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Nuova Resistenza



La nota che segue è tratta dal libro di Davide Serafino Gappisti. La rete clandestina di Giangiacomo Feltrinelli, recentemente pubblicato da DeriveApprodi.


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La rivista «Nuova Resistenza», che venne pubblicata in due numeri, nell’aprile e maggio 1971, rappresentò il frutto della collaborazione tra le Brigate rosse e i Gruppi di azione partigiana di Giangiacomo Feltrinelli.

Il foglio era esplicito sul tema della lotta armata e in un articolo sostenne da un lato non era «ancora il tempo del fucile de del mitra […] del Vietnam, del Medio-Oriente, dell’America Latina», ma dall’altro lato come fosse arrivato il momento di «organizzarci sulla linea di fuoco per radicare nelle lotte i contenuti della nuova pratica rivoluzionaria: la strategia della guerriglia di popolo», di «radicare nelle masse proletarie in lotta il principio “non si ha potere politico se non si ha potere militare”» e di «educare attraverso l’azione partigiana la sinistra proletaria e rivoluzionaria alla resistenza, alla lotta armata».

In questa fase i contatti tra i Gap e le Br erano già stati avviati da tempo e questo si rifletté non solamente nel nome della rivista, di ispirazione chiaramente feltrinelliana, «Nuova Resistenza. Giornale comunista della nuova resistenza», ma anche nella sua impostazione. Il primo numero uscì nell’aprile del 1971 e sotto il titolo era riprodotto, in piccolo, il simbolo di Sinistra proletaria, una falce, un martello e un fucile incrociati. «Nuova Resistenza», nonostante non si presentasse come una vera e propria piattaforma politica, ma come una raccolta di materiali, documenti e testimonianze delle organizzazioni rivoluzionarie in lotta, fu, a tutti gli effetti, una rivista di propaganda delle Brigate rosse e dei Gruppi di azione partigiana dove, non a caso, comparvero diversi documenti e comunicati di entrambi.

Il primo articolo della nuova rivista chiarì di aver assunto a testata della rivista la parola d’ordine «Nuova Resistenza» con lo spirito di «indicare nel contempo l’orizzonte nuovo che ci si apre dinnanzi e la continuità con tradizioni di lotta che seppur pervertite da una guida revisionista o borghese hanno coinvolto le migliori forze del nostro paese. “Nuova Resistenza” quindi non ha il sapore di una nostalgica e impolitica riproposta della viziosa tematica resistenziale e non assume da questa gli umori difensivi che alimentarono quella lotta contro gli aspetti aberranti della “democrazia” senza saper coinvolgere nella critica del movimento armato le strutture stesse, politiche e produttive, dello Stato capitalista. “Nuova Resistenza” ha invece per noi il senso tutto giovane e offensivo che questa parola d’ordine assume nel quadro della guerra mondiale imperialista che oppone al di là di ogni frontiera “nazionale” la controrivoluzione armata alla lotta rivoluzionaria dei proletari, dei popoli e delle nazioni oppresse. È la resistenza orientata dalla Cina rivoluzionaria del Presidente Mao. È la resistenza capeggiata dal Vietnam e dai popoli rivoluzionari dell’Indocina. È la resistenza dei popoli palestinesi e dell’America Latina. È la resistenza nelle metropoli imperialiste, nei ghetti neri e nelle città bianche. È questo slancio rivoluzionario, unitario e mondiale, perché compatta e mondiale è la repressione imperialista, ciò che noi intendiamo facendo nostra la parola d’ordine: “Nuova Resistenza”».

Secondo la rivista in quella fase di scontro stavano emergendo alcuni ostacoli teorici e pratici per il movimento rivoluzionario. Dal punto di vista teorico si rilevava «la scarsa elaborazione, riflesso di una scarsa “pratica” dei temi decisivi connessi alla questione dell'organizzazione della guerra di classe, al problema del passaggio dalle forme di violenza spontanea e di massa a forme organizzate di lotta partigiana e di guerriglia, al problema del Partito combattente!»; mentre dal punto di vista pratico si indicavano «le tendenze conservatrici e spesso non proletarie che prevalgono in molti gruppi i quali non riuscendo a prendere nelle loro mani i primi fenomeni di lotta partigiana, ricorrono agli “epiteti imparaticci” e liquidano la questione bollandoli di anarchismo, blanquismo, vecchio terrore, atti di singole persone staccate dalle masse, che demoralizzano gli operai, respingono da essi i larghi strati della popolazione, disorganizzano il movimento, nuocciono alla rivoluzione… e finalmente sono oggettive provocazioni!».

Di fronte a questi ostacoli uno degli obiettivi della rivista era quello di difendere, chiarire e tentare di far passare a livello di movimento le pratiche che avevano intrapreso gruppi come i Gap e le Br: «Tutto il lavoro del nostro giornale vuol essere un contributo a sciogliere questi ostacoli presentando la pratica, le tesi e le tendenze di quei movimenti di classe che hanno come base comune lo sviluppo della guerriglia di popolo quale forma di lotta dominante per la liberazione della classe operaia da ogni forma di sfruttamento».




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