Una nuova versione della servitù volontaria
Nell'articolo odierno pubblicato da spigoli, Francisco Javier Ansuátegui Roi, interrogandosi sull'idea di privacy, sostiene che essa costituisca uno degli elementi fondamentali dell'autocomprensione del soggetto e del modello di organizzazione sociale.
* * *
Cambiamento e società sono due concetti che hanno tra loro una relazione diretta, declinabile in modi differenti. Da un lato, il modello sociale può essere soggetto a cambiamenti di natura diversa, che determinano il ritmo e la direzione della sua evoluzione. In questo caso, la società interiorizza la trasformazione, gestendola in un certo modo e riflettendola nella sua struttura istituzionale. Il diritto svolge un ruolo indispensabile in questa impresa. D'altra parte, il modello sociale può opporre resistenza quando si tratta di assumere il significato e le conseguenze della trasformazione, la quale rimane una pretesa esterna, costituendo in questo senso una piattaforma da cui valutare criticamente il significato della conformazione esistente e reale della società. In un certo senso, ci troviamo di fronte a uno schema parallelo a quello che ci permette di spiegare il rapporto tra morale (legalizzata o critica) e diritto.
Può sembrare banale. Ma si tratta di attirare l'attenzione sul continuum esibito dal rapporto tra modello sociale e idea di trasformazione. Tuttavia, questo continuum non implica necessariamente che all'interno di un gruppo sociale ci sia piena consapevolezza della presenza e delle implicazioni della nozione di cambiamento. Forse proprio perché, inseriti nel vortice della trasformazione, dalla prospettiva interna al gruppo, manca la distanza necessaria per osservare – e anche per analizzare criticamente – il significato e le conseguenze di una determinata trasformazione in corso.
Tuttavia, sembra che il nostro tempo presenti qualche differenza in relazione a questa incapacità di osservare la natura evolutiva delle società dal loro interno. Ci troviamo in un contesto in cui si stanno esplicitando alcune tendenze e dinamiche che generano elementi di distinzione e differenziazione tra le generazioni e tra le diverse sfere culturali ed economiche, ad esempio, nell'accesso a beni e servizi. Stiamo operando cioè in uno scenario caratterizzato dalla presenza di elementi e fattori di chiara natura dirompente: le tecnologie. Il tratto dirompente concerne il mutamento dei modelli di relazione, dei canoni interpretativi dell'esistente. La dimensione tecnologica che caratterizza le nostre società ci costringe (non è un semplice invito) a riformulare le modalità di azione quotidiana, i criteri di organizzazione delle sfere individuali e collettive, generando una chiara spirale in cui la creazione di nuovi bisogni ed esigenze acquisisce un ritmo vertiginoso. Questi nuovi bisogni, esigenze e modalità di azione costituiscono l'ambito in cui si sta attuando una profonda trasformazione (consapevole, ma temo anche spesso inconsapevole) della nostra percezione della rilevanza della privacy.
Ebbene, forse l'idea stessa di privacy, e la posizione che essa occupa nel quadro del rapporto tra pubblico e privato, costituiscono uno degli elementi fondamentali dell'autocomprensione del soggetto e del modello di organizzazione sociale.
La valutazione positiva della privacy costituisce uno degli elementi fondamentali della proposta liberale. Forse uno degli elementi più preziosi e rivendicabili di questa proposta che, d'altra parte, è allo stesso tempo una componente fondamentale della humus in cui affonda le sue radici il modello di democrazia costituzionale.
La rivendicazione della privacy permette di costituire una sfera essenziale, sebbene non esclusiva, di altri spazi pubblici o condivisi, per il libero sviluppo della personalità. La conservazione dello spazio privato, della sfera particolare, non è una condizione sufficiente per il libero sviluppo della personalità (che nel caso spagnolo è considerata «il fondamento dell'ordine politico e della pace sociale»; così all'articolo 10 comma 1 della Costituzione), ma è comunque condizione necessaria. La sua maggiore o minore estensione e l'esistenza di limiti ben definiti all'intervento pubblico determinano il carattere più o meno rispettoso della libertà individuale del modello in questione.
Questa valorizzazione del privato, del particolare, non deve essere
intesa come correlata al disprezzo per il pubblico. Gli esseri umani sono animali politici che sviluppano le loro potenzialità e capacità all'interno di una rete di relazioni sociali. Allo stesso tempo, lo spazio pubblico è lo spazio della politica e la sfera in cui si consolida l'autodeterminazione avviata nello spazio privato. Il modello ottimale è pertanto quello di una coesistenza ordinata, equilibrata e rispettosa di entrambe le sfere, basata su una piena consapevolezza del loro rispettivo valore. Ciò non esclude la possibilità di considerare l'esistenza di proposte diverse in relazione a questa coesistenza, a seconda degli approcci filosofici e politici adottati. La natura dirompente dello scenario in cui viviamo, dovuta all'ubiquità delle condizioni tecnologiche, incide direttamente e seriamente su questo equilibrio.
La definizione e la conservazione di un particolare spazio di privacy ha una chiara funzione difensiva. D'altra parte, la privacy ha molto a che fare con la segretezza e l'opacità. Queste caratteristiche, che nella sfera pubblica in cui si svolge la gestione degli affari collettivi meritano un giudizio negativo, non lo meritano invece nella sfera privata. La segretezza, il riserbo, il pudore (identificato con il rispetto dovuto alle questioni intime) sono valori da preservare.
La privacy può essere tuttavia persa in due modi. Da un lato, in conseguenza di un'aggressione, di un'intrusione esterna. Così, alcuni spazi vengono occupati, sottoponendo il soggetto a un'esposizione indesiderata e forzata. Ma ancora, d'altra parte, è possibile pensare a una rinuncia volontaria. Si tratta di qualcosa che il soggetto pone in essere consciamente o inconsciamente ed è una conseguenza diretta o indiretta delle sue decisioni. In questo caso, la particolarità risiede nel fatto che questa rinuncia volontaria comporta eventualmente la rinuncia a un terreno difficile da recuperare in seguito. La riduzione delle aree di privacy ci lascia, progressivamente, senza protezione contro il potere (pubblico e privato).
La natura dirompente delle tecnologie implica una riformulazione dei limiti tra pubblico e privato, dal momento in cui l'agorà digitale diventa uno spazio privilegiato e quotidiano per la politica e la formazione dell'opinione
pubblica. Questa trasformazione rappresenta un chiaro cambiamento di paradigma. E la progressiva scomparsa degli spazi tradizionali di discussione e deliberazione, del necessario intervento di entità intermedie nella configurazione della volontà politica – come, ad esempio, i partiti politici – fa apparire questo nuovo paradigma come qualcosa di inevitabile; come un modello le cui regole e dinamiche devono necessariamente essere accettate se si vuole partecipare al nuovo modo «tecnologico» di fare politica, ai diversi livelli di questa attività pubblica.
In poche parole, non c'è scampo.
Ciò che può essere evitato è la rinuncia volontaria agli spazi di libertà, che si verifica come conseguenza di una certa modalità di intervento, di un modo di rendersi presenti sulle piattaforme e sulle reti digitali. È qui che il soggetto può mantenere la capacità di controllare le informazioni – quelle che si riferiscono ad aspetti particolari o addirittura intimi della vita personale (compresa la sfera familiare) – il cui destino non è più sotto il suo controllo dal momento in cui vengono introdotte in determinati canali informativi. Colpisce quindi la superficialità con cui tante persone rinunciano alla propria privacy, in un percorso che sembra essere di non ritorno.
Non credo sia assumere un approccio elitario, il presumere che un certo livello di istruzione dovrebbe proteggere in qualche misura dalle conseguenze indesiderate di questo processo. Può sembrare inverosimile, ma negli ultimi giorni mi sono imbattuto in un noto collega su un social network che ha raccontato del suo profumo preferito da 20 anni e della scoperta di una nuova fragranza, per poi aprire una digressione su quali siano i migliori profumi da uomo.
Le critiche a questi comportamenti non devono essere etichettate come moraliste. È chiaro che dobbiamo rispettare le scelte che ogni individuo desidera compiere in relazione alla diffusione di informazioni sulla propria vita privata. Ma al di là del giudizio che certi comportamenti possono meritare in termini di maggiore o minore frivolezza, il fatto è che ci si interroga sulle ragioni che stanno alla base di questo tipo di comportamento o sulle motivazioni che possono essere perseguite in questi casi. A tal proposito, mi sembra possibile pensare a tre tipi di considerazioni.
In primo luogo, la rinuncia al pudore (che, ricordo, non ha nulla a che vedere con il rispetto di certi costumi, considerati decorosi, ma piuttosto con la valorizzazione positiva del privato, dell'intimo) può essere espressione di un desiderio di esibizione. Tale scelta, se presa volontariamente, deve essere rispettata. Naturalmente, dal momento in cui si scende nell'arena pubblica, espressione della rinuncia volontaria – tema sul quale stiamo riflettendo – si deve essere consapevoli di essere soggetti alle considerazioni – piacevoli o spiacevoli – degli altri. Questo è simile a ciò che accade quando la gerarchia di una confessione religiosa partecipa a un dibattito politico: da quel momento in poi, non c'è più alcun motivo (se mai se ne potesse pensare uno prima), per sfuggire al pubblico scrutinio. In secondo luogo, l'esibizione pubblica può essere dovuta all'ignoranza delle conseguenze, che può essere spiegata da ragioni di (mancanza di) maturità, livello di istruzione o contesto culturale e sociale. In questo caso è giustificata un'azione collettiva (pubblica e privata) per approfondire e consolidare l'educazione sui possibili pericoli o sulle conseguenze indesiderate. In terzo luogo, l'esibizione può essere dovuta al desiderio di simulare una vita felice, in una sorta di competizione continua in cui vengono mostrati stili di vita presumibilmente invidiabili. Il rischio, dunque, è
quello di confondere la persona con il personaggio, con la conseguente perdita di autenticità. E anche perdita di fiducia nella persona che ricorre a queste strategie nella sua autopresentazione. Diffidenza che, nella sua dimensione preventiva, si offre quale buon antidoto alle escrescenze dell'ambiente digitale.
* * *
Francisco Javier Ansuátegui Roig è professore ordinario di Filosofia del diritto all’Università «Carlos III» di Madrid. È stato Presidente della Società spagnola di Filosofia giuridica e politica (2011-2015), della quale è ora Presidente onorario. Ha diretto per quindici anni l’Instituto de Derechos Humanos «Bartolomé de las Casas» all’Università Carlos III di Madrid ed è Direttore della rivista «Derechos y Libertades». Tra i suoi ambiti di ricerca ci sono la libertà d'espressione, le questioni connesse allo Stato di diritto e al costituzionalismo, i diritti sociali, le nuove frontiere della discussione sulla democrazia nell'epoca della rete, il cosmopolitismo. Tra le sue pubblicazioni in lingua italiana:Libertà di espressione: ragione e storia (Giappichelli 2018); (con Cristina Garcia Pacual e Domenico Bilotti), La regola del mondo: La controversia sul diritto internazionale (ESI 2018); Norme, giudici, Stato costituzionale. Frammenti di un modello giuridico (Giappichelli 2020)
Comments