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Potere operaio (12)



Pubblichiamo un testo di Cinzia Zennoni dal titolo L'«area» dell'autonomia operaia


* * *



Già nel corso del 1971 iniziarono a costituirsi i primi organismi autonomi di fabbrica, prendendo la forma di assemblee, comitati, collettivi. Aderirono a essi molti militanti usciti progressivamente dai gruppi, o a seguito di una scelta individuale o per il progressivo allontanamento degli organismi di base in cui svolgevano attività politica dal gruppo extraparlamentare di riferimento. Ad esempio, tra il 1972 e il 1973 a Roma, il Comitato politico Enel, il Collettivo dei lavoratori del Policlinico e altri organismi autonomi uscirono dal Manifesto; a Milano, l’Assemblea autonoma dell’Alfa Romeo ruppe con il gruppo di Lotta continua, per opporsi alla pretesa di quest’ultimo di egemonizzarne la linea[1]; a Porto Marghera, l’Assemblea autonoma, sorta all’indomani del rifiuto del contratto da parte degli operai chimici del Petrolchimico e della Chatillon nel novembre del 1972[2], prese progressivamente le distanze da Potere operaio. In un articolo apparso sul «Potere operaio del lunedì» nel novembre 1972, si affermava:


Già da prima delle lotte contrattuali del ’72 l’autonomia operaia aveva avvertito il profondo disagio di non riuscire ad esprimere, né all’interno dei gruppi della sinistra rivoluzionaria, né nei consigli dove pesava il controllo sindacale, i contenuti e le forme di lotta che nella sua potenzialità conteneva. Così come a Marghera si è costituita l’Ass. Aut., così in molte altre situazioni stanno sorgendo organismi autonomi di fabbrica, quartiere, paese, scuola.


Seguivano toni polemici nei confronti dei gruppi:


Per questo noi non crediamo giuste quelle posizioni che vedono in questi momenti organizzati dell’autonomia solo degli strumenti di trasmissione a livello di massa di linee politiche precostituite, degli strumenti di organizzazione di lotte settoriali che vengono riunificati dalla posizione politica di un gruppo. Siamo cioè contro quei gruppi che credono di essere il partito rivoluzionario e che gli organismi autonomi debbano diventare i loro organismi di massa[3].


Anche da parte degli organismi autonomi fu espressa la necessità di trovare momenti di centralizzazione organizzativa che impedissero il confinamento delle lotte nel proprio ambito specifico, che realizzassero un collegamento tra il terreno della fabbrica e quello sociale, che rompessero l’isolamento della classe operaia, coinvolgendo nella lotta altri soggetti, come gli studenti, i disoccupati, le donne.

Con questa intenzione, il 25-26 novembre 1972, su iniziativa delle realtà organizzate di Roma e Napoli, si tenne a Napoli un convegno per dibattere della questione dell’autonomia operaia e dei problemi del Mezzogiorno. Furono ripresi i temi della necessità del ricorso alla violenza rivoluzionaria, del salario garantito, come obiettivo centrale (articolato nelle lotte contro «la mobilità e la polivalenza, i licenziamenti, i ritmi, il caro-fitti, il caro-bollette») attorno al quale unificare diversi settori sociali: gli operai, gli studenti, gli emigrati, i disoccupati. Infine fu affrontato il problema della centralizzazione, ponendolo nei seguenti termini:


L’organizzazione dell’autonomia operaia si realizza non attraverso un semplice coordinamento di più situazioni di lotta, ma attraverso la centralizzazione delle avanguardie autonome su un programma che si danno e con la scelta degli strumenti adeguati. La centralizzazione è condizione indispensabile nel processo di costruzione del partito rivoluzionario[4].


Ancora una volta la questione cardine era quella dell’assenza di un’organizzazione operaia complessiva, caratterizzata da un’autentica volontà rivoluzionaria, derivante da un processo di aggregazione dal basso delle assemblee e dei comitati autonomi esistenti, capace di fornire alle singole lotte un senso politico generale. Per far fronte al problema, alcuni organismi autonomi organizzarono una serie di convegni unitari, nei quali cercare di elaborare una linea comune e superare il frazionamento delle situazioni di scontro. Il primo fu il «preconvegno» che si tenne a Firenze il 27-28 gennaio 1973, in preparazione della «riunione nazionale delle forme di autonomia operaia organizzata»[5] di Bologna, fissata per il 3-4 marzo 1973.

Potere operaio concesse ampio spazio sul proprio organo di informazione al dibattito svoltosi al convegno di Firenze, dimostrando curiosità e attenzione verso il proliferare di organismi autonomi di massa, indipendenti rispetto all’iniziativa dei gruppi della sinistra extraparlamentare e anzi spesso collocati su posizioni di contrasto, se non di superamento dei gruppi stessi. Numerosi furono gli interventi riportati sul «Potere operaio del lunedì»[6] e da tutti emergevano, pur in un diverso contesto, le stesse problematiche: l’impossibilità di un ricorso al sindacato nei momenti di lotta, perché considerato ormai irrimediabilmente asservito alla logica della ristrutturazione capitalistica; la necessità di «socializzare» il conflitto, cioè collegare le lotte di fabbrica a quelle sul territorio (occupazioni di case, sciopero degli affitti, non pagamento dei trasporti), per unificare le diverse categorie proletarie sulla base dei «bisogni materiali»; l’urgenza di dar vita a un processo di centralizzazione delle avanguardie operaie, che potesse fornire alle lotte una valenza politica e non solo economica. Le questioni evidenziate dovevano essere risolte tramite un superamento della «logica dei gruppi», della loro pretesa di fornire la linea dall’esterno[7] e della tendenza a considerare gli organismi autonomi come il proprio movimento di massa. Potere operaio veniva esplicitamente invitato ad assumere una più netta presa di posizione:


Il problema resta magari per i compagni di Potere operaio, che ancora sul piano organizzativo devono decidere sul lungo periodo rispetto al problema dell’autonomia operaia. Non ci può essere ancora un rapporto esterno all’autonomia operaia, ma ci deve essere una compenetrazione. Potere operaio ha saputo dire da quando è nato delle parole d’ordine che sono passate a livello del movimento. Per questo io credo che Potere operaio deve fare i conti con la realtà che cresce dell’autonomia operaia. E lavorare per organizzarla, per costruirla, per farla il punto di riferimento contro lo stato[8].


L’atteggiamento degli organismi autonomi nei confronti dei gruppi non era uniforme: presentava al suo interno posizioni di deciso rifiuto[9], volontà di confronto[10], e disponibilità all’apertura e all’integrazione[11].

All’incontro di Firenze seguì il convegno nazionale di Bologna del 3-4 marzo 1973[12]. Nel comunicato di convocazione del convegno erano enunciati gli obiettivi da perseguire:


Quello che è in discussione è un progetto di centralizzazione delle forme organizzate di autonomia operaia che – dentro la crisi di sistema – diventi la risposta organizzata del movimento all’attacco concentrico della borghesia, dia una soluzione positiva alla crisi dei gruppi e alle settorialità delle singole lotte ed esperienze.


Inoltre si precisava:


Non sarà il convegno dell’autonomia operaia (non ci arroghiamo il diritto di rappresentare l’autonomia operaia) […]. La riunione nazionale di Bologna dovrà decidere circa la data di un convegno aperto a tutta l’autonomia organizzata (comitati di quartiere, proletari, collettivi studenti-operai, contadini, braccianti, edili) e a quei gruppi che fanno del confronto e coinvolgimento nel programma dell’autonomia una scelta non tattica ma di lungo periodo[13].


Potere operaio fu costretto a confrontarsi con l’emergere dei tentativi organizzativi che avvenivano sottraendosi al condizionamento dei gruppi. Da un atteggiamento di iniziale diffidenza, si arrivò ad ammettere l’importanza che essi assumevano per la futura costruzione del partito operaio, alla luce della manifesta volontà di superare la dimensione limitata del comitato in direzione di una più ampia sintesi organizzativa di carattere politico. Potere operaio appariva ottimista nel sentire come ormai vicina la soluzione al problema della «direzione operaia» del movimento e la individuava proprio nelle esperienze dei comitati politici e nei loro tentativi di aggregazione:


Programma politico ed organizzazione in grado di praticarlo. A questo può portare, deve portare il superamento ad un tempo dell’esperienza dei Comitati e dei gruppi ed il loro convergere e fondersi dentro un progetto ed una pratica politica unica[14].


Non tutte le realtà organizzative autonome erano presenti al convegno di Bologna. Molti organismi di massa ne furono esclusi. Ad esso parteciparono solo quelle situazioni che già da prima avevano mostrato una condivisione di obiettivi e la disponibilità ad agire secondo una impostazione comune, finalizzata alla centralizzazione delle esperienze di lotta. Nonostante la precauzione iniziale, alla riunione si manifestarono divergenze sia sui tempi di un eventuale processo organizzativo nazionale dell’autonomia operaia, sia sulla linea politica da seguire. Attorno al primo punto si delinearono due posizioni: da un lato vi erano gli organismi autonomi del sud, in particolar modo le situazioni di Roma e di Napoli, che premevano per un processo organizzativo accelerato; dall’altro gli organismi autonomi milanesi, i quali ritenevano necessario procedere a un preliminare consolidamento dell’azione all’interno delle rispettive aree d’intervento. In merito alla seconda questione, il dibattito vide schierati da una parte


le situazioni di Marghera e di Roma con una linea politica ispirata alle tesi di Potere operaio […] che parte da un giudizio sulla crisi della borghesia e dalla necessità di accentuare questa crisi con l’introduzione all’interno del movimento di tutta una serie di obiettivi non integrabili dal capitale e poi l’organizzazione del movimento per far fronte allo scontro inevitabile della lotta per questi obiettivi[15];


dall’altra gli organismi autonomi di Milano, cioè le assemblee della Sit-Siemens, Pirelli e Alfa Romeo, i quali sostenevano che «la linea politica è il risultato delle esperienze reali che la classe operaia fa e che gli organismi autonomi interpretano e guidano e non una piattaforma precostituita». Si opponevano dunque alla «cristallizzazione di una linea politica già elaborata che rischia di diventare ideologia nella situazione attuale in cui ogni organismo deve fare i conti con la particolarità della sua situazione»[16]. Alla fine il dibattito vide la sostanziale affermazione delle posizioni sostenute dagli organismi di Milano, con il ridimensionamento dei tempi del processo organizzativo e con l’impegno a intervenire nelle situazioni concrete, senza aver prima stabilito una linea obbligata e astratta da seguire.

A Bologna nacque il «coordinamento nazionale delle assemblee e comitati autonomi», una commissione provvisoria incaricata di occuparsi dei rapporti reciproci fra i vari organismi. Il primo prodotto di tale coordinamento fu il «Bollettino degli organismi autonomi operai», che uscì nel maggio 1973 e di cui apparvero solo due numeri[17].

Potere operaio, che tra le annotazioni positive sul convegno aveva registrato l’assenza del trionfalismo solitamente presente agli incontri tra avanguardie operaie, non volle rimanere escluso da quanto stava accadendo. Dopo aver affermato che la responsabilità del processo organizzativo non poteva essere fatta ricadere solo sugli organismi autonomi, bensì «complessivamente dentro lo schieramento rivoluzionario», dichiarava la propria «disponibilità a costruire insieme la rete operaia del rifiuto del lavoro, il partito nella rivoluzione comunista»[18].

Il dibattito interno all’area dell’autonomia condizionò profondamente la storia di Potere operaio. Secondo quanto afferma il giudice Palombarini[19] sulla base delle deposizioni testimoniali rese al processo «7 aprile», la vera rottura di Potere operaio si registrò in seguito al III convegno d’organizzazione del settembre 1971, attorno al tema della formalizzazione del partito. Molti militanti, non condividendo la posizione espressa dalla direzione nazionale, se ne erano allontanati, continuando a svolgere attività politica come singoli o inseriti in organismi di base, all’interno di quell’area di autonomia operaia che andava organizzandosi. Essa soddisfaceva le richieste di coloro che, pur nella volontà di giungere alla creazione di un’organizzazione operaia nazionale che unificasse le diverse realtà locali, non credevano nella possibilità di un gruppo di rappresentare quel momento di centralizzazione e che leggevano nella pretesa di Potere operaio di diventarlo solo una progressiva burocratizzazione delle sue strutture e la perdita di contatto con le situazioni reali.



Note [1] «Non crediamo che il partito operaio rivoluzionario possa formarsi nel modo tradizionale: gli intellettuali che danno una linea che poi scende nelle fabbriche a cercare le avanguardie che portino avanti questa linea. Questo non è possibile. I vari movimenti autonomi debbono direttamente contribuire a costruire il partito della classe operaia. E non riconosciamo in nessun gruppo questo partito». (Intervento di un compagno dell’Assemblea autonoma dell’Alfa Romeo, «Potere operaio del lunedì», n. 42, 25 febbraio 1973, riportato anche in Autonomia operaia, a cura dei Comitati autonomi operai di Roma, Roma, Savelli, 1976, p. 25. [2] Cfr. Marghera, oltre il bidone, «Potere operaio del lunedì», n. 19, 19 novembre 1972, e L’Assemblea autonoma di Porto Marghera, Potere operaio del lunedì, n. 26/38, 28 gennaio 1973. [3] Documento del convegno di Napoli del 25-26 novembre 1972, in Autonomia operaia, cit. p. 27. [4] Comunicato della Commissione organizzativa del Convegno dei Comitati e delle Assemblee Autonome, «Potere operaio del lunedì», n. 43, 4 marzo 1973. [5] Gli interventi sono riportati sui numeri 41 (18 febbraio 1973), 42 (25 febbraio 1973), 43 (4 marzo 1973), di «Potere operaio del lunedì». [6] «Soprattutto gli organismi dell’autonomia operaia devono essere un momento di saldatura tra lotta economica e lotta politica: questa divisione […] che tradizionalmente ha dato vita al sindacato da una parte e al partito dall’altra, è stata criticata giustamente anche da una serie di gruppi che hanno contribuito a far nascere un movimento rivoluzionario. Ma oggi assistiamo al fatto che i gruppi riproducono questa logica della divisione del momento economico e del momento politico: essi vogliono anche promuovere la formazione di organismi autonomi di massa, però subordinati alla linea generale che è del gruppo, il quale pretende di essere il depositario della visione generale» (intervento di un compagno del comitato della Sit-Siemens, «Potere operaio del lunedì», n. 41, cit.). [7] Intervento di un compagno del comitato dell’Enel di Roma, «Potere operaio del lunedì», n. 41, cit. [8] «Per quel che riguarda i gruppi, bisogna dire che, all’interno del discorso sull’autonomia, il ruolo dei gruppi è finito oggettivamente. Non dobbiamo combatterli, ma farne giustizia politica» (intervento di un compagno del Collettivo operai-studenti del Policlinico di Roma, «Potere operaio del lunedì», n. 42, cit.). [9] «Il rapporto con i gruppi deve essere visto in funzione solo della disponibilità di questi compagni alla pratica effettiva degli obiettivi operai. Non voglio dire che i gruppi a loro volta debbono essere al nostro servizio e fare quello che noi operai non vogliamo fare in fabbrica. Essi devono inserirsi nei nostri organismi e comunicarci le loro esperienze, funzionare da collegamento tra la lotta di fabbrica e quella del quartiere. L’assemblea autonoma non si pone come alternativa al sindacato e ai gruppi, essa deve porsi come organizzazione direttamente operaia, e su questo c’è spazio al confronto con i gruppi e con certi Consigli di fabbrica» (intervento di un compagno della Chatillon di Porto Marghera, «Potere operaio del lunedì», n. 42, cit.). [10] «Per questo oggi, pur riconoscendo le esigenze profondamente diverse del movimento, non si può fare a meno di avere un rapporto politico con le avanguardie organizzate, con gli spezzoni di organizzazione che, quando non si autoeliminano arrogandosi il ruolo del partito della classe, sono indispensabili nella costruzione di quella che sarà l’organizzazione operaia della rivoluzione comunista» (intervento di un compagno dell’assemblea autonoma di Porto Marghera, «Potere operaio del lunedì», n. 42, cit.). [11] Al convegno parteciparono i seguenti organismi autonomi: l’Assemblea autonoma dell’Alfa-Romeo, della Pirelli, il Comitato di lotta della Sit-Siemens di Milano, l’Assemblea autonoma di Porto Marghera, il Comitato operaio della Fiat-Rivalta di Torino, il Comitato politico Enel e il Collettivo lavoratori e studenti del Policlinico di Roma, i Comitati operai di Firenze e Bologna, l’USCL (Unione sindacale comitati di lotta) di Napoli, le Leghe rosse dei contadini di Isola Capo Rizzuto e Crotone, il Circolo «Raniero Panzieri» di Modena. [12] Al convegno parteciparono i seguenti organismi autonomi: l’Assemblea autonoma dell’Alfa-Romeo, della Pirelli, il Comitato di lotta della Sit-Siemens di Milano, l’Assemblea autonoma di Porto Marghera, il Comitato operaio della Fiat-Rivalta di Torino, il Comitato politico Enel e il Collettivo lavoratori e studenti del Policlinico di Roma, i Comitati operai di Firenze e Bologna, l’USCL (Unione sindacale comitati di lotta) di Napoli, le Leghe rosse dei contadini di Isola Capo Rizzuto e Crotone, il Circolo «Raniero Panzieri» di Modena. [13] Comunicato della Commissione organizzativa del convegno dei Comitati e delle Assemblee autonome, «Potere operaio del lunedì», n. 43, cit. [14] «Potere operaio del lunedì», n. 44, 11 marzo 1973. Editoriale. Tuttavia Potere operaio ammoniva severamente: «È quindi indispensabile, ci sembra, che i compagni dei Comitati affrontino nel convegno e dopo questi nodi non solo nei discorsi ma nel lavoro politico. […] Altrimenti la polemica con i gruppi così ossessivamente presente in alcuni compagni dei Comitati finisce con l’essere il dito dietro cui nascondere la propria inettitudine. Perché, sia chiaro che in assenza di cose nuove l’esperienza di alcuni gruppi rivoluzionari resta in Italia l’unico punto fermo da cui partire». (Ibidem). [15] Intervista a un compagno dell’assemblea autonoma Alfa, «Potere operaio del lunedì», n. 45, 18 marzo 1973. [16] Ibidem. [17] Il bollettino portava le firme dei seguenti organismi: Assemblea autonoma Alfa Romeo, Assemblea autonoma Pirelli, Comitato di lotta Sit-Siemens, Gruppo operaio Fiat, Assemblee autonome di Porto Marghera, Comitato politico Enel, Comitato lavoratori-studenti Policlinico, Unione sindacale comitati di lotta. Sull’argomento vedi Aut. Op. La storia e i documenti: da Potere operaio all’Autonomia organizzata, a cura di Lucio Castellano, Roma, Savelli, 1980, p. 83. [18] Il convegno dei comitati, «Potere operaio del lunedì», n. 45, cit. [19] G. Palombarini, op. cit., pp. 111-112.


Qui sotto è possibile scaricare i pdf dei n. 51-60 di «Potere operaio del lunedì»:


PotereOperaioLunedì_N.51
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PotereOperaioLunedì_N.52
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PotereOperaioLunedì_N.53
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PotereOperaioLunedì_N.54
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Potere Operaio del lunedì n.55
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PotereOperaioLunedì_N.56
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PotereOperaioLunedì_N.57
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PotereOperaioLunedì_N.58
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Potere Operaio del lunedì n.59
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PotereOperaioLunedì_N.60
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