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Storia di un amore 2. Recensione a «Marzo 1973. Bandiere rosse a Mirafiori» di Chicco Galmozzi



Una recensione di Mimmo Sersante a Marzo 1973. Bandiere rosse a Mirafiori (DeriveApprodi, 2023) di Chicco Galmozzi. Nella prima parte della «storia di un amore» lo stesso autore ha recensito Com’eri bella, classe operaia (DeriveApprodi, 2023) di Romolo Gobbi.


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Una piacevole sorpresa questo Marzo 1973. Bandiere rosse a Mirafiori[1] di Chicco Galmozzi e … un bel tuffo nel passato. Già, perché l’Appendice, la parte documentale del libro, è la riproposizione di un dossier sulla Fiat pubblicato nel lontano ’73[2], alleggerito questa volta di foto, volantini e planimetria degli stabilimenti di Mirafiori. Comprensibile, questa omissione. Allora quel materiale funzionò alla grande a dimostrazione dell’efficacia della controinformazione come prodotto della lotta operaia. Era gestita dal basso, dagli stessi operai di Mirafiori ed era rivolta non solo al militante della sinistra rivoluzionaria ma a una committenza di base più larga ed eterogenea «che indaga, discute, impara»[3]. Ma oggi? Interessa forse a qualcuno il ciclo di produzione di allora a Mirafiori, la mappatura dei suoi reparti, il numero e la disposizione delle guardiole, la localizzazione dei binari, i sottopassaggi, i reticolati apposti dalla direzione qua e là per impedire la comunicazione della lotta? Leggevi di picchetti, scioperi, cortei e assemblee – la cronaca diaristica delle lotte va dal settembre ’72 alla prima settimana del ’73 – e l’occhio della mente era sempre rivolto a quella mappa che il padrone aveva disegnato per tenere separati i suoi operai. Solo la loro forza poteva compiere il miracolo di rendere liscio quello spazio assaltando cancelli blindati, tranciando lucchetti, sfondando recinti. A legittimarla, non solo gli scioperi contro l’organizzazione capitalista del potere in fabbrica, a difesa della busta paga e delle 40 ore, ma anche quelli per l’equo canone, i trasporti gratuiti per lavoratori e studenti, un efficiente servizio sanitario, una scuola in grado di garantire il diritto allo studio a tutti[4]. Se di primo acchito la mappa ci restituiva l’immagine della fabbrica come di un inestricabile labirinto, quella cronaca faceva bella mostra del Minotauro che l’abitava, incontenibile e per nulla domo. A ragione Galmozzi l’aveva chiamato allora il partito di Mirafiori [5]. Qualcuno colse la palla al balzo per ipotizzare la forma finalmente trovata del nuovo partito operaio[6]. Altri, leggendo quel diario di lotta, si abbandonarono alla magia del momento e sognarono l’attualità del comunismo direttamente nelle bandiere rosse che sventolavano su tutti i cancelli, nel blocco della fabbrica, nello sciopero a oltranza che si trasformava in occupazione armata col padrone che si disperava, il sindacato che annaspava e i quadri e gli attivisti del Pci in panico. Ma più significativamente, in quel 28 marzo quando gli operai ruppero con l’Flm e la direzione della lotta passò tutta intera nelle mani dell’autonomia. Senza dimenticare la punizione manu militari dei capi e dei fascisti.

Il libro, ahimè, fa fatica a restituirci questa magia e non solo perché la sua cronaca scarnificata omette proprio la registrazione dell’assemblea operaia del 31/3 presente invece nel vecchio dossier[7]. Qui l’informazione era diretta, scandita in tempo reale. Oggi quel tempo è perduto e per quanti sforzi facciamo per risalirlo, non ritroviamo più quella vita. E non c’è una madeleine a ricordarcelo perché nel frattempo anche il nostro palato è cambiato. Per dire che neanche involontariamente quel passato potrebbe ritornare.

Galmozzi mostra di esserne consapevole quando da testimone oculare di quella cronaca comincia a parlare della classe operaia Fiat da storico. Quello che nel ’73 era solo un «Diario politico dello scontro di classe a Torino, visto attraverso l’esperienza specifica della classe operaia Fiat»[8], diventa ora un documento storico. Non è la stessa cosa anche se per il lettore un tantino nostalgico potrebbe funzionare, perché no, come utile appiglio per sintonizzarsi a distanza di cinquant’anni con un evento assolutamente irripetibile. Il condizionale è d’obbligo trattandosi in questo caso di una coscienza individuale che si emoziona laddove un buon libro di storia (e questo di Galmozzi lo è) esige dal suo lettore discernimento e buon senso.

Storico della classe operaia Fiat, dunque. Più esattamente della sua composizione tecnica e politica con due figure a confronto, quella dell’operaio professionale al centro del calvario degli anni ’50 e quella dell’operaio massa che di qualifiche – siamo al ’68-’69 – proprio non vuole sentir parlare. Le lotte alla Fiat tra il settembre ’72 e l’aprile ’73 concludono de facto il suo ciclo segnato da momenti alti di lotte: piazza Statuto (luglio ’62), corso Traiano (luglio ’69), occupazione di Mirafiori (marzo ’73). L’impostazione, come si vede, è operaista e ha una sua logica nella ricostruzione di fatti e avvenimenti: cogliere una nuova soggettività operaia nel suo farsi al ritmo delle lotte. La fabbrica Mirafiori diventa così l’oggetto privilegiato dell’analisi. All’uopo soccorre, per l’appunto, l’Appendice come documento storico. È lì che leggiamo di condizioni di lavoro, di mansioni, qualifiche e salari, in una parola della realtà oggettiva vissuta dagli operai nel rapporto di lavoro e sempre lì scopriamo la loro combattività e capacità di lotta.

Ho sempre trovato efficace questa metodologia storiografica sorta, non dobbiamo dimenticarlo, dentro una stagione di mobilitazione operaia unica, a corollario, verrebbe da credere, dell’autonomia di una determinata composizione di classe operaia e della sua spontanea conflittualità. Si badi però, una classe operaia senza coscienza di classe. Il che ha evitato a questa storiografia la deriva storicista, gramsciana e togliattiana nella fattispecie, che in quegli anni marcava quella del Movimento Operaio.

Marzo 1973 da questo punto di vista è esemplare. Del paradigma operaista non manca nulla: Mirafiori col suo complesso e articolato ciclo di produzione, «le nuove leve operaie […] sostanzialmente estranee alla cultura tradizionale del Movimento operaio ufficiale», le nuove forme di lotta, dal picchetto «capace concretamente di impedire il crumiraggio e contendere alla polizia lo spazio fisico davanti ai cancelli» al «corteo interno che spazza officine e palazzine di impiegati e dirigenti», alle forme più bislacche di sabotaggio. Tutte ad alto tasso di violenza, quest’ultima mai demonizzata ma solo considerata nella modalità di «uso della forza» che della violenza esalta il lato programmatico e il «valore d’uso».

Ma non è solo come storico che Galmozzi parla di lotte e di forme di lotta a Mirafiori. Ne parla anche e soprattutto come militante operaio di Lotta continua e testimone diretto della vicenda che racconta. Vogliamo ricordarlo non solo per restituire al soggetto operaio – una categoria assolutamente centrale della storiografia operaista – un corpo e un’anima ché altrimenti la centralità antagonista di cui parla lo storico sarebbe un vuoto a perdere, ma per ristabilire finalmente la giusta complementarità tra le due figure. Raramente accade perché i testimoni alla fine di ogni storia fanno perdere le loro tracce e non è questo il caso.

Il che mi permette di aggiustare il tiro. L’avevo detto ma qui lo nego. Tra le pagine del libro mi è capitato di cogliere qua e là la presenza dell’operaio Galmozzi, pochi indizi che mi hanno permesso inaspettatamente di risalire il tempo e ritrovare la vita. Come con la madeleine.



Note [1] C. Galmozzi, Marzo 1973. Bandiere rosse a Mirafiori, Derive Approdi, Roma 2023. [2] Fiat ’73. Storia di una lotta operaia in «CONTROinformazione» numero zero, Milano, ottobre 1973. [3] Ivi p. 1. [4] Ivi p. 47. [5] Ivi p. 80: “29 marzo: BLOCCO TOTALE DI MIRAFIORI! Per capire la giornata di giovedì bisogna capire prima che 6 mesi di lotte continue hanno costruito dentro Mirafiori una direzione politica operaia autonoma e riconosciuta dal movimento e cioè una rete interna di avanguardie e di organizzazione che funziona come un partito informale: il partito di Mirafiori”. [6] È il caso di A. Negri. In proposito Partito operaio contro il lavoro in S. Bologna, P. Carpignano, A. Negri, Crisi e organizzazione operaia, Feltrinelli Editore, Milano 1974, pp. 189-193. [7] Fiat ’73. Storia di una lotta operaia, cit., pp.78-79. [8] Marzo 1973. Bandiere rosse a Mirafiori, cit., p. 63.



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Mimmo Sersante (1948) è autore di Il ritmo delle lotte (ombre corte, 2012) e coautore con Willer Montefusco di Dall’operaio sociale alla moltitudine e Pensare la rivolta. Un percorso storico e filosofico (DeriveApprodi, 2016 e 2019). Per DeriveApprodi ha anche curato Gli autonomi. Vol. VI. Storia dei Collettivi politici veneti per il potere operaio (2020) e Gli autonomi. Vol. IX. I «padovani». Dagli anni Ottanta al G8 di Genova 2001 (2021).

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