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Strappare il sublime al cielo notturno

Un estratto dal primo capitolo de Lo spettacolo cosmico. Scrivere il cielo: lezioni di astronomia visiva (DeriveApprodi, 2007)

 




Cielo stelle Franco Piperno
Immagine: Angelica Ferrara

Sono questi i giorni in cui la Terra attraversa le Perseidi. Le note di Franco Piperno che pubblichiamo, tratte da Lo spettacolo cosmico (DeriveApprodi, 2007) sono una guida per farei i primi passi nel cielo stellato, avventurarsi lungo i suoi sentieri e godersi a pieno l'esperienza del sublime.

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Primi passi nel cielo stellato

Queste note sono una guida per camminare lungo i sentieri del cielo; esse sono in­dirizzate allo studente-spettatore e mirano alle condizioni di possibilità dell'espe­rienza del sublime [1]. Per questo, in questa fase espositiva, rinunceremo a ogni ragionamento geometrico-quantitativo per privilegiare l'osservazione del cielo. L'obiettivo immediato è quello di realizzare una certa dimestichezza tra gli oggetti luminosi celesti e il senso comune dell'osservatore.

Del resto, per riconoscere la stella Arturo o la costellazione d'Orione non è certo necessario sapere cos'è l'eclittica; e neanche ritenere ellittica l'orbita della Terra o supporre sferica la forma di quest'ultima.

Infatti, oltre tremila anni fa, i pastori erranti per le terre della Mesopotamia riconoscevano le stelle molto meglio di quanto accada oggi agli studenti universitari di astrofisica e ai loro professori. Eppure, per quel che noi ne sappiamo, il pastore riteneva la Terra piatta e che le stelle fossero fuochi trascinati per il cielo, con precisione divina, dai vari Dei del suo phanteon. Si potrebbe dire che per familiarizzar­si con il cielo, per riconoscere i fenomeni celesti, non è necessario possedere teorie astronomiche, neanche quelle supposte vere.

Esamineremo più in là, alcune delle domande più frequenti, alcuni dei perché che solitamente affiorano all'attenzione dello studente-spettatore, alle prime esperienze osservative. Per ora, procediamo senza matematica e senza rigore, con la sola av­vertenza di non scoraggiarsi se le cose trattate non appariranno chiare fin da subi­to, fin dalla prima volta. Qualche volta, la comprensione arriva dopo la settima volta. Comprendere è analogo a metabolizzare - occorre aspettare, come quando con pazienza lasciamo che la zolletta di zucchero si sciolga in bocca.


Uscire di notte, trovare un luogo ameno e osservare il cielo notturno

V'è un solo modo di imparare a riconoscere stelle e costellazioni: guardarle di notte.

Va da sé che conviene scegliere un luogo dove luci pubbliche, case o alberi non ostruiscano troppo l'angolo visuale; in città le terrazze condominiali costituiscono luoghi elettivi per l'osservazione. Le notti chiare e senza Luna appaiono ovviamente come il tempo migliore per guardare il cielo, perché la Luna ha un'attitudine gelosa che finisce con l'occultare le stelle meno luminose. Ma notti così non sono le più frequenti, e lo studente-spettatore deve imparare a osservare anche quando c'è la Luna nel cielo; e perfino in presenza di nuvole. Un esercizio potente è quello di riconoscere le costellazioni allorché sono solo parzialmente visibili; o anche di rintracciare tra le nuvole una determinata stella.

Non sono necessari strumenti: solo questo libro e una torcia elettrica per leggere le mappe celesti al buio. Ed è una buona idea quella di dipingere con smalto da unghie rosso il vetro della torcia, perché il rosso non abbaglia l'occhio dell'osservatore come invece fa il bianco.

Non occorre alcuna bussola. Il Nord lo si trova facilmente, se lo spettatore ricono­sce l'asterisma del Piccolo Carro - e qualora non lo conoscesse chiunque altro (o quasi) può indicarlo.

È del tutto inutile utilizzare il binocolo, anche quello a grande angolo. Infatti que­sto strumento è assai efficace per osservare singoli oggetti del sistema solare, come la Luna, i pianeti, le nebule - ma è del tutto inutile per guardare le stelle, perché enormemente lontane, o le costellazioni, perché il campo visivo è troppo ristretto. D'altro canto, le stelle e le costellazioni trattate in questo libro sono tutte visibili a occhio nudo se la notte è chiara, dolce e senza vento.

V'è, infine, uno strumento mentale che occorre deporre prima di osservare - il pregiudizio accidioso che giudica difficile orientarsi nel cielo, cioè dare ordine al cosmo tramite le nostre osservazioni. A dire il vero, lo sforzo mentale che richiede acquisire una buona capacità di orientamento non è più impegnativo che risolvere un banale cruciverba; ma la posta in gioco è immensamente più alta oltre che esse­re, almeno ugualmente, divertente.


Quante sono le stelle in cielo?

Molti tra coloro che non hanno dimestichezza con la volta celeste sovrastimano grandemente il numero delle stelle distinguibili nel chiaro cielo notturno, senza usare il binocolo. Provate a fare l'esperienza di chiedere una stima delle stelle visibili a un certo momento della notte e ascolterete numeri che superano frequente­mente le centinaia di migliaia.

In realtà, a occhio nudo, l'animale uomo vede solo poche migliaia di stelle alla volta, duemila circa nelle condizioni migliori. Sicché, quando i poeti cantano milioni di stelle o usano un gigantesco telescopio o più banalmente esagerano.

Va da sé che non è necessario riconoscere, a una a una, migliaia o anche solo centinaia di stelle per orientarsi. Gli astri, infatti, ci appaiono raggruppati in costellazio­ni; ed è attraverso queste che l'osservatore mette ordine nel cielo.

Vi sono, però, trenta stelle circa che sono particolarmente luminose o intriganti per il loro colore. Esse sono come i nostri riferimenti celesti; ed è saggio sapere evoca­re i loro nomi - Sirio, Vega, Aldebaran, Algol, la Polare ecc.; e ritrovare i luoghi dove risiedono.

Il numero delle costellazioni è enormemente ridotto rispetto a quello delle stelle; trattandosi di forme convenzionali un accordo internazionale tra astronomi ne ha fissato il numero a ottantotto, numero scaramantico.

Alle latitudini del Mezzogiorno d'Italia, sono visibili circa trenta costellazioni, ma non tutte contemporaneamente; solo dodici, grosso modo, possono essere osserva­te in un dato momento.

Uno studente-spettatore che, alla fine del corso, riconosca trenta stelle e trenta costellazioni avrà un criterio potente per tracciare rotte nel cielo; sia detto per inciso: conviene familiarizzarsi con due o tre costellazioni per notte, in una decina di espe­rienze osservative il risultato è acquisito.

Per localizzare nel cielo le costellazioni occorre prendere dei «paletti» di riferi­mento. Questo si ottiene individuando il Nord Celeste con l'aiuto del Grande Carro; ed ecco come: si individua prima il Carro e si traccia una linea immaginaria tra le ultime due stelle, quelle più lontane dal timone, dette appunto Puntatrici; si prolunga poi questo segmento cinque volte circa, come è mostrato in figura, fino a incontrare una stella non particolarmente brillante; questa è la Polare, la stella che indica il Nord - non ci si può sbagliare perché non v'è vicino nessuna stella di lu­minosità maggiore o comparabile.



stella Polare
Illustrazione: Roberto Gelini

La Polare è per l'osservatore la stella più significativa, a causa della sua straordinaria collocazione: si trova quasi esattamente nel punto attorno al quale l'intera volta ce­leste ruota; sicché possiamo ritenere che resti sempre nello stesso luogo, nel Nord Celeste.

Alle nostre latitudini, la troviamo poco sotto il punto medio tra l'orizzonte e lo Zenith, il punto celeste a perpendicolo sulla testa dell'osservatore.

Guardando la Polare, quindi, ci orientiamo a Nord nel senso che avremo l'Est alla destea, l'Ovest alla sinistra e il Sud alle spalle - senza impiegare la bussola.


Il cielo come un ombrello

La Polare è l'unica stella che conserva la sua dimora nel cielo. Tutte le altre, siano esse stelle o costellazioni, girano attorno al Polo una volta al giorno, in senso antio­rario, come se fossero incastonate all'interno di una sfera cava che ruota attorno alla Stella Polare.

Per visualizzare questa rotazione si pensi a uno di quei grandi ombrelli contadini, e si immagini la Polare al centro dell'ombrello mentre l'osservatore regge l'impugna­tura; sui lati, poi, si collochino le figure di due costellazioni, per esempio il Gran­de Carro e Cassiopea che occupano luoghi simmetrici rispetto alla Polare.

Se l'osservatore ruota lentamente il manico dell'ombrello in senso antiorario, il Carro e Cassiopea si muoveranno in modo simile a quel che accade nel cielo.

La sfera celeste, all'interno della quale, centralmente, è collocato l'osservatore, ruota attorno al suo asse tutta insieme; sicché le posizioni relative delle stelle resta­no immutate; per esempio le Puntatrici dirigono sempre verso la Polare, il Carro è sempre dalla parte opposta rispetto a Cassiopea e così via. Per questo le stelle, al con­trario dei pianeti, vengono chiamate stelle fisse.


Il cielo come ombrello
Illustrazione: Roberto Gelini

Il Grande Carro, Cassiopea, il Piccolo Carro, Cefeo e il Drago si trovano tutte vi­cine alla Polare; e, per questo, vengono chiamate costellazioni circumpolari. Esse possono trovarsi alte nel cielo o vicine all'orizzonte mentre ruotano attorno alla Po­lare ma sono sempre visibili.

Le costellazioni lontane dal Polo, cioè la grande maggioranza, ruotano anch'esse at­torno alla Polare in un giorno, ma parte del loro viaggio si svolge al di sotto dell'o­rizzonte; sicché risulta invisibile.

Tutte le costellazioni sorgono a Est, raggiungono un punto d'altezza massima rispet­to all'orizzonte, culminano, per poi declinare e tramontare a Ovest; ma alcune sono fuori vista per periodi più o meno lunghi di tempo. Così non ha senso cercare a novembre, di sera, la costellazione del Leone o quella di Orione a maggio - è questo un fenomeno empiricamente accertabile che per il momento prendiamo come un dato fattuale; salvo cercarne «il come e il perché» in seguito.

Vi sono, infine, alcune costellazioni che sono definitivamente invisibili alle nostre latitudini, perchè compiono il loro giro tutto al di sotto dell'orizzonte, valga per tutti l'esempio della Croce del Sud; per vederla bisogna andare verso il Sud, meglio verso l'estremo Sud. Se i nostri quattro lettori decidono d'intraprendere un simile viaggio non si portino appresso queste note, che sono scritte per l'emisfero Nord meridionale.

Al Polo Sud si vede molto bene la Croce, ma si cerca invano il Grande Carro. Coloro che hanno osservato entrambi le costellazioni garantiscono sulla parola che il Carro è più intrigante. Dunque nessuna invidia per australiani o argentini; ma la consapevolezza di cercare il piacere nella parte di mondo dove il destino ci ha gettati.


Il cielo stellato e il sentimento del sublime

Questo corso universitario, a differenza di molti altri, comporta una dimensione propriamente sensuale perché si svolge esercitando la visione, soprattutto quella a grande angolo e distanza. Per definirlo per analogia, è come un corso di musica dove non ci si limiti a insegnare a leggere il pentagramma ma si richieda anche l'e­sercizio necessario per suonare un qualche strumento.

Normalmente lo studio dell'astronomia è svolto in una maniera libresca, si studiano esclusivamente delle nozioni, ma non si osservano le stelle.

Il corso è finalizzato alla formazione di insegnanti: si punta a fornire loro un'adeguata preparazione durante il curriculum universitario, in modo che essi possano poi insegnare l'astronomia agli scolari. Coloro che studiano per formarsi come educatori nella scuola primaria devono anche tener conto di una certa manualità che l'astronomia comporta: costruzione di gnomoni, focalizzazione di strumenti, riproduzione di mappe celesti, disegni di costellazioni e così via; queste attività, del resto, riscuotono grande successo presso gli scolari perché richiedono la loro par­tecipazione attiva. L'alunno non può essere considerato come un vaso da riempire, ma piuttosto come un fuoco da accendere; è importante suscitare l'entusiasmo, che è poi il metodo pedagogico più antico.

Nel nostro caso, il modo per provocare la voluttà di capire è quello di vivere l'osser­vazione del cielo stellato come esperienza del sublime; esperienza che apre la via della conoscenza empatica; e pone così le condizioni di possibilità del sentimento tragico, ovvero dell'apparire del destino [2].

È questa un'idea assai antica;Empedocle e poi, a distanza di circa quattro secoli, Lu­crezio pongono l'esperire il sublime come la piccola porta che schiude la conoscenza, come iniziazione all'esercizio e all'appropriazione dell'intelligenza, questa facoltà umana comune. Il sublime è quindi una categoria estetico-gnoseologica, oggetto di studio nell'antichità classica, e poi di nuovo a partire dal Settecento. Schelling dà una definizione del sublime secondo la quale si tratta di qualcosa di immensamente più grande del nostro corpo e della nostra energia, ma che tuttavia riusciamo a comprendere, a dominare intellettualmente.

Il sublime, infatti, prima d'essere un genere letterario è un genus vivendi, più che un criterio formale è una tonalità dell'anima, un comportamnto; avvertire il sublime è equivalente a praticare  la grandezza dell'anima, la coscienza enorme.

Il sublime non porta l'osservatore alla persuasione bensì punta a esaltarlo. Si comprende davvero al natura di questo sentimento se si tiene presente che il suo luogo d'azione non è il ciclo o lo scenario osservato ma la mente dell'osservatore; in que­sto senso gli antichi solevano notare che il sublime è l'eco della grandezza interiore. L'osservatore di uno spettacolo sublime diviene lui stesso sublime; e cioè soggetto percettivo e creatore egli stesso del simbolismo attraverso il quale riconosce il sublime che è nelle cose osservate. Lo spettacolo icastico di Empedocle che contempla con i suoi discepoli l'eruzione dell'Etna ci rammenta che spesso il sublime si accom­pagna al pericolo e alla catastrofe.  Sono spettacoli sublimi i terremoti, i maremoti, le tempeste tropicali ma anche le leggere ed enigmatiche aurore boreali che le popolazioni native del Canada, dove il fenomeno è particolarmente frequente, chia­ mano «luci di Manitù», il loro Dio celeste.

Nel nostro caso, l'osservazione del cielo notturno è un'esperienza fatta insieme da tutti gli studenti del corso in assenza di qualsiasi rischio, che non sia un raffreddo­re. Quando gli osservatori risuonano sull'onda del sublime risultano fusi insieme, tra loro e con il mondo osservato, in una sorta di legame sopra-individuale molto simile alla commozione collettiva.

La funzione didascalica, svolta dal docente-animatore, ha, nella contemplazione del cielo, il compito di generare, fin dall'inizio, pathos, cioè eccedenza di sentimenti; e questo lo fa servendosi dell'esempio vivo e concreto, mostrando, con un raggio Laser di luce verde, agli occhi dello studente-spettatore le cose celesti; rese tali che, nell'eccitazione della passione, sembri proprio di vederle.

Accanto al pathos, il docente suscita la spinta alla rappresentazione mimetica, alla fantasia che sa trasformare in evidenze le suggestioni delle cose percepite; sicché, quando la rappresentazione mimetica tocca il suo culmine, raggiunge una intensità visionaria che trasporta l'osservatore nel regno del sublime.

La rappresentazione-fantasia è quello stato della coscienza in cui si dà spontaneo assenso all'apparire che rivestono le cose, si dice di sì al cosmo, lo si accetta com'è, posseduti da una sorta di materialismo sensistico. Ed è proprio la fantasia quella particolare energia mentale che viene impiegata nell'appercezione del sublime; in modo che la realtà rappresentata divenga quasi obiettiva, il fantasticato assuma la chiara evidenza di ciò che è sensualmente dato. L'appercezione risulta così né calcolara né costruita con sforzo; ma come se venisse offerta allo studente-spettatore. Il cielo appare allora nella sua natura grandiosa e sublime; e una volta che il docente avrà mostrato le leggi nascoste, funzionerà come uno specchio che riflette l'animo di chi lo contempla, divenendo una forma concettuale che agisce sulla coscienza di colui che guarda e provoca un reale scambio d'informazioni tra l'osservatore e il cosmo.



Note

[1] Su questo argomento cfr. F.Caputo, Cielo stellato ed emozione: la percezione del sublime cosmico, Università degli studi della Calabria, Cosenza, 2006.

[2] Un'ottima disamina della categoria estetico-gnoseologica del sublime nei poemi astronomici dell'epoca classica, in particolare nell'opera di Lucrezio, è svolta da G.B. Conte nella Prefazione a Lucrezio, La natura delle cose, trad. di L.Canali, Rizzoli, Milano, 1996. A questa disamina qui ci si attiene; ed essa verrà usata senza ritegno nel prosieguo.


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Franco Piperno ha insegnato Fisica presso numerose università italiane e alcune delle più prestigiose università del mondo e Struttura della materia e Astronomia visiva all'Università della Calabria. È stato protagonista presso il Comune di Cosenza dell'ideazione e creazione del nuovo planetario. È altresì noto per la sua partecipazione alle vicende politiche degli anni Settanta in Italia. Cura per Machina la sezione «sestanti».

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