Si è ricostruito, a grandi linee, lo sviluppo della geometria, questo sapere così specifico della civiltà occidentale, per una disamina del suo rapporto con il mondo reale nel quale ci è toccato di vivere. Viene quindi messo in luce il ruolo della filosofia della natura come criterio per distinguere le parole dalle cose, le definizioni linguistiche dai fenomeni che tentano di descrivere. Oggi pubblichiamo la seconda parte di questa riflessione.
Un approccio intuitivo alle geometrie non euclidee. Per favorire una sorta di percezione, grossolana ma immediata, di queste geometrie conviene procedere alla loro costruzione grafica. Se limitiamo la nostra attenzione a una realtà bidimensionale, è agevole riconoscere i tratti propri di queste diverse geometrie, giacché ognuna è esemplificata da una chiara e distinta superficie bidimensionale. Com’è generalmente noto, una comune lavagna rappresenta solo una parte di un infinito piano bidimensionale euclideo. Linee, cerchi, triangoli e così via, su un’ideale lavagna perfettamente piatta, soddisfanno tutte le relazioni imposte dalla geometria euclidea a due dimensioni. Tuttavia, il senso comune suggerisce che sulla superficie di una sfera viga una diversa geometria. La sfera di per sé è un oggetto solido tridimensionale, posta nello spazio tridimensionale euclideo; ma non v’è dubbio che la superficie della sfera ha solo due dimensioni, come è ben attestato dalla circostanza che l’indirizzo di qualsiasi luogo sulla superficie del nostro pianeta — approssimativamente sferico — è individuato, senza ambiguità, fornendo solo due informazioni, la latitudine e la longitudine. Ora, in analogia alla lavagna piatta, possiamo dar forma, sulla superficie di un pallone sferico, a enti di una geometria non-euclidea, precisamente quella di Riemann che vieta le rette parallele. Va da sé, che l’uso dell’analogia è possibile solo se precisiamo cosa vuol dire linea retta su una superficie sferica; e, a prima vista, le cose sembrano mettersi in modo da escludere questa possibilità. Infatti, se tentiamo di congiungere due punti posti sulla sfera mediante una linea retta, quest’ultima non giacerà sulla superficie ma penetrerà all’interno; e.g.: trattando la Terra come se fosse una sfera perfetta — il che è in verità falso — e collegando con una linea retta i due Poli, Nord e Sud, tra di loro, otteniamo l’asse di rotazione del pianeta che passa per il centro e non giace certo sulla superficie. Tuttavia, introducendo un’appropriata definizione di linea retta, più generale di quella presente negli Elementi di Euclide, possiamo finalmente tracciare delle rette su una superficie sferica. La nuova definizione risulta del tutto comprensibile al senso comune; infatti chiameremo retta tra due punti quella che, restando sulla superficie, li congiunge tramite la minima distanza. Definita in questo modo la linea retta sulla sfera, chiamata geodetica dai matematici, ci si accorge subito che essa coincide con uno dei cerchi massimi della stessa sfera; riferendosi ancora al mappamondo terrestre, si vede agevolmente che la linea equatoriale è un cerchio massimo, ovvero una linea retta nel senso sopra definito; e lo stesso accade per tutti i meridiani o linee di longitudine.
Infatti, ogni piano che passi attraverso il centro della sfera ne interseca la superficie tramite un «grande cerchio» che risulta, appunto, essere una geodetica. Si può facilmente verificare questo assunto utilizzando un filo di nylon teso tra due punti sulla superficie di un mappamondo. I paralleli di latitudine, equatore escluso, non sono, definitivamente, i cammini più corti, le linee rette sopra definite. Essi sono cerchi ma non «grandi cerchi». Di conseguenza, se un viaggiatore volesse viaggiare tra due località distanti poste sulla stessa latitudine gli converrebbe, non fosse altro che per risparmio di tempo, seguire il percorso delineato da una geodetica, la così detta «rotta del grande cerchio», divenuta familiare per via dei voli intercontinentali. Questa rotta non segue, conviene ripeterlo, il parallelo di latitudine bensì un cerchio massimo.
Così, per esempio, supponiamo che uno studente cosentino, per sfuggire al tedio brutio e alla dieta mediterranea — che sono a ben vedere la stessa cosa — voglia recarsi rapidamente a San Francisco partendo da Lamezia: essendo entrambe le città situate grosso modo sulla stessa latitudine, la rotta seguita dall’aereo, posto che non sia della malconcia flotta Alitalia, sarà quella della minima distanza, non fosse altro che per risparmiare carburante; sicché il nostro studente, o meglio il suo aereo, non seguirà il 39° parallelo, ma un cerchio massimo che passa sopra la Groelandia a 64,5° di latitudine Nord, a mezzo tra il Polo ed il 39° parallelo (cfr. Figura I); se il dubbio provocasse qualche trasalimento nei nostri quattro lettori, sarà sufficiente verificare l’affermazione usando il filo di nylon e confrontando le rispettive lunghezze dei due percorsi.
Un altro modo ancor più spiccio di costatare che le linee di latitudine non assicurano il percorso più breve è di considerare due punti opposti su una linea di latitudine prossima a uno dei Poli: appare ovvio che per andare da un punto all’altro non conviene seguire un circolo attorno al Polo ma è più ragionevole attraversarlo (Fig II).
Una volta introdotta la linea retta come quella di minima distanza tra due punti, possiamo procedere a definire altri enti geometrici; in particolare le parallele, i triangoli, i cerchi e così via, tutti giacenti su una superficie sferica.
Come sul piano possiamo tracciare linee rette tra loro parallele, così, se, a fini euristici, sostituiamo la lavagna piatta con una sferica, un pallone gonfiato abbastanza grande da potervi disegnare sopra senza troppa pena, se facciamo tutto questo allora costatiamo intuitivamente che sulla sfera non vi sono linee rette tra loro parallele perché i cerchi massimi si intersecano tra di loro senza pietà — i meridiani di longitudine si incontrano tutti ai due poli, l’equatore tocca in due punti ogni meridiano — insomma ogni cerchio massimo interseca qualsiasi altro.
Siamo qui di fronte alla visualizzazione di una altra geometria, una geometria che non ammette rette tra loro parallele, una geometria, appunto, non euclidea. Più in generale, i triangoli e i cerchi disegnati sulla superficie di un pallone sferico presentano proprietà insolite, rispetto a quelli che giacciono sul piano della lavagna.
Consideriamo, dapprima, i triangoli; e tracciamone, sulla superficie del nostro pallone, uno tale che abbia la base lungo l’equatore mentre gli altri due lati corrono, dall’Equatore al Polo, secondo due meridiani (Fig. III).
Si costata subito che i meridiani intersecano la linea equatoriale ad angolo retto; di conseguenza, la somma degli angoli interni sarà maggiore di 180°, in plateale violazione di quanto prescriva la geometria di Euclide, la geometria con la quale intratteniamo una consuetudine fin dalla scuola dell’obbligo. E, come se non bastasse, ecco un ulteriore sgarbo a Euclide: la somma degli angoli interni non è la stessa dovunque ma dipende dalla forma, dalla taglia della figura, nel senso che per un triangolo di piccola dimensione la somma sarà, a tutti i fini pratici, indistinguibile da 180°; mentre, se la dimensione aumenta, quella somma può divenire 300° e anche di più. Consideriamo, poi, un cerchio sulla sfera; come è ben noto, questa figura ha tutti i suoi punti equidistanti dal centro (Fig II). Nel piano euclideo, il rapporto tra la circonferenza e il diametro «c/d» è fissato per qualsivoglia cerchio ed è tale che c/d = . Sulla superficie sferica, invece, lo stesso rapporto risulta essere c/d ≤ π, come si può chiaramente vedere esaminando quel particolare cerchio che è la linea equatoriale – l’equatore infatti, come abbiamo sottolineato, è un cerchio massimo; e, se consideriamo un diametro di questo cerchio, ci accorgiamo che coincide con una linea di longitudine; quindi, la lunghezza del meridiano che corre tra due punti opposti sull’equatore appare essere esattamente la metà della lunghezza equatoriale; di conseguenza c/d = 2. Bisogna, inoltre, rammentare che questo rapporto non è uniforme, ma dipende, come nel caso dei triangoli, dalla taglia del cerchio; nel senso che al diminuire della taglia il rapporto aumenta e per un cerchio sufficientemente piccolo il suo valore è indistinguibile da π.
Abbiamo, così, illustrato alcune delle proprietà della geometria di Riemann; ma, come già sottolineato, esiste un’altra geometria non euclidea, quella elaborata da Bolyai e Lobachevski, che presenta attributi differenti. La superficie di una pseudo-sfera o meglio di una sella da equitazione esemplifica molto bene (Fig.IV) queste caratteristiche.
Sulla sella, data una retta e un punto al di fuori di essa, vi sono infinite rette che passano per quel punto e risultano parallele alla retta data; inoltre, i triangoli tracciati sulla superficie hanno la somma degli angoli interni che dipende dalla taglia ma che è comunque inferiore a 180°; infine, per i cerchi il rapporto c/d varia con le dimensioni ma si conserva sempre in modo che c/d ≥ π. Per una comparazione schematica tra le due geometrie basterà notare che, mentre la sfera presenta la stessa curvatura comunque la si guardi, la pseudo-sfera offre concavità o convessità, verso il basso o verso l’alto, a seconda che la si guardi di fronte o di lato. Ed è questa la ragione per la quale si dice, nel gergo dei matematici, che la sfera ha curvatura positiva mentre la pseudo l’ha negativa; e, in questo gergo, il piano euclideo sarà a curvatura zero [1]. In verità, non sono solo tre le geometrie costruite dai matematici, ma molte di più. Le tre, che qui abbiamo delineato grossolanamente, sono geometrie a curvatura costante. Oltre queste vi sono quelle a curvatura localmente variabile. Sia detto qui per inciso, Riemann, oltre a formulare la geometria a curvatura positiva, ha inventato la geometria differenziale, una sorta di teoria generale delle diverse varietà di geometrie, costruita utilizzando i concetti del calcolo differenziale.
Davanti a una tale abbondanza di geometrie, sorge spontanea una domanda: quale è la vera, capace di rispecchiare il mondo dentro il quale siamo stati gettati, la natura umana e non-umana?
Dopo tutto, per oltre duemila anni, v’è stata una sola geometria, accettata unanimemente come vera per evidenza.
Poi, appena un secolo e mezzo fa, il lampo del pensiero matematico squarcia, inatteso, il buio che avvolgeva le sue stesse infondate certezze; da allora la situazione è mutata radicalmente.
Ai giorni nostri, tutte le geometrie sono valutate su un piano di parità: ognuna possiede coerenza interna, ovvero può essere assiomatizzata; ognuna consente una sua generalizzazione a tre dimensioni, così come accade nel passaggio dal piano allo spazio euclideo. E se è vero che nessuno è riuscito a provare che la geometria non-euclidea sia davvero priva di contraddizioni, è anche vero che questa prova non è mai stata trovata neppure per la geometria euclidea. In compenso, è stato dimostrato che tutte le geometrie possiedono, dirò così, una comune «consistenza relativa»: se una data geometria presenta una fallacia logica, questo accadrà per tutte le altre. In particolare, se la geometria non-euclidea si rivelasse inconsistente, stessa sorte toccherebbe alla geometria euclidea. Quest’ultima dimostrazione manda definitivamente in rovina lo statuto logicamente privilegiato attribuito, nel senso comune, per millenni, alla geometria euclidea.
Note
[1] R. Bonola, Non-Euclidean Geometry, Dover Pub., New York 1985. La curvatura è un concetto matematicamente ben definito.
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