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Polvere di tè verde e il blasone di Carla Vasio



Pubblichiamo un ritratto di Carla Vasio, scrittrice e poetessa italiana, curato da Simona La Neve


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Un ciliegio, una piccola strada di pietre e una piantagione di bambù portano alla casa del tè di Certaldo che ne ospita ancora oggi la cerimonia dal 1993. È Carla Vasio (1923), scrittrice e poetessa ad aver determinato questo sigillo di ceralacca tra Italia e Giappone che odora ancora di polvere di tè verde. E se il mistero e l’eleganza sono difficilmente narrabili con lemmi e orpelli delle parole, Carla Vasio la si racconta innanzitutto per quel blasone: «l’unica donna presente» in un certo ottobre palermitano, insieme all’amica Amelia Rosselli. Con quel suo caschetto morbido dalle poche curve che le lascia la fronte libera, gli occhi vispi che riflettono la laguna di Venezia dove è nata, si schiariva la voce, stringeva a sé il microfono e iniziava a parlare al convegno del Gruppo 63. Si avviava così la narrazione pubblica di una donna con un medagliere di nastri e nastrini sulle spalle, invero ancora poco encomiato nella sua difforme e stratificata pasta scritturale e umana.

Laureata in storia della musica si propone senza mezzi termini in una scena culturale prettamente maschile che cambierà il panorama letterario di quegli anni. Vive a Roma fin da quando ha 11 anni e si distingue per la proposta di narrative, poesie e per un fitto legame tra testualità e matrice visiva. Molte le collaborazioni nel ruolo di sostenitrice alla lotta per la progressiva affermazione dell’arte sperimentale. I suoi testi che paiono sempre così capaci di disegnare possibilità materiche, sono spesso accompagnati dalle ricerche di artisti come Achille Perilli, Pasquale Santoro, Giulio Turcato e altri. Lei, che dichiara di non prendere mai ufficiali posizioni politiche ma piuttosto culturali, è un’identità capace di esserci, di dichiararsi in mezzo a quel rumore di sottotesti della vita, creando silenziosamente ma, con rigore, una certa etica di comportamento, una rete di relazioni che lei stessa determina. D’altronde Carla Vasio è abituata a spingersi oltre le sue certezze, a delinearsi in mezzo a volti, spesso maschili. A 23 anni, il 2 giugno del 1946, va a votare per la Repubblica. Mentre struttura la sua autonomia culturale, negli anni partecipa innanzitutto al dibattito letterario, risoluta e ferma sulle sue posizioni ancor di più quando si tratta di narrativa, della puntualità di un testo. «Io vorrei soprattutto sapere in che senso questa perdita [scomparsa del romanzo] mi riguardi»[1] dichiara nel 1965 in occasione di una riunione del Gruppo 63. Le sue parole trovano conferma durante un’eclissi di sole – ricorda con precisione Vasio. Una telefonata in cui riceve l’invito al ritiro del Premio internazionale Charles Veillon. E non importa se tra i vincitori è l’unica a ritirare il premio senza la comparsa dei suoi editori, racconta anni dopo. Il suo è un testo che parla di possibilità che ancora nel 1966 – anno della pubblicazione di Orizzonte – non sono state mai pronunciate senza vergogna. Lasciarsi dopo il matrimonio. Perché no? E Carla questa possibilità futuribile la traduce con il racconto privato di mani di donna affaccendate che sferruzzano bastoncini muniti di uncini. Fili di lana rossi e blu e pensieri senza parole. Carla che conosce le tecniche dell’uncinetto, cuce un doppio livello narrativo in una sorta di testo-tessuto: da un lato una donna che deve trovare il coraggio e, dall’altro, la seconda narrazione descrittiva «simboleggiata dal nevrotico lavorare a maglia»[2]. Scivolano così molti successi di Carla Vasio, fili, storie che ne includono altre mentre da redattrice e collaboratrice in riviste note, dirige poi la collana di letteratura «Esempi» per l’editore Lerici. E gestisce, tra il 1967 e il 1972, la libreria dell’Oca a Roma nella quale cura la selezione di testi di psicologia in quello che è lo spazio d’incontri della scena culturale di quegli anni. Amici, forse compagni di vita ma anche mentori. Lo psicanalista Ernst Bernhard è tra questi, in una Roma attratta dalla comunità junghiana. Carla, che si dimostra attenta studiosa di testi di psicologia, è fin dal principio con i suoi libri maestra nello scompaginare, preservare, condurre i chiaroscuri di molteplici personaggi scritturali, perlopiù femminili e in ogni fase della loro vita. Dal corpo di madre in Grandi Riflessi (1963), alla donna che abbandona ogni speranza in Orizzonte (1966) o viceversa di quella che costruisce l’identità scrittoria femminile giapponese in Come la luna dietro le nuvole (1996), fino alla bambina che si disperde negli ambienti acquosi della città in Laguna (1998). E mentre Ideologia e linguaggio di Sanguineti conquista una seconda edizione, Carla Vasio, a metà anni Settanta, risponde a quella generazione con un testo in cui pare proprio prendere una sua originale posizione critica. Lo fa con il suo Romanzo storico (1974) che pubblica in collaborazione con Enzo Mari. Un romanzo come non si era mai visto. Un albero genealogico che perde ogni gioco linguistico per divenire pura ricerca archeologica, elencazione di nomi, ancora una volta intrecci che diventano disegni narrativi «senza concessioni emotive», in un libricino piegato a leporello. «Volevo farlo io un libro così» dichiarerà Italo Calvino. Un «primo esempio di narrativa oggettualizzata» attesta Mirella Bentivoglio che la consegnerà alla partecipazione nella Biennale di Venezia del 1978 e a quella del 1999 con un libro-opera dai cartoncini rossi e dal titolo Buongiorno Signor Plank. Negli anni a seguire collabora poi, alla nascita della rivista «Orsa minore» con Rossana Rossanda, promuove il talento letterario delle donne, anche con la casa editrice Eidos e, scrive testi dalla sensibilità pittorica come Spazi oscuri (1988), La più grande anamorfosi del mondo (2009). Ma è con Vita privata di una cultura (2013) che Carla Vasio andrà poi, oltre la narrativa testuale. Sferruzza alacremente la trama sociale di donne, madri e mogli che nei testi tradizionali sul Gruppo 63 paiono entità solo passeggere per divenire invece, occasione per svelare aneddoti, volti di carne. Gianna Ciao con cui progetta un’estensione in Francia di quella «Cooperativa 10», oggi nella storia dell’editoria italiana, Maura Cova con cui collaborava alla promozione di una innovativa scuola musicale per bambini, Topazia Alliata, Ninnì Pirandello, Fernanda Pivano, Edith Schloss, e tante altre. Ecco perché Carla è molto di più del blasone, stemma che utilizza nelle sue stesse poesie per raccontarsi (Blasone corporale, 1989). Carla ci offre «l’occasione di pensare diversamente» quando proprio a fine anni Ottanta, dopo una lunga permanenza in Giappone, veste i panni di una preziosa ambasciatrice. Apre una scuola di poesie haiku in Italia creando un gemellaggio propiziatorio tra la città Kanramachi e Certaldo – dove nacque Boccaccio. Allegorie e simboli della sapienza orientale, competenze critico-storiche e semiologiche sono poi riferimento per la mostra Ideogramma e poesia con Mirella Bentivoglio che dichiara «È la prima volta che una mostra di poesia visuale nipponica viene presentata in occidente»[3]. Carla è una donna che per l’Italia perciò è anche portavoce di scambi culturali; troppo facilmente è stata intesa come semplicemente conforme a quell’anticanone del Gruppo 63. Le dovremmo invece concedere forse un riconoscimento non solo letterario e artistico, non solo femminile e di lotta, ma anche un blasone verso quella silenziosa ma comunque determinante arte del «parlare che è come tessere a maglia su due assi fondamentali: su uno si selezionano le unità linguistiche, sull’altro le si combina tra loro»[4] proprio come una preziosa polvere di tè verde si lascia sciogliere in una tazza di smalto color fuoco.



Note [1] Carla Vasio, Vita privata di una cultura, Nottetempo, Roma 2013. [2] Lucia Re, Carla Vasio e il nuovo lavoro di Penelope: un orizzonte sperimentale e femminista, Italica, vol. 96, n. 2, American Association of Teachers of Italian, 2019, pp. 228-56. [3]Ideogramma e poesia, catalogo della mostra a cura di Mirella Bentivoglio e Carla Vasio, Galleria e Libreria Il Segno di Annalisa Alloatti, Torino, 1983, pp.3-5. [4] L. Muraro, (1981) La maglia o l’uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonomia, manifestolibri, Roma 2004.

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