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Christopher Wood

La leggerezza incantata e incantevole di un fauno


Christopher Wood, Chi è l'alunno?, china su carta velina, 2010


Rami di nocciolo a comporre metafore spaesanti,

carte e tele a ricevere nuovi mondi per storie immemori,

abiti e racconti a ricucire aspirazioni e travestimenti,

paure e mutazioni.

E lettere… e tanto altro ancora...

Da quando ci conosciamo ho ricevuto decine di lettere da Christopher Wood: nessuna è stata mai uguale alle altre, ma ognuna costruita ad hoc secondo il momento, il messaggio, il contenuto e addirittura il tipo di carta, buste comprese. Una delle ultime, in particolare, culmina con una sorta di dipinto zen – come un felice e sintetico haiku pittorico, a tutta pagina – intitolato Chi è l’alunno?. Raffigurati in uno spazio circoscritto da elementi domestici – una seggiola fiorita, una piccola, vissuta e zeppa libreria, un esiguo pertugio, una porta e un organetto, stanno due personaggi, uno molto somigliante a Chris – seduto a terra in posizione seiza –, l’altro un gatto nero – proprio come la notte che si lascia intravedere dalla contenuta finestrella. Un foglio sta innanzi a loro – con a fianco due pennelli e un calamaio – e non è bianco, ma vi compaiono dei segni molto simili a impronte feline. I due ammirano con curiosità l’evento… come prendendosi gioco dello spettatore-lettore: chi è l’autore, e chi l’alunno?

Le lettere di Chris sono sempre appassionate, pregne di tatto e di forza, come di sagace ironia, di sensibilità e di scelte portate fino in fondo, costi quel costi. Soprattutto, sono sempre bellissime! Non recapitano solo informazioni, ma con queste e in queste, affermazioni, formazioni – mai conformazioni – e trasformazioni, performances allo stato puro. Bisognerebbe assaggiarle, vederle, maneggiarle… e svuotarle per capire cosa intendo: oggetti, carte di diversa fattura e formato, disegni, ritagli, dipinti, parole, cancellature, nastri, cuciture, incollature, fotografie, articoli di giornale… Ovvio che poi la busta venga in realtà… solo alla fine: è fatta su misura per contenere tutto questo, o addirittura utilizzata come spazio ulteriore per ripensamenti, dimenticanze e preziosità dell’ultimo momento!

Ma perché cominciare dalle lettere di Chris? Non solo perché potrebbero esemplificarne la ricchezza e la complessità dell’opera, ma anche perché costituiscono a tutti gli effetti una delle sue modalità d’incontro e comunicazione predilette: come in ogni suo gesto – quotidiano o estemporaneo, calcolato o involontario, ingenuo o straordinario – vi scorgo l’emblema del suo fare artistico così poliedrico e inesauribile. E trovo vieppiù l’emblema di un’idea che nelle sue varie sfaccettature può aiutare ad avvicinarlo: l’apertura.



Di tale termine mi vorrei dunque servire come a comporre – in un contesto dedicato a Christopher Wood – una costellazione dell’apertura alla luce del lavoro di questo artista. «Breccia, buco, entrata, fenditura, fessura, ingresso, passaggio», ma anche «accordo, collaborazione, disponibilità e generosità»: appunto dal dizionario alcuni sinonimi che paiono degni di scandirne il percorso. Che può principiare da una delle prime collaborazioni che ho potuto condividere con Chris.

Eravamo in un alpeggio isolato e incantevole della Val d’Ossola – con Anna e in un secondo tempo altri convenuti –, per correggere le bozze della traduzione di un libro su Francis Bacon. Dopo cinque giorni di monacale e intenso lavoro eravamo finalmente giunti al termine: ne rimanevano un paio di quasi assoluta libertà.

Riandando colla memoria a quella mattina, lo strano omino scomparve come d’incanto – senza che nessuno se ne accorgesse – seguito dalla fedele compagna a quattro zampe, Lulù. Se nell’errare sta anche – in certa misura – la verità, si può presumere che vagando tra quei boschi e prati pieni di vita e di vite, una congerie di fantasie, idee e sensazioni dev’essere allora confluita in Chris come salutata da un buono spirito del luogo. Dopo aver in effetti raccolto con cura una buona quantità di lunghi steli di una graminacea e rami di felce, lì presenti in gran copia, se n’era servito per intessersi un gonnellino, una casacca e una corona tutt’altro che rudimentali, anche se esili. Mi fece allora, redivivo, una duplice richiesta: non dire nulla delle sue intenzioni e darmi appuntamento in un certo luogo con delle cose di cui non indovinavo l’utilità. Acconsentii, allontanandomi. Chris si liberò degli abiti spalmandosi subito dopo il corpo con dell’argilla verde impastata con acqua. Era da qualche minuto ad asciugare al sole, che arrivai con un barattolo di pittura bianca e un pennello: dovevo dipingerlo a mia discrezione! Noto e ignoto sfumarono in qualcosa di vago, indefinito e al contempo concreto, inaudito. Ero spaesato, e mi ritrovai senza deciderlo ad assistere alla nascita di un nuovo esserino, sorta di maschera a tutto corpo con gambe e braccia alle estremità… Cominciai con dei pois sulle mani, e fin dai primi due tre mi parvero così naturali da non sembrare né voluti né imposti: semplicemente e liberamente necessari. A creatura creata fui invitato a non far parola con nessuno della nuova presenza, ma a radunare gli altri per trovarci di lì a poco nei pressi del grande noce, cosa che feci non senza munirmi di macchina fotografica. Qualche minuto d’attesa, e da dietro il vecchio albero sortì lo spiritello: vestito di erbe e così trasformato parve a tutti come una presenza del posto. Cominciò pian piano a muoversi e a canticchiare un motivo sconosciuto, ma gradevolissimo, con tono via via sempre più concitato e coinvolgente. Qualcosa che riaffiora ancora alla memoria come una sintesi indistinguibile tra una vecchia, incomprensibile filastrocca per bambini e il Bolero di Ravel: le foto si succedettero senza che riuscissi a capirci nulla. Scattavo, coinvolto dal ritmo sempre più concitato, e alla fine l’apoteosi: il fauno ringraziava tutti, erbe, insetti, alberi e pietre, aria, acqua e convitati per il momento vissuto. L’ultima foto è diventata poco dopo copertina di un libro, del 2001, dal titolo significativo «Comunicazione-guerriglia. Tattiche di agitazione gioiosa e resistenza ludica all’oppressione».


Quel giorno apriva ai miei occhi un’importante e ulteriore breccia nella storia artistica di Christopher Wood: la sua già esperta e felicissima mano diventava tutto il corpo, che, intero, si gettava nel mondo a perfezionare un’esperienza poetica e civile, cromatica e materiale tuttora in corso. È un cammino caratterizzato da sintesi e semplificazioni, narrazioni e performances, rotture istantanee e melodie sedimentarie.

In una routine in cui superficialità e sostanziale cecità sembrano contagiare per lo più ogni considerazione, soprattutto visiva, la figura di Chris è un buco di fuga e di poesia, fenditura tra le cose viste e le storie sentite ogni giorno – per lo più inascoltate o banalizzate. Fessura – o talvolta squarcio – che apre a lati oscuri e inconsueti ma emozionanti, rinati e come visti con occhi nuovi, non sempre rassicuranti o come vorremmo che siano… Ma desti.

Discrezione, fragilità, leggerezza, umiltà e schiettezza dimorano ovunque nelle parole e nei lavori di Chris. Come nei gesti. Ogni suo gesto – poco importa che lo vediamo dal vivo o sedimentato in un suo lavoro – mette in comunicazione mondi e livelli che nella quotidianità paiono estranei o lontani. Eppure vi ritroviamo le attese e le sorprese, gli svelamenti e le paure che ci portano dritti – per un istante – a qualcosa ch’è anche nostro e ritenevamo dimenticato.

Se conoscere è anche e soprattutto nascere insieme – giocando col francese co-naissance –, allora le modalità dell’apertura si rivelano essenziali per ogni forma di cultura o arte: trasformarsi, entrare in nuovi mondi e prospettarne l’apparizione possono davvero aprirci le porte a una percezione e considerazione sul nostro guardare al presente, al futuro e al passato.

Chris lavora a performances e a oggetti poetici che ci colgono di sorpresa, attinge a narrazioni che risalgono a volte a tempi e luoghi remoti, ma reclamano un’attenzione e una cura che son lungi dall’essere esaurite o compiute. Ogni suo lavoro è talmente discreto – e al contempo incantato e incantevole – da poter discretamente far ingresso in ogni luogo o contesto: per contrasto o per mimesi, per affinità o contrappunto la sua magia riesce efficacemente a pervadere ogni luogo o creatura che incontra diffondendo una luce nuova e pulsante: come lucciola in una notte di giugno, in grado di farci dimenticare, per un momento, l’ignoto delle tenebre… sembra donarci uno spiraglio, un ingresso luminoso, un passaggio momentaneo autentico e reale – e pure incantevole – verso il comune mondo che condividiamo.


Non tematizzando né la biografia, riccamente «vagabonda» e composita, né alcuna opera di Christopher Wood, si è preferito qui abbozzare alcuni spunti interpretativi che ci si augura possano essere raccolti – e arricchiti – da ciascuno nell’incontro con ogni singolo lavoro.

Un abbraccio e un ringraziamento a Chris, per la generosità, la disponibilità e il decorum sempre mostrati, ma anche una dedica conclusiva – da una breve poesia di Trilussa – come a riannodare il nastro fin qui svolto…

La Lucciola

La Luna piena minchionò la Lucciola:

– Sarà l’effetto de l’economia,

ma quel lume che porti è deboluccio…

– Sì, – disse quella – ma la luce è mia!


Cislago, 19 giugno 2011

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