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Da musica e cultura a radio Aut in piena autonomia

Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo



È uscito, alla fine di ottobre 2022, il terzo volume de Gli autonomi dedicato al Meridione e nello specifico alle regioni Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Il testo che qui proponiamo ha diretta attinenza con gli argomenti in questione nel volume.

Il contributo su Radio Aut e su Peppino Impastato ci parla di un entroterra siciliano, forse non dissimile da tanti altri del Mezzogiorno, dove l’impegno sociale e la militanza politica in gruppi della Sinistra rivoluzionaria erano attività davvero difficili, se non impossibili, da praticare. Lo scontro quotidiano era anzitutto all’interno della famiglia, contro il patriarcato, e poi in paese, nelle strade e nelle piazze, contro i poteri forti, i democristiani, i fascisti e i padroni, il tutto assai spesso sostenuto o governato dallo «stato parallelo» della mafia, della criminalità e della violenza degli agrari, verso cui portare rispetto, silenzio e acquiescenza. Mentre la politica al servizio di quello «stato parallelo» agiva secondo la dottrina de Il Gattopardo di Tomaso di Lampedusa: «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Proprio contro questo immobilismo lottarono i compagni di Cinisi e di Radio Aut: lottarono contro un sistema di violenza al servizio del capitale, perpetrato contro proletari, braccianti e contadini, e contro chi non accettava quello stato di cose presenti.

Con grande piacere, abbiamo accolto consapevolmente un contributo dei compagni di Peppino e di Radio Aut, sebbene il loro percorso politico non sia proprio legato all’area dell’autonomia, così come storicamente conosciuta negli anni Settanta. Ciò nondimeno, nel volume abbiamo mostrato come l’autonomia nelle regioni del Sud abbia avuto molteplici rappresentazioni a seconda dei rapporti di forza, della composizione di classe, dell’aggressione capitalistica, ecc. Certo, la maggior parte dei collettivi e/o dei compagni riconducibili all’area dell’autonomia aveva punti di contatto, altre volte invece nessun elemento. Però, a nostro parere, l’esperienza di Cinisi ci mostra una realtà di contropotere al capitale vestito da sgherri, che è assai vicina all’area dell’autonomia. In quegli anni vi erano gli autonomi al di là dell’autonomia, e non a caso il nome scelto da quei compagni per la radio indipendente fu Radio Aut [1].


* * *


Nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso alcuni compagni del Psiup, che nel 1965 erano usciti dal Partito Socialista e dal Partito Comunista Italiano, crearono il giornalino «L’Idea Socialista», la cui redazione era composta dai fratelli Sgrò, Peppino Impastato, Agostino Vitale e da simpatizzanti tra cui Francesco Palazzolo («Cicciareddu»), Salvatore Storace («Turiddu»), Nazareno e da Piero Impastato, cugino di Peppino.

A proposito dell’epiteto «comunista» che i conservatori affibbiavano ai dissidenti va ricordato l’articolo che Peppino scrisse su quel giornalino dopo avere partecipato alla Marcia della Protesta e della Speranza, una grande manifestazione popolare organizzata da Danilo Dolci nel 1967; questa partì da Partanna il lunedì del 6 marzo e giunse nella Piazza Kalsa di Palermo il sabato dell’11 Marzo dove gli interventi furono conclusi dal commovente intervento del vietnamita Vo Van Ai, di cui ne riportiamo una parte:

«Né la libertà, né la democrazia ora esistono nel Sud Vietnam. Chi parla di pace e di neutralismo viene tacciato come comunista, imprigionato ed ucciso [] Voi avete sentito che i nostri problemi sono anche vostri; come io sento che i vostri problemi sono anche i miei. La soluzione dei problemi nel Vietnam, nella Sicilia, in ogni paese del mondo è necessaria non solo al singolo paese ma a ciascuno al mondo [2]».

Fu in quegli anni che Peppino, giovanissimo, maturò le sue idee socialiste tra coloro che lottavano per la pace, per il lavoro, per l’ambiente e per i beni comuni nel massimo rispetto dello «Stato di Diritto», i cui valori venivano trasgrediti con cinica determinazione dalle stesse istituzioni che avrebbero dovuto difenderli e applicarli verso la «ricostruzione di una vera democrazia nazionale e internazionale».

Il 9 Ottobre del 1967 a Camiri, in Bolivia, Ernesto Guevara era stato assassinato dalle forze regolari boliviane e, nei primissimi mesi dell’anno dopo, in suo onore, Peppino e i giovani resistenti di Cinisi aprirono il Circolo Che Guevara in uno stanzone di via Roma che fu utilizzato come luogo di aggregazione giovanile, frequentato e amato per alcune iniziative che riguardavano i problemi locali; per esempio, una di queste fu organizzata con un corteo di protesta per la carenza d’acqua nella vicina Terrasini, a cui parteciparono un folto numero di donne e tanti altri cittadini tra i quali ricordiamo «Bastiano», un netturbino vicino alle politiche rivoluzionarie.

Quando scoppiò il ’68 Peppino, in piena sincerità, scrisse che quel movimento rivoluzionario lo aveva preso alla sprovvista e che partecipò disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. In quel contesto si intensificò la sua partecipazione che passò gradualmente dallo stato emozionale ad un impegno teorico più incisivo ma carico di paure allorquando il tutto si doveva concretizzare in prassi, in un lavoro politico a stretto contatto con i lavoratori e la gente comune, costretti a subire le collusioni politico-mafiose e i velenosi strascichi del ventennio.

In sostanza l’esplosione del Sessantotto mise la cimice addosso alla «normalità di un sistema», di una metastasi che alimentava le contraddizioni strettamente connesse ai processi di sviluppo che condizionavano la vita materiale e spirituale dei popoli in tutto il mondo.

Fu la scintilla che spinse i giovani a tagliare le radici di quel male per poi affrontare il «che fare» contro quei governi e quelle amministrazioni che bloccavano il vero senso della «democrazia partecipativa».

Difatti, in quei primi anni del 1970 la politica locale fu caratterizzata da alcune azioni di lotta che proponevano di rompere il silenzio collettivo e stimolare la popolazione a condannare lo scempio del territorio. L’esempio più eclatante saltò fuori con la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi e Peppino da subito partecipò alle manifestazioni di protesta contro l’esproprio dei terreni agricoli che si svolsero dai primi mesi del 1968 fino alla primavera del 1969, quando i contadini, sconfitti, furono costretti a reclamare il pagamento degli stessi espropri avvenuti in seguito con vergognosi ritardi. Tra i manifestanti alle proteste furono inquisiti e poi assolti cinque giovani tra cui Peppino e Francesco Paolo Maniaci, impiegato alla Camst (Cooperativa-Albergo-Mensa-Spettacolo-Turismo).

Per non disperdere la memoria vogliamo ricordare anche quei contadini espropriati che hanno lottato con una certa assiduità:


«“U zu Peppi Muccuneddu” e la moglie “a Za Crucifissa”, “u zu Vitu u Checcu” , “u zu Nittu Sicaretta”, “Larenzu u Spirdatu” e la moglie “Pippina a Frisca”, “u zu Luigi u Rizzu” con il fratello “Vincenzu u Rizzu” e la moglie “a za Biniritta Cutossa”, “u zu Cola Matisi”, “a za Pippina Sullena”, don Antonio Cinturinu”, “Cola u Culutu”, Peppi Caravozza”, “u zu Cicciu u Ranciu”, “Vincenzu u Tozzu”, “Anna a Pacchiana”, “Pippinu Puleu, “Vitu Agghiu”, “Turi Taddutu” e la moglie “Anna a Salitana”, “Minicu u Vardianu”, “u zu Faru Agghiu”, “Lorenzu Biunnu”, “u zu Nittu Babbuzzu”, “u zu Vincenzu Saittuni”, “u zu Pitrinu u Pirru”, “Vitu u Persu”, “Maria Gianfarda”, “Turi u Foddi”, “Peppi Taccuni”, “a za Tiddazza”, “Masi ‘i l’Ursa”, “Pippinu Arfanu”, “Turi Badalamenti”, “Maria Maranzana”, “Peppi Sapurita”, “Nardu Runchiu”, “Nittu Fardazza”, “Peppi u Zoppu”, “Nardu u Sasizzaru”, “Nardu Baddana”, “U Capiddutu” (Andrea Trupiano) ed altri partecipanti saltuari[3]».


In quel microcosmo del profondo Sud Peppino e i suoi compagni socialisti furono determinati nel dare continuità al loro impegno politico, alimentato dai tanti ciclostilati, che venivano distribuiti dai vari movimenti rivoluzionari dal libretto rosso di Mao Tse Tung e dalle riviste «Albania» e «Nuova Cina» che Tanino Schillaci, operaio marxista-Leninista della Cooperativa Ravennate, portava a Cinisi periodicamente.

Nei primi anni ‘70 a poco a poco le loro simpatie si spostarono verso posizioni più «autonome» molto vicine alle linee tracciate dalle rispettive organizzazioni (Servire il popolo, Avanguardia comunista, Fronte unito, Linea proletaria ecc.) operando «al di fuori» dai partiti istituzionalizzati della destra e anche della stessa sinistra che, con i loro compromessi, non facevano altro che inquinare il senso dei valori costituzionali. Nonostante questo, nelle elezioni amministrative del comune di Cinisi del 1972 la sinistra dissidente, a denti stretti, fece confluire i suoi voti nel Pci i cui rappresentanti più in vista erano Franco Maniaci, Romano Maniaci e Stefano Venuti.

Alla fine del 1973 con i «primi tentativi di organizzazione degli edili di Cinisi ricorda Vito Lo Duca – con un volantino reclamammo i nostri diritti e la nostra affermazione alla vita, dandoci una scadenza: a distanza di una settimana avremmo dovuto vederci tutti in piazza davanti al municipio (definito da Peppino «il Maficipio di Mafiopoli»), per manifestare la nostra condizione di sfruttamento e di disagio. A questo punto scattò una delle più grosse repressioni nei confronti degli edili precari e nella sede in cui andavamo a riunione [] Il terrorismo creato dalla mafia democristiana, dai fascisti e dagli imprenditori riuscì in pieno [4]».

In seguito i contrasti con il Pci si fecero più aspri anche perché a Cinisi si sperimentò, tra i primi in Italia, nel governo locale il famigerato «compromesso storico» e quando i cosiddetti «extraparlamentari» contestavano le loro posizioni revisioniste, venivano definiti «terroristi» con la stessa acredine con cui i reazionari offendevano tutti quelli che si identificavano a sinistra.

Fu quel gruppo ristretto di persone giovanissime che, in linea con le contestazioni degli anni ’60, diede l’avvio ad una «rivoluzione sociale possibile» attraverso il coinvolgimento di quelle persone che, nel tenere chiuse le finestre al cambiamento, non facevano altro che aggravare i loro stessi rapporti umani e civili. Si sviluppò così una opposizione caratterizzata da atteggiamenti e comportamenti che denotavano un forte impegno culturale contro l’autoritarismo genitoriale e contro il maschilismo, reso più che incisivo dalle lotte profondamente sentite dalle giovani donne dei due comuni di Cinisi e Terrasini.

In seguito alla Rivoluzione del Sessantotto, infatti, furono le manifestazioni unitarie tra studenti e lavoratori che condussero prima all’approvazione dello Statuto dei lavoratori, con La Legge n. 300 del 1970 e poi dei Decreti Delegati del 1973 –‘74.

In quegli anni le lotte di Don Milani e di altri in favore della «obiezione di coscienza» costrinsero il Parlamento ad istituire il servizio civile obbligatorio per coloro che rifiutavano di prestare il servizio militare (Legge Marcora del 1972) per poi approvare il D.P.R. del 1977 sulle «Norme di attuazione sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza».

Tra il gruppo dei dissidenti di Cinisi l’unico che non volle fare il servizio militare fu Giacomo Randazzo il quale racconta di avere seguito dei corsi tenuti da Lorenzo Barbera, stretto collaboratore di Danilo Dolci e forte sostenitore delle lotte assieme ai baraccati del Belice dopo il disastroso terremoto del Gennaio 1968. A proposito del servizio militare lo stesso Giacomo ricorda di avere avuto un diverbio con Vito Lo Duca che soleva dire che «la rivoluzione passa per la canna del fucile» mentre lui, seguace della non violenza, sosteneva che senza una crescita culturale e politica si rischiava di cadere negli stessi errori del passato.

A Cinisi e Terrasini le prime iniziative culturali nacquero per volontà di un gruppo di «suonatori» i quali, guidati da Francesco Impastato («Ciccio»), decisero di organizzare degli incontri musicali da fare nel periodo natalizio: Dicembre 1975 - Gennaio 1976.

Le prove inizialmente si svolsero presso la cripta della Chiesa del Sacramento di Cinisi da dove furono costretti a sloggiare per l’intervento di Giuseppe Finazzo, un mafioso del clan di don Tano Badalamenti che, da buon cattolico ed in qualità di presidente della Congregazione ecclesiale, non gradiva la presenza di certi comunisti (Peppino in particolare).

Apriti cielo! Successe che alcuni genitori, in perfetta sintonia col mafioso, intervennero vietando ai propri figli di frequentare quegli «sbandati e comunisti». A tal proposito Piero Impastato suole ricordare che la famiglia di Peppino, prima di andare ad abitare nella attuale «Casa Memoria» abitava in Via Regina Margherita dove, nella casa accanto, c’era anche l’abitazione del mafioso don Masi Impastato la cui moglie, a za Finuzza, un bel giorno disse alla madre di Peppino (la signora Felicia): «Si fussi figghiu miu facissi un fossu e ci lu vruricassi [5]».

In tutto il paese chi pensava in maniera diversa e si opponeva a quel sistema con posizioni «autonome» veniva additato come «comunista», un epiteto dispregiativo assimilato a quello di «scapestrato».

Il concerto, la cui organizzazione generale fu affidata a Giovanni Riccobono, si fece lo stesso presso l’Aula Consiliare del Municipio la sera del 28 Dicembre 1975, autorizzato dal vice sindaco Franco Maniaci del Pci che si trovava in giunta per avere accettato la politica del compromesso storico in perfetta linea con i primi esperimenti italiani in tal senso. Lo stesso concerto si svolse a Terrasini il 6 Gennaio 1976 presso il cosiddetto «malaseno di Partanna», un vecchio magazzino dell’antico Palazzo D’Aumale allestito con palco e sedie. In questo spazio, a partire dall’estate del 1974, alcuni giovani compagni e compagne, accomunati da un sentito interesse teatrale ed ancor di più da un profondo bisogno di aggregazione, organizzarono degli incontri e delle rappresentazioni teatrali. Nacque così il «Gruppo OM», fondato da Guido Orlando, Carlo Bommarito, Carlo Favazza, Aldo Catalfio, Andrea Bartolotta, Marcella Stagno, Faro Di Maggio. Alle iniziative del gruppo aderirono in seguito Peppino e altri giovani del nascente circolo Musica e cultura di Cinisi.

Il Gruppo OM diede vita ad alcune esperienze fatte di teatro e musica di cui ricordiamo alcune la presentazione dell’opera rock «Tommy» degli Who e un recital dei testi delle canzoni di Bob Dylan. Attraverso l’organizzazione di incontri con altri gruppi teatrali, fu invitata la «Comuna Baires» [6] che, trovandosi a Palermo in occasione di «Incontroazione», un incontro internazionale dei teatri sperimentali, presentò uno dei suoi spettacoli il 1° Maggio del 1976. Fu invitato anche il «Gruppo romano delle streghe», nato come collettivo teatrale nel 1974-’75, e lo stesso «Gruppo OM» che rappresentò il dramma «L’eccezione e la regola» di Brecht, scritto nel 1930 per essere rappresentato nelle scuole e nelle fabbriche al fine di stimolare le coscienze verso la concezione politica del marxismo e verso una posizione autonoma delle idee capace di saper trovare il naturale nella «eccezione» e la stranezza nella «regola», imposta dal sistema.

Intanto si costituiva con una sede a Cinisi il Circolo «Musica e Cultura» e durante la prima riunione, avvenuta il 9 Gennaio del 1976, partirono le proposte tra cui quella di Giacomo Randazzo: la creazione di una «Biblioteca Decentralizzata», nel senso che in base ad un elenco di libri resi disponibili dai possessori si sarebbe dovuto creare un interscambio degli stessi per poi dare seguito a un «Gruppo di studio». Tale proposta nasceva dal fatto che non c’era uno spazio adeguato per la lettura e nemmeno per le scaffalature dove inserire e catalogare i libri.

All’interno di quel gruppo si sviluppò una vera e propria fucina con cui dare senso alla «democrazia partecipativa» e, nello stesso tempo, a una produzione collettiva in piena «autonomia gestionale».

Ci si organizzava in assemblee e si iniziava a parlare di politica, problematiche giovanili, temi come la condizione delle donne nel Sud e la disoccupazione. La musica costituiva sempre un tema aggregante e un gruppo molto attivo tra cui Ciccio Impastato, Stefano Manzella, Benedetto Cavataio, Bastiano Taormina, Nuccio Pizzo, Ninello Passalacqua Franco e Giovanni Riccobono organizzò, nell’estate del 1976, un grande concerto estivo presso la spiaggia di Magaggiari a Cinisi.

Giovanni Riccobono coinvolse compagni e amici che si misero a disposizione per costruire il palco, per chiedere le autorizzazioni al comune e all’Enel per gli allacci elettrici, i quali furono eseguiti gratuitamente dall’elettricista Giacomino Abbate, un compagno tra i più vicini a Peppino. Tutti lavorarono intensamente anche per pubblicizzare l’iniziativa e per coinvolgere quanti più gruppi musicali. L’impegno diede i suoi frutti difatti parteciparono una trentina di gruppi attirando non solo una enorme quantità di persone locali ma anche venute da fuori fra le quali ricordiamo Danilo Sulis col suo gruppo «La storia di un fiore». Questa esperienza rappresentò il «Primo Raduno Nazionale», ispirato al «Festival di Woodstock» svoltosi in America nell’estate del 1969.

Da quell’estate in poi un altro gruppo, formato da Giacomo Randazzo, Francesca Randazzo, Fanny Vitale, Margherita Galati, Maria Gaglio, Fanny e Graziella Iacopelli, Nino Giannola, Maria Grazia Vitale e Maria Concetta Biundo (ed altri di cui ci scusiamo per non averli ricordati) diedero un impulso importante alla operatività del «Circolo Musica e Cultura» e alla scelta e programmazione delle attività da svolgere.

Fu allestita la «mostra-mercato itinerante d’arte varia a partecipazione libera» che fu pubblicizzata con volantini ciclostilati in proprio dove si riportarono alcune indicazioni per ricevere le adesioni entro il 10 Agosto del 1976 presso i locali del Circolo o indirizzate a Paolo Chirco.

Il tutto si svolse correttamente con la collaborazione di Giacomo Randazzo e di tanti altri di cui riportiamo una sintesi dello stesso Paolo Chirco:

«Dalla metà di Agosto fino alla metà di Settembre, ogni domenica si caricavano le poche auto disponibili per portare tazebao (in ossequio alla cultura di Mao), pannelli in legno (pochi) e cartoni (molti) ricoperti di carta bianca, tavoli, e tutto l’occorrente per esporre quadri, disegni, foto, sculture, fumetti e un grande foglio bianco dove i visitatori potevano lasciare le loro impressioni. C’era uno stand di libri che prendevamo alla libreria Nuova Presenza in conto vendita, sui temi del periodo: antinucleare, antimilitarismo, non violenza, femminismo, energia, carceri. A tutto questo, di fronte la Scuola Elementare di Cinisi, si sono associate sporadicamente iniziative con rappresentazioni di danza, esibizione di cantautori come Stefano detto Fannuccio, di solisti come Piero Impastato e di un complesso musicale formato da Ciccio, Benedetto e di altri; nella villetta presso i quattro canti del paese si svolsero iniziative di animazione e teatro per bambini; lungo il corso, nello slargo del marciapiede vicino ai 4 canti, si svolse anche una estemporanea per bambini con il coinvolgimento delle famiglie, a cui fu dato tutto il materiale necessario».

Fu realizzato pure un murale tramite un lavoro di gruppo, stimolato da uno schizzo di Paolo Chirco sul massacro, avvenuto il 12 agosto del 1976 nel grande campo profughi presso la città di Tal El-Zaatar, situato nella parte orientale di Beirut e gestito dalla Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa).

Quando nel paese Peppino e i compagni e le compagne intensificarono le lotte contro le collusioni politico-mafiose, divenute più che palesi, anche i comunisti della sezione locale e non solo presero le distanze da loro appioppando all’epiteto di «autonomi» quello di «terroristi». Questo luogo comune scorreva in tutta Italia strettamente connesso alla cosiddetta strategia della tensione con cui si accorpavano indistintamente le stragi fasciste contro persone inermi, e le «azioni» dei brigatisti che colpivano bersagli mirati. Detto questo precisiamo subito che sono due stragi da condannare ma riteniamo opportuno che si faccia una seria riflessione su queste degenerazioni in modo tale da capire le contraddizioni del passato e del presente, portatrici di violenze di ogni genere, di guerre, di conflitti e di disastri umanitari ed ambientali.

Nell’autunno del 1976 sempre a Cinisi, nel locale di Via Faro Pizzolli, si organizzò il Cineforum:


«La proposta dell’apertura di un cineforum all’interno dell’attività del Circolo Musica e Cultura, anche se partita da esigenze politiche precise (nel senso della caratterizzazione antifascista), si risolveva di fatto in un ulteriore contributo, per l’incapacità di dibattito e di proposte politiche, all’aggregazione su basi emozionali: la proiezione era più un momento dello “stare insieme e conoscersi” che un’occasione di incontro e chiarificazione politica [7]».


A chiusura di ogni singola attività si aprivano i dibattiti che, come ebbe a dire Piero Impastato, nella maggior parte dei casi venivano considerati come «una rottura di coglioni» difatti, dopo la proiezione dei filmati, erano pochi coloro che rimanevano per approfondirne i contenuti.

Ecco perché, in verità, l’intero ciclo di attività del «Circolo Musica e Cultura», pur avendo stimolato delle attente riflessioni sulla repressione e sulla emarginazione sociale, lasciò molte questioni sospese.

Nonostante il grande desiderio espresso nel manifesto con «i due pugni chiusi che spezzano una catena, su uno sfondo rosso con scritti sopra i nomi dei gruppi musicali che aderivano», accadeva che le stesse contraddizioni che attraversavano i movimenti nazionali: «la crisi della militanza, l’esplosione della contraddizione femminista e la battaglia per l’aborto contribuivano largamente a diffondere la tendenza, da parte dei due movimenti di massa (femminista e giovanile) che di fatto e molto contraddittoriamente caratterizzerà la storia del movimento extraistituzionale fino ad oggi [], avrebbero coinvolto il gruppo di Musica e Cultura. I tre dibattiti, tra fine Marzo e i primi di Aprile non riuscivano a coinvolgere la struttura nel senso di iniziative di mobilitazione, anche se hanno lasciato delle tracce su cui più avanti, all’inizio dell’estate, si innesterà un processo di aggregazione a livello femminile». Nei primi mesi del 1977 avviene «l’aggregazione dei naufraghi del Gruppo Om a Musica e Cultura, nonostante avesse dopo alcuni contatti per modi e tempi diversi, si muoveva più per esigenze (fra l’altro non valutate e verificate all’interno del gruppo OMm di nuove esperienze culturali che per scelte politiche precise. Già in aprile al Circolo partiva la proposta dell’apertura di “Radio Aut” (giornale di controinformazione radiodiffuso, 98,800 mhz) [8]».

«Più volte Peppino, al circolo “Musica e Cultura” aveva parlato dell’importanza dello strumento radiofonico nella lotta politica, perché riteneva che il momento della controinformazione era fondamentale per la preparazione degli interventi politici nel sociale, per collegare e dare voce a tutte le istanze che dal sociale provenivano: ogni volta faceva riferimento al ruolo che Radio Onda Rossa e Radio Alice avevano nel “movimento”. Era l’inizio della primavera del ’77 quando ci propose di aprire una radio. Quella sera eravamo in pochi e, dopo un breve scambio di idee decidemmo, data l’importanza e la delicatezza della decisione, di avviare una discussione più approfondita all’interno del circolo, assieme a tutti gli altri compagni. Da tempo sapevamo che i volantini a firma “Lotta Continua” non erano sufficienti per garantire una continua, efficace informazione su tutte le tematiche sociali e politiche più interessanti e più urgenti. Era forte il bisogno di far sentire la nostra voce, la nostra opinione e di dare, al tempo stesso, voce a tutte le fasce sociali meno garantite: precari, braccianti, pescatori, contadini, donne, disoccupati, gli edili sfruttati, i lavoratori in nero [9]».

Subito dopo Peppino Impastato insieme ad altri preparò la sua «Proposta d’intervento radiofonico». Le attività della radio iniziarono dall’agosto dello stesso anno. Era presente tuttavia la precisa convinzione che «solo a partire da una presenza politico-culturale nel territorio, che sia al tempo stesso proposta di mobilitazione e organizzazione ’’autonoma’’ del sociale (comitati di disoccupati, organismi di lotta dei precari, collettivi femministi, circoli e cooperative culturali ed economiche, associazioni sportive ecc.), si può pretendere di costituire un rapporto dialettico tra la struttura radiofonica e l’ambiente [] [10]».

Tra i più attivi collaboratori di Peppino ricordiamo Guido Orlando, Giovanni Riccobono, Carlo Bommarito, Fanni Vitale, Fanni e Graziella Iacopelli, Giosuè Maniaci, Marcella Stagno, Gianpiero La Fata, Benedetto Cavataio, Faro Di Maggio, Salvo Vitale (inseritosi nell’autunno del 1977) e Andrea Bartolotta di cui trascriviamo un brano relativo ad una sua aperta e sincera lettura di quell’esperienza:


«Eravamo affascinati, da un lato, dalla possibilità di dare voce a una nuova esperienza che ci avrebbe permesso di offrire alla gente un servizio fondamentale per la crescita della coscienza antimafia in un ambiente sociale bloccato e “drogato” dal perbenismo bigotto, dai condizionamenti e dai ricatti mafiosi, dall’apparato clientelare con cui la Dc e le forze del pentapartito avevano costruito e consolidato i loro successi elettorali. Dall’altro ci preoccupava non poco l’insicurezza di non sentirci pronti ad affrontare un’attività giornalistico-radiofonica che avrebbe assorbito gran parte del nostro tempo e delle nostre energie e la certezza che, dal momento in cui avessimo “varato” la radio, non avremmo più avuto la capacità e la forza di continuare l’attività del Circolo Musica e Cultura [11]».


Il vasto gruppo attivo all’interno del Circolo, man mano che si era intensificato e definito l’impegno politico ed il carattere antimafioso delle attività, si era assottigliato cosicché il gruppo redazionale di radio Aut era composto da una quindicina di persone a cui di volta in volta si aggiungevano dei collaboratori per interventi radiofonici particolari.

L’impegno all’interno della radio riguardava essenzialmente il notiziario di controinformazione; i comunicati venivano accuratamente preparati consultando i quotidiani regionali come «Il Giornale di Sicilia» e «L’Ora» e quelli nazionali: «Lotta Continua», «il Manifesto», «il Quotidiano dei lavoratori», «La Stampa» e altri. La maggiore attenzione era rivolta ai lavoratori, ai disoccupati, alla scuola alla sanità e alle guerre nel mondo.

Il contesto mondiale era quello della guerra fredda con la corsa agli armamenti tra cui le nuove armi atomiche sperimentate sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica. Fu su queste vicende che si svilupparono i primi movimenti antinucleari e l’opposizione alla militarizzazione di vaste aree geografiche, in particolare in Europa dove l’Italia rappresentava l’avamposto di confine tra i blocchi sovietico ed americano.

Le politiche ambientali e la salvaguardia del territorio erano argomenti prioritari e spesso in radio venivano sollevate la questione dell’abusivismo edilizio e del saccheggio del territorio: lo sventramento delle montagne di contrada Paterna con le cave che la famiglia mafiosa dei D’Anna sfruttava a Terrasini per vendere sabbia molto apprezzata per l’industria del vetro furono argomento di dibattito, così come la continua denuncia dell’abusivismo edilizio che interessava la costa pregiata che andava dall’aeroporto di Punta Raisi fino alla spiaggia di San Cataldo territorio richiesto dalla piccola borghesia palermitana che in quegli anni di boom edilizia ambiva a farsi la seconda casa al mare.

L’attenzione all’ambiente e il pericolo nucleare furono temi di discussione che andarono ad incrociare quanto stava accadendo allora nella politica nazionale; il 77’ fu un anno di grandi fermenti al Circolo ed anche Radio Aut fu coinvolta; in seno al circolo Musica e Cultura e si stava sviluppando un dibattito serrato sulle scelte del Governo di allora sulle politiche energetiche. Tra le politiche del governo presieduto dal solito Andreotti (1976-1978), infatti, il ministro dell’industria Donat Cattin prevedeva attraverso il Pen (Piano Energetico Nazionale), massicci investimenti per la costruzione di oltre 40 centrali nucleari con tecnologia tutta importata dagli Stati Uniti che avrebbero dovuto risolvere il nostro problema dell’approvvigionamento energetico.

Con Peppino si intuiva la rilevanza di tale questione e l’importanza che le scelte politiche sul tema e nello specifico sulle politiche energetiche poteva avere sul futuro dell’Italia. In seno al Circolo si svilupparono varie competenze sulla questione energetica e nacque il collettivo antinucleare sulla scia di quanto accadeva in Italia.

L’opposizione al nucleare racchiudeva molti elementi rivoluzionari che andavano dallo svincolo dell’influenza tecnica economica Usa, compresa la dipendenza per l’approvvigionamento del combustibile nucleare, la questione ambientale legata ai molteplici rischi inquinanti derivanti dalla pericolosità dell’uso dell’uranio, la opposizione alla produzione del plutonio per costruire ordigni nucleari, ed ancora il problema drammatico degli incidenti catastrofici nelle centrali di produzione e lo smaltimento dei rifiuti nucleari.

Ecco allora il forte impegno per contrastare l’uso del nucleare a favore della produzione da fonti rinnovabili che cominciavano ad affermarsi in aggiunta alla produzione idroelettrica che a quel tempo era già in uso in Italia. Insomma una energia più democratica.

Questi temi ebbero forte evidenza al Circolo e in seguito anche a Radio Aut con la produzione di materiale scientifico e mostre sulle strade ed in piazza a Cinisi e Terrasini; il comitato antinucleare si impegnò per portare in piazza il tema del rischio nucleare e realizzò l’animazione teatrale di strada della peste nucleare. Uno degli ultimi comizi di Peppino a Cinisi fu dedicato proprio a questo tema; in quella occasione partecipò un esponente allora candidato nelle liste dei «Verdi per il Sole che Ride» e il collettivo antinucleare rappresentò in strada nel centro di Cinisi l’animazione sulla peste radioattiva.

Le settimane che seguirono furono caratterizzate dalla grande attività della campagna elettorale per le elezioni comunali a Cinisi. L’assemblea dei compagni aveva deciso di presentare una lista per il Consiglio Comunale di Cinisi per meglio incidere sulle scelte amministrative ed organizzare una opposizione politica più radicale. Si era scelto di utilizzare il simbolo di «Democrazia Proletaria» per presentare la lista dei candidati. La settimana prima della giornata elettorale, nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 Peppino Impastato venne sequestrato da un gruppo di mafiosi, torturato e infine fatto saltare in aria sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani nei pressi di Cinisi.

Chiudiamo questa sommaria narrazione evidenziando che sono state le pressanti richieste di giustizia dei familiari, le testimonianze documentate di alcuni compagni ed anche l’impegno inarrestabile del Centro Siciliano di Documentazione, intitolato a Giuseppe Impastato, a far condannare i feroci mandanti, Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo.

Per questa sentenza sono passati ventiquattro lunghi anni.

Quanti anni devono ancora passare per punire tutti quelli che proditoriamente hanno depistato le indagini?

C’è l’urgenza di dare risposte forti e significative al «che fare» per abbattere le contraddizioni delle politiche governative che continuano a seminare stragi, guerre e conflitti con il costante disprezzo dei diritti umani e civili.

Un sistema che riesce a calpestare la memoria delle lotte dal basso contro le nefaste responsabilità dei neo-liberisti, dei neo-capitalisti e delle mafie nazionali ed internazionali.



Note [1] Questo contributo è stato elaborato a partire dalla registrazione delle testimonianze di Andrea Bartolotta, Marcella Stagno, Giovanni Riccobono, Pino Manzella e Giacomo Randazzo effettuate da Pino Dicevi a casa di Carlo Bommarito, rispettivamente segretario e presidente della «Associazione Peppino Impastato di Cinisi». Le testimonianze sono state completate da ulteriori contatti telefonici con gli stessi e con Paolo Chirco. In seguito Pino Dicevi ne ha tratto una narrazione che, nella sua ristrettezza, ha cercato di centrare gli elementi essenziali che hanno caratterizzato, sia pur con tanti limiti, una indimenticabile esperienza socio-culturale e politica. L’associazione ha continuato negli anni a dare seguito alle idee del ‘68 così come fece Peppino, organizzando e realizzando iniziative e progetti nelle scuole e nel territorio (di cui alla fine di questa breve relazione ne riportiamo una parte) per ribadire un “no”, forte e deciso, al paradossale sistema che da una parte opera socializzando le perdite e dall’altra favorisce la privatizzazione dei profitti in tutti i settori della vita pubblica. L’associazione ringrazia Francesco Festa per averci invitato a raccontare parte delle esperienze vissute dai compagni e dalle compagne di Peppino Impastato per inserirle nella pubblicazione dedicata all’Autonomia meridionale. In tal senso Pino Dicevi, avendo conosciuto Peppino in occasione delle Elezioni regionali del 20 giugno 1976 perché inseriti nella stessa lista di “Democrazia Proletaria”, tiene a precisare che non ha vissuto le esperienze in quel contesto ma che, per dare continuità alle idee di Peppino, ha lavorato in quel territorio con continuità assieme ai compagni e le compagne subito dopo quella tragica notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. [2] Da: «L’Idea Socialista», Cinisi, 1967 [3] Cfr. P. Manzella, La leggenda della terra che non c’è. Edito dal Comune di Cinisi (PA) [4] In: 10 anni di lotta contro la mafia, Bollettino del Centro Siciliano di Documentazione cooperativa Editoriale Cento Fiori, diretto da Umberto Santino e da Anna Puglisi che, dopo l’uccisione di Peppino l’hanno intitolato a Giuseppe Impastato. [5] In siciliano: «Se fosse figlio mio farei un fosso e lo seppellirei». [6] Gruppo teatrale fondato il 5 Maggio 1969 a Buenos Aires [7] In: 10 anni di lotta contro la mafia, Op. cit. [8] Ivi [9] Testimonianza di Andrea Barlotta, in ricordo di Peppino. [10] In: 10 anni di lotta contro la mafia, Op. cit. [11] S. Vitale (a cura di), Radio Aut: materiali di un’esperienza di controinformazione. Ed. Alegre, Roma 2012

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