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Panzieri e le minoranze comuniste del suo tempo


Franco Fortini: Schizzo di Raniero Panzieri, 1963


A cent’anni dalla sua nascita, Raniero Panzieri rimane una delle figure più importanti nella storia dell’intellettualità militante e del movimento operaio del secondo dopoguerra. Il recente libro di Marco Cerotto pubblicato da DeriveApprodi (Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi». Alle origini del neomarxismo italiano) dedicato alla sua biografia teorica e politica e altre iniziative, tra cui lo «Scavi» sulla nostra rivista, permettono di approfondire i diversi aspetti di una figura ancora in buona misura da riscoprire. L’articolo di Diego Giachetti è un ulteriore prezioso contributo in questa direzione. In particolare, l’autore si concentra su un tema di ricerca inesplorato, ovvero i rapporti che Panzieri ha avuto con le minoranze comuniste presenti alla sinistra del Partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta. Con bordighisti e trotskisti mantenne infatti una relazione di contatto diretto e una dialettica critica e rispettosa, individuandone i limiti ma anche il peso nella rottura della cappa staliniana del Pci, che dopo gli eventi del 1956 era percepita sempre più intollerabile da molti militanti. Analizzando elementi di convergenza e di divergenza, utilizzando materiali rari o dimenticati, Giachetti ricostruisce con precisione storica e interesse politico un pezzo significativo di quello snodo fondamentale del Novecento.


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Tra le tante questioni emerse nel corso delle ricerche sulla figura esemplare di Raniero Panzieri (1921-1964), alcune meritano di essere poste come ipotesi per un lavoro di approfondimento ancora da farsi. Mi riferisco nello specifico ai suoi rapporti con le minoranze comuniste presenti alla sinistra del Partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta. Panzieri non aveva risparmiato critiche a quelle correnti politiche, ma lo aveva fatto onestamente, senza volgarità e disprezzo. La sua polemica era sempre circostanziata e documentata, risultato di una critica che veniva dopo aver conosciuto e approfondito l’argomento della contesa. Il che non era scontato, soprattutto negli anni che precedettero il XX Congresso del Pcus del 1956, quello della denuncia a porte chiuse dei misfatti di Stalin da parte di Krusciov e l’inizio della destalinizzazione.

Compagni d’orientamento bordighiano o trotskista – scriveva Danilo Montaldi – lo «ricordavano aspramente polemico nei loro confronti, anche se aperto e scrupoloso, non facilone o vile come altri» [1]. Un atteggiamento serio il suo che, con più forza ancora, si riconfermò dopo il 1956, quando pose la necessità di un’uscita a sinistra dallo stalinismo perché quegli eventi mettevano in luce la «radicale contraddizione tra socialismo e stalinismo» [2]. Nei suoi giudizi sulle minoranze rivoluzionarie di allora, «con cui era naturalmente in contatto e verso i quali non nutriva alcuna preclusione pregiudiziale, coglieva lo schematismo e, a volte, la matrice piccolo-borghese (ciò che, ovviamente, non aveva nulla a che fare coi luoghi comuni e con le volgarità della propaganda staliniana, ma intendeva essere una definizione psicologica e sociale di una mentalità e di un atteggiamento specifico. Infatti, Raniero Panzieri era molto amico di Livio Maitan e si incontrava e discuteva frequentemente con lui)» [3], dirigente di primo piano dei Gruppi comunisti rivoluzionari (Gcr), la sezione italiana della IV Internazionale.


Panzieri e i trotskisti

Si erano conosciuti subito dopo la fine della guerra, durante la comune militanza nel Partito socialista di unità proletaria – nome assunto dal rinato partito socialista – in occasione di assemblee pubbliche o momenti congressuali. Una conoscenza superficiale, perché abitavano in città diverse ed erano legati a impostazioni politiche differenti. Maitan e altri giovani socialisti appoggiavano la corrente di Iniziativa socialista, viceversa Panzieri aveva come punto di riferimento i cosiddetti «fusionisti», cioè sostenitori della fusione col Partito comunista. Si erano rincontrati, grazie anche all’intermediazione di Giuseppe Paolo Samonà, dopo gli eventi dell’anno 1956, quando Panzieri era diventato condirettore di «Mondo Operaio», la rivista socialista diretta da Pietro Nenni. Tra i collaboratori del supplemento scientifico-letterario vi era appunto Giuseppe Paolo Samonà, il futuro editore assieme a Giulio Savelli, che da poco aveva aderito alla IV Internazionale. Il rapporto fra i due s’intensificò, favorito anche dal caso. In quel periodo, ricordava Maitan, abitavamo «non solo nella stessa città [Roma], ma anche nello stesso quartiere, a poche centinaia di metri di distanza. Così diventavo un frequentatore della sua casa di viale Medaglie d’oro, stabilendo un legame a livello familiare» [4] e di stima personale.

Panzieri non disdegnava letture «trotskiste» e dello stesso Trotsky, ciò che divideva i due vicini di casa era il giudizio su Rodolfo Morandi, positivo per Panzieri, critico per Maitan. Nell’occasione del quarantennale della Rivoluzione russa, nel numero speciale della rivista «Mondo Operaio», tra i testi pubblicati, vi erano brani di Lenin, Gramsci, Trotsky Lunačarskij e altri. Per quanto riguardava Trotsky, si trattava di una «trasgressione allora più unica che rara [a conferma] di una significativa e autorevole esigenza di rileggere criticamente la storia del movimento socialista e comunista andando oltre, le scomuniche di marca staliniana, quanto le meno barbariche ma assai pesanti reticenze, i silenzi, i vuoti di memoria e i veti di marca togliattiana» [5].

Fu lo stesso Panzieri a sollecitare Maitan a intervenire nel dibattito aperto dalle Sette tesi sulla questione del controllo operaio, promosso nel febbraio 1958 dalla rivista, con un testo suo e di Lucio Libertini. La discussione proseguì sull’«Avanti!», «l’Unità», «Rinascita», «Il Contemporaneo», «Passato e Presente», «Tempi moderni», «Rivista storica del socialismo». Da parte sua Maitan precisava cosa dovesse intendersi per controllo operaio: «si tratta di conquistare una posizione di classe nella struttura della produzione […], di creare i germi di organismi genuinamente proletari da contrapporre alla struttura politico-economica borghese [per consentire] di rafforzare le posizioni della classe e di porre gli operai a contatto con quei compiti produttivi che debbono imparare ad affrontare fin da ora» [6]. Nel momento in cui si avanzava la parola d’ordine del controllo operaio, occorreva avere ben chiaro che essa serviva a introdurre elementi di dualismo di potere che potevano aprire a una «rottura rivoluzionaria» [7] con la struttura economica, statale giuridica della società borghese.

Quando Panzieri si trasferì a Torino nell’aprile 1959, mentre era in corso la sua separazione dal Partito socialista (nel 1961 dichiarò di sentirsi estraneo al partito), i rapporti tra l’«operaista» e il «trotskista» non vennero meno, anzi il primo allargò le sue frequenze trotskiste. Maitan continuò a incontrarlo a Torino in occasione dei suoi frequenti viaggi in quella città, «qualche volta pernottando a casa sua. Tramite lui e Daniele Ponchiroli, iniziava a frequentare la redazione dell’Einaudi, casa editrice con la quale aveva già pubblicato nel 1959 il suo saggio Trotsky oggi. E fu proprio con Panzieri che concordò la pubblicazione di un volume di scritti di Trotsky, pubblicato nel 1962 [8].

A Torino Panzieri iniziava a frequentare i coniugi Renzo Gambino e Pina Verdoja, entrambi militanti della IV Internazionale. Si recava spesso a casa loro, raccontava Pina Verdoja, «era una persona estremamente seria, onesta, pulita. Uno che credeva veramente in quello che faceva» [9]. Luca Baranelli ha ricordato i suoi lunghi colloqui con Ezio Ferrero, «un giovane torinese di viva intelligenza (anch’egli prematuramente scomparso) legato alla IV Internazionale che aveva vaste conoscenze di prima mano sull’economia e la politica dell’Urss», per ribadire che, quando trovava nell’interlocutore competenza e intelligenza, era prodigo del suo tempo, come nel caso delle sue «frequenti e lunghe discussioni con Domenico Ferla, un giovane bordighista torinese)» [10].

Grazie a Raniero Panzieri, la casa editrice Einaudi stampò il libro Scritti 1929-1936 di Lev Trostky, presentato in varie città, tra le quali Roma, presso la libreria Einaudi, il 30 marzo. Dopo l’introduzione di Livio Maitan intervenne Lucio Colletti e poi Raniero Panzieri che con passione e lucidità mise in luce tutti gli aspetti più positivi delle concezioni di Trotsky, «in grado di assicurare la continuità della tradizione scientifica del marxismo in un’epoca in cui il movimento operaio dovette subire la devastazione dello stalinismo». Mentre le carenze – relative – di Trotsky «furono quelle di non aver capito il valore dell’opposizione operaia nel 1920 e di non aver intuito, come pure aveva intuito Marx, certe tendenze del capitalismo più avanzato» [11]. Nella discussione intervenne Paolo Spriano, redattore de «l’Unità», dichiarando l’avversità a tutte le forme di falsificazione del pensiero di Trotsky, e Luciano Gruppi, già segretario della federazione torinese del Pci. La radio riferì dell’intervento di Panzieri e trasmise un’intervista con Maitan. Qualcuno credette di vedere la «piega trotskista» di Panzieri. Lo ricordava tale, Romano Alquati nel suo libro Camminando per realizzare un sogno comune [12], e Clara Bovero, in una lettera del 1960, aveva rilevato una «persistenza dell’impostazione trotskista» [13].


Considerazioni sui «Quaderni rossi»

La pubblicazione del primo numero della rivista «Quaderni rossi», nel giugno del 1961, fu accolta favorevolmente da «Bandiera Rossa», il periodico dei Gcr. Piero Bolchini, alias Mario Conti, in una recensione comparsa sul numero del gennaio 1961, la definiva un’iniziativa interessante, un progetto ambizioso, una ricerca da proseguire pur segnalando i limiti di una teorizzazione unilaterale delle lotte sindacali, che esulava dall’affrontare la questione della funzione della direzione politica delle lotte. Il progetto, proseguiva, conteneva indicazioni valide che si richiamavano all’elaborazione sindacale e politica della sinistra marxista e contribuivano a contrastare la divisione opportunistica del lavoro tra sindacati e partiti. Giusto era partire dai contenuti delle lotte operaie per instaurare un rapporto col momento politico della lotta di classe che puntasse, oltreché alla costituzione di un sindacato di classe, anche del partito rivoluzionario. In questo senso la ricerca proposta dal quaderno si limitava a certi aspetti dell’azione sindacale, cedendo in alcuni passaggi alle «formulazioni estremistiche di Alquati» (Documenti sulla Fiat), mentre nell’intervento di Vittorio Rieser si riscontravano «forzature volontaristiche» e in Panzieri un’accentuazione «polemica in senso negativo», con pochi spiragli di positività [14]. Tra i collaboratori del primo numero, due appartenevano alla IV Internazionale: Emilio Soave e Giuliano Boaretto e, in seguito, anche Emilio Agazzi [15].

Si collocava in quei mesi la «missione» di Giampaolo Samonà e Augusto Illuminati a Torino per reclutare Panzieri alla IV Internazionale. «Io e Augusto Illuminati – all’epoca entrambi militanti dei Gcr – ci recammo da lui presso l’hotel Inghilterra di quella città, dove provvisoriamente alloggiava. Gli comunicammo che ci eravamo iscritti alla Quarta Internazionale. Ne fu contento e ci fece tanti auguri per la nostra «cospirazione» politica dentro e contro il Pci. A questo punto gli proponemmo di aderire ai Gcr. Lui rifiutò con garbo e cortesia. Disse che condivideva molte delle analisi dei trotskisti, ma che politicamente aveva in mente un altro progetto, diverso da quello ipotizzato dalla Quarta Internazionale. Era giunto alla conclusione che occorresse ricominciare da capo, dalle leghe operaie, come era avvenuto cent’anni prima. In questo processo di ricostruzione dell’organizzazione rivoluzionaria ‘tutti sono necessari’ disse, ‘sia quelli come voi che quelli come me’» [16].

L’episodio trova conferma nella parallela testimonianza di Illuminati, anche lui ricordava la cortesia e il garbo con i quali Panzieri motivò il suo rifiuto a aderire alla IV Internazionale anche se, per quanto riguardava l’Urss e le Democrazie Popolari condivideva sostanzialmente l’analisi storico-politica di quell’organizzazione. Emilio Soave a proposito sosteneva che uno degli argomenti che lo faceva «andare in bestia» era la definizione di capitalismo di Stato o di collettivismo burocratico per i paesi dell’Est. Per lui quegli Stati avevano una matrice operaia. Stesso atteggiamento, sosteneva Soave, aveva verso le organizzazioni tradizionali del movimento operaio. Similmente al lavoro entrista della IV Internazionale di allora, anche «Panzieri non pensò mai ad una rottura netta dal movimento operaio, ma ad una conquista partendo dall’interno, che nella sua visione doveva iniziare dal movimento sindacale, più che dal Pci» [17].

Nel 1963, come si sa, si verificò la rottura del gruppo promotore dei «Quaderni rossi», una parte si separò per dare vita al mensile «classe operaia» nel 1964. Quella frattura e la precedente defezione dei sindacalisti, i quali si erano tirati indietro subito dopo la diffusione del primo numero della rivista, indeboliva e isolava Panzieri e quelli che volevano proseguire l’esperienza dei quaderni. Fu in quel periodo che la direzione dei Gcr decise di stabilire contatti col gruppo dei «Quaderni rossi». Nella relazione che Maitan svolse al Comitato centrale dell’1-2 novembre 1963, soffermandosi sulla divisione nel gruppo, sosteneva che le posizioni di chi era rimasto nei «Quaderni rossi» fossero le più vicine alle loro, rispetto a quelle di «classe operaia», un «foglio menscevico» – l’aveva definito Augusto Illuminati – che presentava «in forma parossistica (e con un linguaggio spesso inutilmente astruso) le peggiori tendenze dottrinarie e intellettualistiche della sinistra operaia» [18].

Un’attenzione confermata dalla partecipazione al convegno del gruppo tenutosi a Milano il 22 dicembre 1963, di cui abbiamo il resoconto fatto ai compagni dei Gcr: «sia la relazione sia gli interventi sono apparsi orientati prevalentemente verso un approfondimento teorico e i problemi politici e tattici sono apparsi in secondo piano. Le forze del gruppo appaiono abbastanza esigue. Erano presenti elementi provenienti da Torino (circa un terzo del totale), Milano, Firenze, Cosenza, Catania, Pisa e Roma. È stata confermata l’esigenza di contatti del movimento col gruppo Panzieri che per parte sua sembra disposto ad avere relazioni con noi» [19].

Che il canale fosse aperto lo dimostra il fatto che Panzieri stesso decise di partecipare alla discussione che i Gcr avevano avviato su «I problemi della formazione del partito rivoluzionario e gli orientamenti riformistici delle attuali direzioni del movimento operaio»: «Panzieri ha scritto proponendo a Maitan un incontro», si leggeva nel Bollettino Interno dei Gcr, «abbiamo accettato» [20].


Tavola rotonda «Quaderni rossi»-«Bandiera Rossa»

L’incontro avvenne a Torino nel giugno del 1964. Vi parteciparono Panzieri e Vittorio Rieser per i «Quaderni rossi», Maitan e Renzo Gambino per «Bandiera Rossa» [21]. Val la pena, visto che si tratta di un testo introvabile nelle edizioni degli scritti di Panzieri, riportare alcuni passaggi. Maitan introduceva la discussione sostenendo che «i fermenti critici verso la linea delle organizzazioni ufficiali non solo si diffondono, ma si sviluppano in misura crescente su posizioni di sinistra, anche abbastanza omogenee nelle loro linee generali. Dall’altro, queste forze non si sono cristallizzate in una struttura veramente efficiente: l’incidenza sul movimento di massa, anche da parte dei gruppi che hanno fatto più strada, è molto scarsa».

Interveniva poi Panzieri: «le ragioni del divario fra l’azione delle forze di sinistra frammentate e l’azione di classe sono talmente profonde che non si può sperare di trovare una soluzione in un atteggiamento soggettivo […]. Le condizioni oggettive per un partito rivoluzionario della classe operaia non ci sono: si può quindi fare soltanto un lavoro preparatorio […]. Naturalmente questa posizione lascia aperto il problema delle previsioni cronologiche: essa non implica cioè che il periodo preparatorio sia necessariamente un periodo lungo. […] Se si accettano queste premesse, la discussione si sposta su un terreno di discussione, di analisi e di ricerca: dove sono le lacune da colmare? Su quali problemi dobbiamo concentrare il nostro lavoro? Diviene allora essenziale un lavoro di formazione di quadri, dentro un’esperienza operaia».

Vittorio Rieser sottolineava come le esperienze degli ultimi anni, segnati dalla ripresa della lotta operaia, avessero «demolito alcune illusioni, che molti di noi avevamo, bene o male avuto. Si è visto che non ha senso fondare una linea politica su certi comportamenti ‘oggettivamente politici’ della classe operaia»; e precisava: «il peso dei partiti non è consistito nell’orientare la lotta e utilizzarla per obiettivi politici riformisti e integrati nel sistema; ma è consistito semplicemente nel lasciarla a se stessa e ai suoi limiti sindacali “spontanei”. Il peso negativo dei partiti non si è quindi esercitato attivamente, ma soprattutto attraverso l’assenza di una linea che utilizzasse (anche in modo riformistico) la spinta operaia».

Riprendeva la parola Maitan: «sono d’accordo che il partito rivoluzionario non è un obiettivo immediato; nessuno di noi ha mai pensato a scorciatoie. C’è invece una divergenza sulla valutazione dei partiti e in particolare del Pci e del peso che esso esercita nella lotta di classe […]. Il Pci ha una sua strategia e il più delle volte riesce ad imporla al movimento sindacale. I quadri che contano tra le masse sono ancora i quadri del Pci; e anche i quadri critici hanno ancora questo punto di riferimento. Al di fuori di questo vi sono piccoli settori, molto interessanti ma assai limitati, di classe operaia che si muovono in base a riferimenti diversi, e vi è soprattutto un vasto settore passivo, verso cui si può fare propaganda, ma che non può per ora divenire un elemento politicamente determinante. […] Non pensiamo di poter mutare dal “di fuori” una situazione: pensiamo di poterci inserire in modo critico, in un processo determinato da altri fattori. L’obiettivo principale, immediato del nostro lavoro – sul piano politico – consiste nella formazione di quadri. Ma, anche dal punto di vista della realizzazione di questo obiettivo, non possiamo limitarci a questo lavoro di formazione. Noi dobbiamo apparire a determinati settori di classe operaia come gruppi che sono anche capaci di prospettare determinate azioni concrete di lotta, per quanto ristrette».

Renzo Gambino si chiedeva se le diverse valutazioni della politica del Pci erano di natura terminologica o esprimevano una divergenza più profonda. Panzieri tornava al tema per dire: «dalla discussione sono emersi elementi di consenso sul rapporto fra il lavoro politico attuale e l’obiettivo politico futuro di formazione di un partito rivoluzionario della classe operaia. La divergenza si accentra invece sul posto che assume in questa prospettiva il riferimento al Pci. Una volta constatato l’accordo su alcuni più evidenti aspetti di “integrazione nel sistema” del Pci, vi è invece una divergenza sia nell’individuare il carattere del peso che essa esercita nella lotta di classe, sia nell’individuare il carattere particolare del riformismo del Pci. Per parte nostra contestiamo che la linea del Pci costituisca anche solo una linea effettivamente riformista […] Voi invece riconoscete nella linea riformistica del Pci […] importanti contraddizioni, ma di alcune sottolineate il carattere secondario […] mentre altre e più fondamentali vengono ricondotte […] al fatto che nel capitalismo attuale lo “spazio oggettivo” per il riformismo del movimento operaio risulterebbe progressivamente ridotto […]. Non si tratta di negare il peso materiale del Pci (e da questo peso materiale discende l’importanza, che riconosciamo, di un’azione politica anche dentro il Pci); ciò che contestiamo è che la sua linea politica possa costituire il più importante punto di riferimento per un chiarimento politico. […]. Quali sono nella fase attuale del capitalismo i rapporti tra capitalismo e riformismo del movimento operaio? Cioè, quali tipi di “politiche riformistiche” sono storicamente possibili oggi, e da parte di quali forze è possibile la loro attuazione? […]. Si tratta poi di vedere che cosa ha significato la rottura storica prodotta nella storia del movimento operaio dalla linea di rivoluzione internazionale dopo la Prima guerra mondiale; e in particolare quali conseguenze ha avuto sugli attuali partiti comunisti».

Nuovo intervento di Maitan: «non dobbiamo dimenticare che anche le socialdemocrazie difficilmente sono riuscite a incidere effettivamente su questo terreno, a meno che non si risalga al loro periodo d’oro, prima della Prima guerra mondiale […]. Si può convenire che la politica del Pci non ha dato risultati effettivi neppure sul piano riformistico; ciò è dovuto, in ultima analisi, al fatto che lo spazio obiettivo per un riformismo reale, organico non esiste più. Oggi constatiamo che ogni volta che si delinea una stretta politica, ogni volta che si pongono problemi economici […] in fondo si pone il problema di un salto qualitativo, di una scelta tra il rimanere nel sistema o infrangerlo […]. Questo rende difficile la lotta, obiettivamente e naturalmente sterilizzata e rende contraddittoria la politica di chi non intende affatto orientare la lotta verso la rottura del sistema».

Rieser: «non mi sembra che «lo spazio oggettivo» per il riformismo sia scomparso o anche solo fortemente ridotto […]. Per lo scarso peso che hanno in Occidente le forze politiche rivoluzionarie, spesso le alternative che oggettivamente si presentano sono proprio quelle tra le varie linee interne al sistema […]. Le riforme non sono incompatibili col sistema, ma vengono realizzate attraverso una lotta tra le stesse forze politiche interne al sistema: la linea riformistica è una delle componenti di questa lotta. La scarsa efficacia riformistica del Pci dipende anche da una sua incapacità a sfruttare questo stesso “spazio oggettivo” che gli si offre (oltre che dai residui di discriminazione anticomunista ereditati dalla guerra fredda)». Gambino: «la caratteristica essenziale della politica attuale del Pci non risiede nella mancanza di una linea, ma invece nell’adozione di una linea riformista. Certo si tratta di un particolare tipo di riformismo con origini diverse da quello tradizionale della socialdemocrazia […]. È vero che il Pci non riesce a dare alle masse una prospettiva socialista; ma questa mi pare appunto una caratteristica del riformismo e non deriva dall’assenza di una linea». Replicava ancora Rieser: «c’è una tendenza ben chiara a una diminuzione di incidenza e di iniziativa del Pci nelle lotte operaie, che la tendenza all’aumento in termini elettorali non vale a compensare». Maitan concludeva con l’auspicio che la discussione avuta potesse «servire di indicazione del tipo di rapporti che si possono istituire tra gruppi rivoluzionari, ognuno dei quali può mantenere la propria identità e i propri punti di vista, ma sempre disposto a discutere senza apriorismi e deciso a bandire quei metodi di “concorrenza sleale” che, oltretutto, risultano ridicoli».


Intermezzo bordighiano

In quello stesso periodo era uscito il quarto numero della rivista recensito favorevolmente da Piero Bolchini [22], il quale segnalava ai lettori di «Bandiera Rossa» l’impegno che la rivista intendeva assumersi nell’affrontare la dimensione internazionale dei problemi in un duplice senso: quello immediato del collegamento tra le situazioni dei vari paesi capitalisti avanzati, con l’elaborazione di una strategia valida a collegarle a quelle dei paesi sottosviluppati. Inoltre, piaceva l’idea che non si potesse più rimandare l’elaborazione di un modello di società socialista, differente da quello affermatosi in Unione Sovietica dopo la morte di Lenin. Segnalava positivamente i contributi di Vittorio Rieser (Sviluppo e congiuntura del capitalismo italiano) e di Raniero Panzieri (Plusvalore e pianificazione).

In quel numero le pagine dei Grundrisse di Marx, che Amadeo Bordiga aveva commentato nel 1957, vennero pubblicate e tradotte [23] facendole conoscere a una ben più vasta cerchia di studiosi e militanti di sinistra. Bordiga era stato il primo in Italia a sottolineare l’importanza di quelle pagine, ne tradusse dei brani e li accompagnò a un commento [24]. Nelle riflessioni di Panzieri si ritrovano motivi marxiani molto analoghi a quelli messi in luce da Bordiga. E si sa, da una testimonianza di Dario Lanzardo, che Panzieri conosceva, in modo non solo occasionale, le posizioni bordighiane [25], e rimase colpito da quelle analisi al punto di proporre la pubblicazione di alcuni suoi scritti alla casa editrice Einaudi, pur non condividendo il rigido determinismo dell’autore. Un campo ancora tutto da esplorare resta quello di un raffronto critico tra la lettura complessiva che Bordiga ha fatto di Marx e quella che ne ha fatto Panzieri. Così come rimane da verificare, secondo Liliana Grilli, l’ipotesi di una possibile influenza indiretta di Bordiga sullo sviluppo delle posizioni teoriche di Panzieri, tenuto conto che fin dal 1952 Bordiga aveva sottolineato l’importanza delle osservazioni di Marx circa il «dispotismo di fabbrica», tema divenuto poi centrale nel dibattito marxista degli anni Sessanta e ripreso dal gruppo dei «Quaderni rossi» [26], come lo furono altri spunti quali i concetti di sussunzione formale e reale del lavoro al capitale, comando capitalista, autodeterminazione, antagonismo, operaio sociale.


Un militante esemplare

Il percorso umano e intellettuale di Panzieri fu spezzato dall’embolia cerebrale il 9 ottobre 1964. Di Panzieri, si leggeva nell’editoriale di «Bandiera Rossa», scritto quasi sicuramente da Maitan, «ricorderemo, oltre alla sua penetrante intelligenza, l’assoluta dirittura morale, il totale disinteresse, l’assenza completa di ambizioni personali, la cristallina lealtà. Con la sua prematura e sconvolgente scomparsa il marxismo rivoluzionario in Italia perde uno dei suoi esponenti migliori. [Era] giunto a una comprensione organica del fenomeno dello stalinismo e a una interpretazione corretta della linea sostanzialmente neo-riformista non solo del Psi, ma dello stesso Pci. […] Era ormai su posizioni largamente coincidenti con le nostre sulle questioni fondamentali del movimento operaio internazionale e nazionale. Ci dividevano soprattutto impostazioni tattiche, che tuttavia non ci impedivano una collaborazione fraterna» [27]. Sicuramente di Maitan era invece la dedica «alla memoria di Raniero Panzieri, militante disinteressato, studioso di esemplare probità intellettuale» apposta al suo libro Il movimento operaio in una fase critica, pubblicato dalla Samonà e Savelli nel 1966.


Note [1] D. Montaldi, Esperienza operaia o spontaneità, «Ombre Rosse», n. 13, febbraio 1976, p. 21. [2] R. Panzieri, in L’alternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, a cura di Stefano Merli, Einaudi, Torino 1982, p. 179. [3] R. Solmi, Testimonianza, in Raniero Panzieri un uomo di frontiera, a cura di Paolo Ferrero, Edizioni Punto Rosso/Carta, Milano, 2005 pp. 230-31. [4] L. Maitan, La strada percorsa, Massari editore, Bolsena (VT) 2002, p. 289. [5] G. Mottura, Testimonianza, in Raniero Panzieri un uomo di frontiera, cit., p. 186. [6] L. Maitan, Occorre distinguere tra via ‘democratica’ e ‘via rivoluzionaria’, «Mondo Operaio», n. 6-7, giugno-luglio 1958, p. 32. [7] Ibidem. [8] Cfr., L. Maitan, La strada percorsa, cit., p. 289. «Qualche volta c’erano degli ospiti alle nostre riunioni: Livio Maitan, della IV Internazionale, a cui Panzieri aveva fatto curare la raccolta di scritti di Trotsky» (C. Pianciola, Testimonianza, in Raniero Panzieri un uomo di frontiera, cit., p. 203). [9] G. (Pina) Verdoja, Una trotskista nel dopoguerra, «Quaderni del Centro Studi Pietro Tresso», serie studi e ricerche, n. 24, settembre 1992, p. 25. [10] L. Baranelli, Un ricordo di Raniero, in Raniero Panzieri un uomo di frontiera, cit., p. 78. [11] Gcr, Bollettino Interno, n. 144, marzo 1962, carte dell’autore. Si rimanda anche all’articolo Dibattiti a Milano e Roma sull’ultimo libro di Trotsky, «Bandiera Rossa», n. 4, aprile 1962. Il volume fu recensito da Franco Antonicelli su «La stampa» del 7 aprile 1962 e da Raimondo Luraghi su la «Gazzetta del Popolo» del 3 marzo 1962, mentre «Paese Sera», il 1° aprile, pubblicava un resoconto della presentazione romana. [12] Velleità alternative, Milano 1994. [13] R. Panzieri, Lettere, Marsilio, Venezia 1987. [14] M. Conti (Piero Bolchini), «Quaderni rossi»: una ricerca da proseguire, «Bandiera Rossa», n. 1, gennaio 1962. [15] Cfr., L. Maitan, La strada percorsa, cit., p. 290, nota 51. [16] G. P. Samonà, La formazione politica di un intellettuale rivoluzionario, «Quaderni Pietro Tresso», n. 6. luglio 1997, p. 15. [17] Per queste testimonianze rimando al mio scritto, Quelli di Bandiera Rossa e Raniero Panzieri, «Bandiera Rossa», n. 51, marzo 1995. [18] V. Bernieri (Augusto Illuminati), Un foglio menscevico, «Bandiera Rossa», n. 2, febbraio 1964. Sulla stessa linea critica la recensione al libro di Mario Tronti, Operai e capitale (Einaudi, Torino 1966) di S. Guidi (M. Novella Pierini) dal titolo Misticismo teorico e pratica opportunista, «Bandiera Rossa», n. 12, dicembre 1966. [19] Relazione di Elisi (Giorgio Graziani) in Gcr, Bollettino Interno, n. 127, 2 gennaio 1964, carte dell’autore. [20] GCR, Bollettino Interno, n. 179, 27 gennaio 1964, carte dell’autore. [21] Tavola rotonda: Quaderni rossi-Bandiera Rossa, «Bandiera Rossa», n. 7 giugno 1964. In buona parte riprodotto anche nel libro di L. Maitan, La strada percorsa, cit., pp. 291-294. [22] M. Conti (Piero Bolchini), L’ultimo contributo di Raniero Panzieri, «Bandiera Rossa», n. 11, dicembre 1964. [23] Cfr. K. Marx, Frammento sulle macchine, a cura di Renato Solmi, «Quaderni rossi», n. 4, 1964, pp. 289-300. [24] Cfr., Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica nella classica e monolitica costruzione teorica del marxismo, «Il programma comunista», n. 19-20, 1957, poi ripreso in A. Bordiga, Economia marxista ed economia controrivoluzionaria, Iskra edizioni, Milano, 1976, pp. 189-208. [25] Cfr., L. Grilli, Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, La Pietra, Milano 1982, p. 253, nota a piè di pagina. L’autrice rimandava per l’analogia tematica tra Bordiga e Panzieri sul tema dei caratteri del comunismo a P. A. Rovatti, Il problema del comunismo in Panzieri, Aut-Aut, n. 149-150, 1975, pp. 75-101. [26] L. Grilli, cit., p. 132. [27] Raniero Panzieri, «Bandiera Rossa», n. 9, ottobre 1964.

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