esso persino squalificate!

Proviamo a spiegare. Per Savoca, come per molti «marxisti», i «complottisti» sono dei «marxisti volgari» che al posto del Capitale, neutro impersonale, vedono degli individui cattivi. Personalizzano il conflitto sociale laddove dovrebbero interpretarlo attraverso il materialismo dialettico, la lotta di classe ecc. Da qui dovremmo dedurre che è complottista ogni teoria che fa nomi e cognomi. Capisco che questa affermazione è enormemente ampia e né Savoca né altri marxisti la sottoscriverebbero, ma purtroppo è la sola cosa che possiamo dedurre dalla loro implicita teoria marxista del complottismo.

Aggiungiamo inoltre che questa categoria che maneggiano come un’evidenza – il complottismo – nel corso dei decenni si è ingrandita talmente tanto da comprendere anche affermazioni, dubbi e illazioni che non presuppongono affatto «l’azione diretta di gruppi o singoli individui», condizione teorica che condividono col popperismo. La teoria della fuga del laboratorio di Wuhan come possibile origine del Covid-19, ad esempio, oltre a essere un caso studio di come il dispositivo-complottismo possa squalificare ipotesi che successivamente vengono validate da istituzioni e media, ci mostra che si può chiamare complottismo anche un’ipotesi di «errore umano» e non solo quelle che prevedono il dolo da parte di individui e gruppi di potenti. Similarmente, i media occidentali hanno chiamato complottismo le teorie che vedevano agenti ucraini, europei o statunitensi dietro il sabotaggio del Nord Stream, mentre proponevano come più plausibile l’ipotesi di un autosabotaggio russo. In questo caso, entrambe le ipotesi comprendono gruppi di individui interessati ma una delle due è più formalmente «complottista» dell’altra, visto che ipotizza l’azione controintuitiva di un governo che colpisce se stesso per trarne dei supposti benefici maggiori, uno schema che abbiamo visto in tante altre ipotesi ritenute complottiste (11/9, omicidio Kennedy, strategia della tensione ecc.). Eppure a essere ritenuta «complottista» era l’altra ipotesi.

Questi ed altri esempi dovrebbero farci capire che ogni descrizione dei tratti che caratterizzano una «teoria complottista» (i pochi individui che tramano nell’ombra, il governo che si autosabota ecc) è irrilevante di fronte all’uso reale che si fa della categoria, il quale risponde ad altre esigenze teoriche e politiche.

Ma torniamo al rapporto tra i nostri marxisti e questi individui che loro, con malriposta sicurezza, identificano come complottisti. Cosa pensa che dovrebbero fare Savoca? Egli si mostra molto critico rispetto alla pedagogia liberale che vorrebbe «curare» gli ignoranti complottisti per far loro accettare il sistema così com’è. Eppure propone loro un’altra pedagogia, la pedagogia marxista. Per combattere il «complottismo», un disagio sociale male indirizzato verso alieni, rettiliani e illuminati, bisognerebbe quindi «riappropriarsi dell’interpretazione materialista» per individuare «i reali responsabili dei fenomeni storici». Quando il complottista dice «Gruppo Bilderberg» noi diciamo «Il Capitale!», quando dice «World Economic Forum», noi diciamo «la classe padronale!» e così via.

Quello che vorrei far capire ai marxisti è che la loro, la nostra, Teoria del Tutto è altrettanto «complottista» delle teorie che vorrebbero combattere! Per meglio dire: secondo il paradigma epistemico alla base della teoria della «teoria cospiratoria della società», non c’è differenza apprezzabile tra il sistema di pensiero marxista e quello di uno stereotipico complottista. E ce lo dice chiaro e tondo Popper stesso, l’autore di questo paradigma! Come si può pensare di assumere un paradigma che squalifica la medesima teoria che proponiamo come alternativa?

Ma voglio essere ancora più cattivo: il «marxismo» è persino più astratto, vago e indimostrabile di molte affermazioni derubricate come «complottiste». È più materialista chi si incazza col Gruppo Bilderberg e il World Economic Forum – eventi reali, documentati, con ambizioni dichiarate e potentissimi partecipanti – o chi vuole spiegare ogni singolo problema sociale tramite una specifica descrizione dei rapporti di produzione globale che agisce in ogni luogo e nessuno, con tendenze e controtendenze, che affonda le sue radici nel susseguirsi dei differenti modi di produzione dall’età della pietra alla rivoluzione industriale e che pretende di essere accettata in blocco per esprimere il suo potenziale politico?

Non credo che i «marxisti» si rendono conto di cosa propongono al complottista che fa nomi e cognomi di personaggi potentissimi che effettivamente agiscono al di fuori di ogni meccanismo democratico istituzionale. E non è solo il complottista che potrebbe manifestare dei dubbi verso questa grande narrazione, ma lo stesso «anticomplottista» che abita in loro.

Lo ripeto: la prima vittima di questo paradigma epistemico accolto a braccia aperte e che permette di definire qualcuno «complottista» è stato proprio il marxismo! Al di là delle due pagine sul complottismo, il lascito politico di Popper all’arsenale retorico del liberalismo, è consistito nel trattare tutte le altre ideologie come fossero teorie scientifiche infalsificabili, cioè non scientifiche. Marxismo e psicoanalisi le sue vittime più note. Come un avversario di Kenshiro, il «marxista» che abbraccia questo paradigma epistemico, è già morto e non lo sa: deambula nel mondo dal 1945 in attesa che la testa esploda. Io non credo in questo, al contrario, penso che il marxismo sia la migliore teoria che abbiamo per comprendere in profondità i fenomeni sociali ma credo anche che i marxisti dovrebbero smettere di trattare i presunti «complottisti» in questo modo.

E, attenzione, non è mica una questione di educazione! Mi ha sempre infastidito chi parla di «burionismo» perché pensa che il solo problema di personaggi come Roberto Burioni stia nella loro maleducazione. «Non ci si esprime così! Fa solo peggio facendo lo stronzo! Finisce che quegli ignorantoni che insulta si incaponiscono ancora di più!» e allora giù a ipotizzare uno scientismo dal volto umano, un modo di parlare agli scemi che non li irriti troppo, un paternalismo illuminista che sappia «davvero spiegare» dove sta la verità. Il problema di Burioni – di Popper e del dispositivo-complottismo – è un altro ed è di sostanza: è l’estensione del paradigma di verità scientifico a tutti i fenomeni sociali. Non il fatto che sia maleducato.

Non sto quindi proponendo di cambiare atteggiamento, di passare dal poliziotto cattivo al poliziotto buono, fingere di ascoltare i presunti complottisti per poi, piano piano, fargli capire i principi del marxismo-leninismo. No, sto proponendo di ascoltarli davvero. Lo conosco il brivido che corre sulla schiena ai militanti politici quando l’interlocutore attacca col Gruppo Bilderberg, con Klaus Schwab o, dio non voglia, con George Soros! «Quel tizio che ha scritto il libro sul complottismo ci ha spiegato in diversi reel su instagram che dire “Soros” è linguaggio in codice dell’estrema destra, un cognome che se pronunciato costituisce reato di antisemitismo e complottismo assieme! Mai dire Soros! Non è mica un attore internazionale che ha fondato un’organizzazione ispirata proprio al titolo libro di cui parlavamo prima, per combattere i nemici della Open Society… cioè noi».

Ma allora cosa sto proponendo? Voglio forse suggerire che dovremmo bere qualsiasi stupidaggine che ci dicono, dal Gruppo Bilderberg ai rettiliani? No, esattamente il contrario. Qual è unico motivo perché sembra così logico l’accostamento che ho appena fatto, tra uno storico meeting globale realmente esistente e una stupida teoria che immagina una razza aliena che si sostituisce ai vertici politici terrestri?

Il concetto di complottismo è l’unica ragione che giustifica questo e mille altri accostamenti che oggi ci sembrano naturali. Ed è in effetti l’obiettivo reale del dispositivo-complottismo: screditare ogni opposizione all’esistente, ogni contropotere, ogni dubbio, ogni comportamento deviante come fosse frutto di una teoria delirante che infetta gli esseri umani più ignoranti. Marxismo e terrapiattismo figli della stessa madre per il dispositivo-complottismo, ripetiamolo ancora: «i famosi saggi di Sion, o i monopolisti, o i capitalisti, o gli imperialisti».

Abbandonando il paradigma che postula l’esistenza del complottismo non saremo meno in grado di distinguere una teoria plausibile da una ridicola. Anzi: avremo rimosso un ostacolo, un dispositivo che ha il precipuo scopo di generare confusione tra i ranghi delle teorie subalterne. Solo per chi crede nel complottismo, al di fuori della teoria dominante e della verità ufficiale «tutte le vacche sono nere». Se non ascoltiamo questa ingiunzione ci rendiamo conto che siamo ancora in possesso di tutti gli strumenti cognitivi ed epistemici per verificare i fatti, valutare delle ipotesi e giudicare delle affermazioni.

Mi si potrebbe dire che sto impoverendo il linguaggio, che se il termine complottismo si è affermato vuol dire che descrive abbastanza bene tutta una serie di fenomeni. Ma questo è falso, per due ragioni. Intanto perché si può dimostrare che la serie di fenomeni che il complottismo pretende di descrivere è troppo ampia e non rispetta quelle stesse caratteristiche che la categoria pone come discrimine. In secondo luogo, perché abbiamo e abbiamo sempre avuto un vocabolario molto ricco per inquadrare le affermazioni che gli esseri umani fanno sul mondo, vocabolario che il complottismo stesso ha impoverito. Alcuni di questi termini li abbiamo usati: ipotesi, teorie, dubbi, illazioni. Ma includiamo anche quelli che comportano un giudizio negativo: leggende, leggende urbane, miti, dicerie. La differenza tra una leggenda e un «complotto» è che non esiste il «leggendista». Non c’è nessun carattere antropologico che soprassiede la formulazione di tutte le leggende e rischia di infettare l’intero genere umano.

Ma una caratteristica del dispositivo-complottismo vorrei conservarla e non è una caratteristica enunciata nella sua concettualizzazione quanto una cosa che fa e che non dice. Ciò che fa emergere il dispositivo-complottismo tramite il suo gesto-che-esclude è che il mondo va diviso in due: tra la verità ufficiale e i complottismi, tra ciò che si può dire e ciò che non si può dire. Questo è un effetto reale del dispositivo-complottismo e questo effetto va riconosciuto e nominato. Conosco i miei lettori e so che la locuzione «verità ufficiali» gli fa correre un brivido Byoblu sulla schiena e allora adoperiamo un lessico nostro. Chiamiamole teorie dominanti e teorie subalterne. Nelle teorie subalterne ci siamo tutti: noi e quelli che credono nella terra piatta. Nelle teorie dominanti ci sono loro. Identificare questi loro, ovviamente, non è un gesto neutro ma credo sia anche un gesto che siamo abituati a fare, assumendocene tutta la responsabilità. Questa dicotomia non implica un giudizio di valore epistemico: tra le teorie subalterne ce ne sono molte implausibili, così come la teoria dominante su qualche aspetto del mondo può essere la più plausibile a disposizione. Però questa dicotomia riconosce un campo di forze e la posizione che le affermazioni occupano di volta in volta all’interno dello stesso.

Poi si può continuare a credere che non sia importante ciò che si dicono nelle riunioni del Bilderberg, che non sia rilevante lo facciano in segreto, che l’agenda del World Economic Forum sia ininfluente di fronte ai flussi del capitale, che i libri di Klaus Schwab ci dicano del presente meno di quanto ci dicono quelli di Lenin. Ma tutto questo andrebbe discusso e argomentato, dovremmo convincere noi stessi e gli altri che le cose stanno davvero così. Invece oggi sempre più porzioni di mondo finiscono nell’impensato, nell’indiscutibile, nello scartato a priori. Perché? Perché di questi temi se ne occupano quelli lì, quelli che in fondo consideriamo anche noi dei sempliciotti ignoranti che guardano il dito e non la luna. Proprio loro, i complottisti.


Immagine

Giuseppe Galletta, frase fatta, 2006



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Alessandro Lolli è nato a Roma nel 1989. Lavora come copywriter e scrive di cultura, politica e nuovi media. È autore di La guerra dei meme (Effequ 2017, 2020), coautore di Guida all’immaginario nerd (Odoya 2019) e presente nella raccolta The Game Unplugged (Einaudi 2019). È di prossima pubblicazione un suo saggio sul tema del complottismo.



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