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Potere operaio (6)




[Prologo al n. 50 di «Potere operaio», settembre 1973]

I materiali che proponiamo alla lettura in questo numero di «Potere operaio» (l’ultimo), sono gli atti del seminario tenuto a Padova dal 28 luglio al 4 agosto.

La necessità di organizzare una settimana di discussione e di studi intorno ai problemi più urgenti dell’organizzazione rivoluzionaria in Italia, derivava direttamente dai risultati insufficienti del convegno nazionale di maggio di Potere operaio. Lo stesso convegno non si era prestato come sede per un dibattito chiaro, il che, del resto, era prevedibile. Da lungo tempo l’organizzazione era paralizzata da una forte diversificazione, esistente all’interno, tra posizioni non più dialettiche. Il seminario ebbe luogo quindi nella misura in cui permetteva il rilancio di un dibattito politico fuori dal patriottismo di gruppo e dalle convenzioni burocratiche di tali organizzazioni. È inoltre un discorso «interno» ai compagni che in seguito non si sono più riconosciuti in Potere operaio, probabilmente per questo limitato. Tuttavia esso ha suscitato l’interesse dei compagni delle assemblee e dei comitati autonomi che hanno partecipato attivamente alla discussione. Dopo il seminario dalla discussione si è passati a scelte più concrete, da un lato l’uscita in massa da Potere operaio delle situazioni operaie più significative (Porto Marghera, Fatme di Roma, Pordenone ecc.) dall’altro il potenziamento dei livelli organizzati dell’autonomia con la piena adesione e l’impegno quotidiano nel lavoro politico delle assemblee e dei comitati.

Forse per questo alcune cose dette in queste pagine possono sembrare superate e probabilmente lo sono. Una cosa comunque resta utile ed importante, ed è il fatto che questa discussione pur nei suoi limiti non è la testimonianza di una rissa tra gruppetti o personaggi, ma la cosciente autocritica di un gruppo che ha avuto una funzione determinante nello sviluppo della lotta rivoluzionaria di questi anni. In questo senso pensiamo che possa rappresentare un esempio salutare per gran parte del movimento.


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[Editoriale di «Potere operaio», n. 50, settembre 1973]

Ricominciare da capo non significa tornare indietro

Perché usciamo dal gruppo

Perché scegliamo l’Autonomia organizzata

Non torniamo indietro andiamo avanti


Perché ricominciamo daccapo dopo dieci anni da quella piazza Statuto, mai abbastanza maledetta da padroni e riformisti, che è stata il nostro congresso di fondazione? Perché crediamo oggi fondamentale una radicale campagna di rettifica di linea e di dissoluzione della «struttura di gruppo», una vera e propria rivoluzione culturale nell’ambito della organizzazione della sinistra rivoluzionaria? Perché e come riproponiamo il tema dell’organizzazione di classe, dopo questi dieci anni di crescita del movimento e alcuni momenti di egemonia sul movimento rivoluzionario complessivo? Quali sono le prime scadenze, i primi elementi di programma e le forme di organizzazione che una fase di chiarimento, di dibattito e di lotta politica ha enucleato e sulla quale dobbiamo provarci? Autonomia operaia e rifiuto del lavoro sono la forma e il contenuto del formidabile salto in avanti che, da piazza Statuto a corso Traiano, da via Tibaldi al 11 marzo ’72, dalle prime azioni di lotta armata al marzo ’73 di Mirafiori, la classe operaia, e l’intero movimento rivoluzionario del proletariato sotto la sua direzione, hanno compiuto. Ma autonomia operaia e rifiuto del lavoro non sono mai riusciti a trovare una mediazione organizzativa che non fosse momentanea e spontanea. Ogni tentativo organizzativo ha al contrario scisso e separato questi termini complementari: questa scissione è stata il fondamento dell’opportunismo di destra e di sinistra. L’opportunismo di destra ha esaltato l’autonomia, rinnegando i contenuti materiali di cui questa si nutriva: al rifiuto del lavoro, agli obiettivi comunisti di appropriazione ha di nuovo sostituito l’orizzonte socialista della contrattazione istituzionale, la cosiddetta autonomia del politico e un conseguente programma di più equa ripartizione dei redditi. L’opportunismo di sinistra ha istericamente esaltato la volontà di rottura e di scontro delle avanguardie del rifiuto del lavoro, disperdendo tuttavia nel delirio gauchista ogni capacità di interpretare il movimento di massa, cedendo alla tentazione di un terrorismo senza principi, preda perciò di nuovo dell’iniziativa provocatoria dei livelli istituzionali del capitale. Sul piano politico, sia l’opportunismo di destra che quello di sinistra sono quindi necessariamente scivolati in una pratica burocratica, delegata, tardocomunista: i gruppi sono oggi extraparlamentari solo di nome, in realtà tutte le loro scadenze hanno finito con l’essere parlamentari e istituzionali e ogni loro struttura ha finito per ripetere i modelli obsoleti della rappresentanza politica, della delega, della tradizione terzinternazionalista. Migliaia di compagni sono stati costretti a una piccola e meschina pratica minoritaria laddove poche decine di operai, negli anni Sessanta, legati alle masse, ogni giorno rinnovando la scoperta del rifiuto del lavoro, erano riusciti a formare l’avanguardia maggioritaria del proletariato, a imporre un salto in avanti qualitativo, fondamentale e irreversibile, ai comportamenti operai e alle lotte. Solo una direzione operaia, diretta e immediata, può oggi ricongiungere autonomia e rifiuto del lavoro. La direzione operaia si esercita prima di tutto nel mantenimento dei livelli di potere raggiunti nel rapporto tra operai e capitale. Livelli di potere che si chiamano assenteismo, sabotaggio, rifiuto di tutte le forme incentivanti e nocive del lavoro, soldi; che si chiamano capacità di lotta contro la crisi e contro lo sviluppo, contro ogni forma del comando capitalistico; che si chiamano rifiuto di ogni forma di contrattazione e di partecipazione, di ogni tentativo istituzionale, sindacale o partitico, di controllo dell’autonomia. Ma tutto ciò non basta. La direzione operaia non si svolge oggi solamente sul terreno dei rapporti di forza fra operai e capitale. Essa affronta anche i problemi della seconda fase: i problemi cioè del rapporto classe-partito. I livelli di potere che l’autonomia operaia sa tenere in fabbrica e nella società tendono necessariamente a trasformarsi in livelli di attacco. La coscienza di massa del potere operaio si traduce in forza soggettiva e in iniziativa di avanguardia. Il rifiuto della contrattazione si trasforma in comportamento di appropriazione. La lotta contro gli infiniti tentativi padronali di repressione si sviluppa in capacità di sostenere e dirigere primi momenti di lotta armata anticapitalistica. Il tempo è maturo perché questa seconda fase sia percorsa interamente dalle forze di massa autonome della classe operaia. Operai e capitale, classe e partito; autonomia e rifiuto del lavoro, appropriazione e militarizzazione; questi sono i temi su cui si prova la maturità della direzione di classe operaia. Il loro legame è dialettico, e cioè unitario e articolato: solo una direzione operaia centralizzata può dominare questa articolazione e imporre questa unità. Ciò significa che la parola d’ordine della centralizzazione, maturata attraverso l’esperienza dei gruppi, non è da noi abbandonata. Ma si tratta di dare carne e sangue a quella che è stata una parola d’ordine puramente ideologica. È per questo che, di fronte al fallimento necessario dei gruppi, la fusione materiale del potenziale di direzione può darsi solo alla base, solo dentro l’autonomia operaia. La centralizzazione, il partito, non sono dei miti, non sono la soluzione delegata del problema della direzione collettiva del proletariato: sono invece un processo di lotte e di organizzazione, vissuto ogni giorno, nel difficile cammino della formazione organizzativa del programma. Il nostro problema non è altro che quello di congiungere in modo corretto, e quindi efficace, la compatta autonomia della classe operaia e i movimenti della sua avanguardia. La classe operaia si fa partito attraverso la centralizzazione dei propri movimenti. Questo processo di partito può essere anticipato solo attraverso la centralizzazione di base, pratica e non ideologica, attuata nella concentrazione di una forza di massa e di un’iniziativa di attacco. È per questo che la centralizzazione che proponiamo e cominciamo a mettere in atto per noi stessi si presenta come forza espansiva, come struttura espansiva, che raccoglie per esaltare (e non per illanguidire, come avviene nei gruppi) ogni iniziativa proletaria contro il lavoro. Ciò nondimeno questa centralizzazione è un fatto reale: è fusione di volontà soggettiva, è capace di battere la ciclicità delle lotte dominate dal sindacato e dal padrone, per imporre sempre l’iniziativa di attacco. Ma quello che deve essere chiaro è di nuovo questo: che la mediazione teorica, l’articolazione pratica, la centralizzazione decisionale di attacco contro la ciclicità del movimento, noi non le riconosciamo a nessun meccanismo delegato, non le poniamo dentro a nessuna divisione del lavoro, non le fissiamo in nessuna struttura verticale. Se un partito operaio adeguato all’attuale composizione politica della classe operaia, e cioè impiantato sull’esperienza che le lotte e il rifiuto del lavoro hanno determinato nella classe operaia, deve nascere, esso nascerà solo dalla diretta capacità operaia di appropriarsi prima di tutto della propria organizzazione.


L’Autonomia organizzata

Prime esperienze dell’autonomia organizzata, nelle grandi fabbriche e sul terreno sociale, sono date. Un primo processo di organizzazione nazionale di queste emergenze dell’autonomia è cominciato. Noi riconosciamo in questo primo processo un’indicazione organizzativa valida e quindi una sede di lavoro politico. Noi riteniamo che l’inserimento di quadri esterni nel lavoro politico delle assemblee e dei comitati autonomi debba portare a una fusione completa, e che questo sia importantissimo per la costruzione di una capacità generale di direzione e di egemonia politica sul movimento da parte degli operai d’avanguardia. Il processo dell’autonomia organizzata va ulteriormente spinto in avanti, accelerato dentro le scadenze di lotta e di organizzazione che l’autonomia si dà. La campagna di massa per l’affermazione della direzione operaia sul movimento, per la dissoluzione di ogni esternità o delega organizzativa va immediatamente sviluppata. Nella formidabile continuità del movimento italiano abbiamo la possibilità di usare la crisi dei gruppi come momento positivo per l’allargamento della concezione e dell’organizzazione della gestione autonoma del potere operaio: questa possibilità non dobbiamo perderla! Se organizzazione operaia è organizzazione dell’organizzazione, se lotte e organizzazione operaia in termini di gestione, di potere, sono la stessa cosa, il processo di partito è interamente un processo di lotte. Oggi a noi spetta di vedere assieme la soluzione iniziale del problema dell’organizzazione, così come siamo venuti affrontandolo, e il progetto di riaprire la lotta per l’organizzazione. La scadenza è vicina. Il riformismo tenta disperatamente di stabilizzarsi: ma tutto ci dimostra come il tentativo sia vano. Il problema non è di sapere se il riformismo riuscirà a passare oppure no: questo problema lo abbiamo risolto con le lotte degli anni Sessanta, dimostrando la definitiva sconfitta storica di ogni proposta di accompagnare lo sviluppo dello sfruttamento al consenso della classe operaia. Il problema è di sapere se la sconfitta del riformismo troverà la classe operaia pronta a gestire il processo rivoluzionario della presa del potere e dell’instaurazione del comunismo. È questa l’ultima scadenza che ci interessa. Il nostro sforzo organizzativo è quindi volto alla preparazione di questo momento, attraverso un esercizio continuo del potere operaio nelle fabbriche e nella società, insieme causa della crisi capitalistica e processo di organizzazione operaia per il comunismo. Le lotte che stanno aprendosi, sul salario contro gli effetti repressivi dell’inflazione, contro il lavoro sull’orario e la giornata lavorativa, queste lotte ci impegnano a svilupparle in questo senso radicale, come prefigurazione dello sbocco rivoluzionario. Lotte e organizzazione sono tutt’uno perché vincere e sviluppare l’organizzazione comunista della società è tutt’uno. Questo è l’ultimo numero di «Potere operaio». La crescita della direzione operaia delle lotte e dell’organizzazione ha dissolto le istanze organizzative dei gruppi. Parte dei compagni che oggi sottoscrivono quest’ultimo numero di «Potere operaio» ne hanno vissuto l’intera esperienza. E non la rinnegano. I gruppi, interpretando in maniera sbagliata un problema vero, quello cioè dell’omogeneizzazione nazionale dell’intervento, hanno permesso a noi tutti di crescere nella coscienza di classe e nella disciplina dell’organizzazione. Ma ora i compagni debbono di nuovo, come sempre hanno fatto, confrontare gli esiti della loro esperienza alle esigenze dell’organizzazione operaia e al processo della sua crescita: con determinazione, senza timidezza, senza rimorsi, ognuno deve decidere da che parte stare. Noi abbiamo scelto l’autonomia organizzata e la direzione operaia. Se gli altri compagni intendono continuare a gridare lo slogan «potere operaio» si rallegrino, anche noi continueremo a farlo: qui non ci sono maggioranze o minoranze, la nostra esperienza riconosce questi rapporti di comando e di disciplina solo alla e nei confronti della direzione operaia. Potere operaio, dunque, ma – e in questo siamo settari – solo nella forma e nei tempi riconosciuti e guidati dall’autonomia operaia organizzata.

Abbiamo rifiutato il gruppo e la sua logica per essere nel movimento reale per essere nell’Autonomia organizzata.


Qui sotto è possibile scaricare in Pdf il numero 50 di «Potere operaio»:








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