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M. Per una spettralità del futuro



Spettri. Fino a qualche decennio fa la parola evocava castelli scozzesi diroccati, Amleto, scrittori di fine Ottocento che finiscono appoggiati sullo scaffale della letteratura fantastica, ma dopo l’irruzione di realtà smaterializzate ma non meno reali, gli spettri si sono evoluti intrecciando indissolubilmente il loro inquietante mondo a quello di noi animali che ancora abbiamo bisogno di carne per essere vivi.


Immagine: AGMENA, Inferiority, s.d.


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«MetaHumans created in MetaHuman Creator»: il nuovo motore grafico Unreal Engine 5 è finalmente in early access [1].


Altro inizio possibile: come la ricerca per un microsaggio sulla spettralità si trasforma in un studio archeologico sul fotoritocco digitale.


Scegliete voi l’inizio più cool.

Sempre più l’utilizzo di un foglio di carta, (digitale nel nostro caso) con le sue restrizioni, i suoi limiti, prima un carattere poi l’altro, una parola poi l’altra, prima un’idea, una pista, poi un’altra necessariamente dopo il punto, a capo, dopo un punto e virgola o un avverbio che inevitabilmente crea distanza, anche solo di uno spazio vuoto necessario, sempre più mi depista, non sempre soltanto quando vuole. Sarà che ho passato gli ultimi mesi o a insegnare italiano nelle scuole o davanti lo schermo del mio computer, oh mio desktop, mio sacro campo di lettere e sogni e trappole, tutto vicino, tutto lì, parallele, ricorsive, spazi dentro o accanto sotto o sopra altri spazi, dati e spazi e piccoli mondi senza separazioni, senza interruzioni né distanze, «l’annidarsi di cose entro cose e le sue variazioni» [2], cose che si vedono ma non ci sono se non lì e fuori forse in qualche traccia, i flussi informazionali di castellsiana memoria [3] sotto di noi e il cielo stellato sopra di noi, come diceva Farinelli la rete ha reintrodotto nel nostro mondo l’invisibile. [4]

La spettralità [5] quindi può essere davvero un paradigma per il nostro mondo antropocenico? Cosa c’entrano un recentissimo motore grafico e la politica/poetica del photoshop [6] con la spettralità? Il paradigma spettrale sta nelle immagini delle vie vuote delle città del mondo durante i vari lockdown? Dire di sì non sarebbe scorretto ma non ci aiuterebbe a sviluppare alcuna analisi che serva a inquadrare il più complesso funzionamento di un paradigma che altrimenti rimarrebbe un qualcosa che non va oltre il denotativo, ancora una volta, l’etichetta cool, che non aggiunge né sottrae né approfondisce né scardina. Una frase mi è rimasta impressa in questi quasi due anni pandemici, una di quelle frasi-concetto che riesce a essere allo stesso tempo summa, exemplum e immagine-chiave, un paesaggio concettuale che è insieme veduta e mindscape, che riesce cioè a rendere visualizzabile e visibile un pensiero complesso che si articola grazie alla sua eterogeneità microscopica e omogeneità macroscopica. [7] In Geografie del collasso, a proposito di Tenet, film di Nolan uscito nelle sale proprio nell’estate pandemica del 2020, Meschiari scrive:

«il presente non va visto come una conseguenza del passato ma come un attacco da parte del futuro». [8]

A mio avviso, questo condensato analitico-poetico ci apre una pista paradigmatica da percorrere senza paura. È chiaro infatti che non si tratta solo di fare buona o cattiva critica cinematografica, arguta o compilativa analisi narratologica, ma di riuscire a cogliere reti di significati e segnali dal mondo delle parole e delle cose, dei fenomeni e delle immagini, delle storie parlate e delle storie mute. Prendete il finale di La malinconia del mammut [9], prendete il Mondo sommerso di Ballard [10], il futuro «anteriore» di Goswami [11], prendete Tenet appunto e la serie di Dark Souls [12]. Per mesi ho insegnato la struttura-tipo di un testo narrativo, inizio, rottura dell’equilibrio iniziale, peripezie e avventure varie dei personaggi, ricostituzione dell’equilibrio, fine. È l’intreccio a fare il racconto, è ovvio. Ma qui è come se dovessimo fare un salto fuori dal racconto del nostro tempo, fuori dalla fenomenologia esistenzialista del fardello del passato, fuori dal testo fuori da noi, e andare a rintracciare rimandi e legami con altri testi (altre entità narrabili – leggi non-umani) che però ancora devono essere scritti. Immaginare quindi come il dopo ha effetto sull’adesso, come ciò che è «a venire» [13] plasma e condiziona ciò che è sta avvenendo e come e cosa si sta raccontando. Si tratta di un cambio radicale di prospettiva che necessita dell’immaginazione per colmare quei vuoti conoscitivi, geografici, narratologici ed epistemologici inevitabili. Cavalcare il bug per risolvere enigmi, abituarsi al glitch, e anzi sfruttarlo come le distorsioni proiettanti oltre lo spazio costruito nelle più tipiche delle speedrun. La collisione fra il futuro e il passato remoto è un dettame dell’immaginario antropocenico. [14] L’infiltrazione del futuro nelle trame e soprattutto nei vuoti di trama del presente è a mio parere una via percorribile per rintracciare nella spettralità un paradigma utile. Non solo città deserte, non solo le immagini virtuali che animano i cartelloni pubblicitari, ma a tutti gli effetti entità e segni-di-entità dell’altrove, del passato, dei non-umani ma soprattutto di ciò che arriverà dal futuro del mondo: nuovi deserti, nuove città con nuove immagini, altre entità(-oggetti) umane e non-umane che dal futuro antropocenico in cui si rimanifesteranno o esisteranno o potrebbero esistere ci chiedono già il conto oggi. Pandemie, emergenze, ecosistemi, geografie del futuro che abitano già il nostro qui, pericoli, rischi, collassi e disastri che essendo frutto dell’operato e dell’eredità antropocenica stanno covando ora la loro origine, stanno iniziando a tracciare ora il segno che imprimeranno domani. Gli spettri dei mutamenti futuri, che essi siano catastrofi o miracolosi salti tecnologici, vanno considerati già qui, nel loro potenziale e imprevedibile verificarsi. È questo a farmi pensare alla spettralità, questo aleggiare nel presente in una forma peculiare ma come translucida, a causa di ciò che dal passato ad adesso è stato fatto e ciò che nel futuro può accadere. Penso allora la spettralità come il segno caratterizzante dell’«impensato» antropocenico, del «estremamente imprevedibile» serie di scenari che possono verificarsi e del panorama folto di tutto ciò che pur potendo accadere non riusciamo a prevedere. Da qui, il ruolo dell’immaginazione e dell’immaginario diventa centrale [15] poiché unici strumenti e campi di osservazione in grado di poter provare a intercettare gli spettri antropocenici che giungono a noi dal futuro, crisi appunto, microcollassi, microestinzioni, così come macronarrazioni bio-etiche, sociali, razziste, reazionarie, ma anche di segno opposto sul piano politico, economico ecc. È chiaro, non si deve ignorare la spettralità del passato [16], ma iniziare a pensare alla spettralità in termini di futuro, ove il futuro è un iperoggetto mitico-esistenziale-biochimico multiforme e multicoscenziale [17] e, in particolare, ove il futuro può essere declinato in quanto questione di immaginario tecnologico, discusso in termini antropo-narratologici. Cosa c’entrano quindi Unreal Engine 5 e Photoshop con tutto questo?

@lilmiquela, account Instagram, circa tre milioni di follower e un migliaio di post. Scorrete le prime foto. Qualcosa potrà spingervi a chiedervi quanto abbia probabilmente esagerato con i filtri fotografici dell’app. Scrollate velocemente ancora. Potrebbe allora, a seconda del vostro occhio, venirvi qualche dubbio sulla effettiva «verità» (leggete «realtà») del suo viso, troppi filtri, trucco, effetti, forse molto Photoshop, forse chirurgia, eppure tutto il resto, di e in ogni foto è senza dubbio reale (vero), dal suo corpo al contesto intorno, i gesti, le posture, gli abiti, gli oggetti, altre persone. Caitlin Dewey parla di lei come un mistero, «Miquela regularly references physical places she claims to have partied at and shouts out labels of clothing she claims to have worn. She regularly posts pictures - even selfies - with models, artists and musicians. Miquela has Twitter, Facebook and Tumblr accounts; she has an email address, for goodness’ sake». [18] La giornalista ci racconta anche: «when I email it, I get an immediate, chirpy reply from someone who signs off “Miquela Sousa” and then a second, less chirpy reply from a major-label music publicist. “Truly appreciate you reaching out,” she writes - but Miquela is not available for interview requests». [19] Vive a LA, frequenta gallerie d’arte, pub, club, i suoi video su Youtube hanno milioni di visualizzazioni, posta foto con produttori musicali, cantanti, attrici. Continuando nel suo articolo, Dewey parla anche di Nicole Ruggiero, una digital artist che «had the bad luck of commenting first on one of Miquela’s early Instagrams […] But Ruggiero didn’t make Miquela, she insists, and she doesn’t know who did. “She seems very realistic, like she’s actually a social influencer,” Ruggiero said». [20] Piccolo salto ipertestuale nel passato dal futuro. Immaginatevelo. 1987 la prima foto di sempre a essere «photoshoppata». Si intitola Jennifer in paradise, John Knoll fotografa la sua compagna dell’epoca, Jennifer appunto, seduta di spalle, in topless su una spiaggia caraibica. Di lei, Gordon Comstock ha scritto: «l’ultima donna ad abitare un mondo dove la fotocamera non mente mai». [21] Balzo ipertestuale ancora, un altro. Ritorno. Di Miquela Sousa, Dewey scriveva: «she exists at this weird nexus of the actual and the ideal». [22] Un balzo ancora. Da qualche giorno Unreal Engine 5 è in early access. MetaHumans created in MetaHuman Creator, leggiamo sul sito. Basta farsi un brevissimo giro su Youtube per notare di cosa stiamo parlando e in cosa consiste questo early access. [23] Personaggi ma anche e soprattutto mondi fotorealistici modellabili, plasmabili, editabili, assemblabili a piacimento dalla qualità grafica che li rende a tratti indistinguibile dai mondi del vero/reale. Insomma, Unreal Engine 5 ci promette nell’immediato futuro videoludico infiniti mondi abitabili a piacimento, quanti e come li vogliamo. Essendo adesso appunto in early access, anch’io se volessi, con i modesti supporti che possiedo, potrei provare a creare il mio piccolo mondo. Sì perché il motore grafico ci dà tantissimi oggetti da porre e disporre (nella dimensione, direzione, angolazione) a piacimento, dalla roccia più piccola, al massiccio più grande… partirei forse dalla classica landa desertica all’interno del quale costruirei un’oasi lussureggiante e misteriosa che piano piano si allarga fino a conquistare l’intera mappa, avvolgendo poi il deserto stesso, un intrico di fogliame e giochi di luce riflessa fra le alte fronde. Quindi, prendo una mappa, la ingrandisco a sufficienza da aver a portata di occhio solo pochi chilometri, sulla finestra ecco i vari elementi da poter scegliere e collocare, sono così veri, sembrano così solidi, sono in tutto e per tutto repliche sempre nuove delle possibili forme, sostanze ed entità fisico-biologiche del mondo reale. A essere simulata non è solo una forma in particolare bensì la diversità e la riproduzione delle forme. Ciò aumenterà il grado immersività negli ambienti virtuali? In ogni caso potremmo già ora cercare di pre-vedere quanto e come gli ambienti «reali» risentiranno della loro controparte virtuale nel momento in cui ciò che è virtuale lo sembra sempre meno. Se siamo abituati a immaginare un confine fra reale e virtuale, adesso dobbiamo cominciare a pensare a una indicazione di frontiera che sempre più si rarefà. Non dobbiamo infatti pensare che tutto ciò che accade a schermo accada solo lì. [24] Non dobbiamo pensare che le cose che esperiamo nel cyberspazio rimangono solo lì. Perché? Capovolgiamo il punto di vista. Proviamo a vedere se il futuro, possibile, immaginabile e inimmaginabile, agisce nel qui e adesso. Se infatti gli oggetti-entità virtuali non possono (fino adesso) scavalcare lo schermo e venire a bussarci fisicamente alla porta, dobbiamo però sempre tenere a mente che questi oggetti-entità esistono anche in quanto esperienza per noi. Noi facciamo esperienza di oggetti-entità virtuali i quali sono comunque emulazioni di oggetti-entità reali. Tanto più un motore grafico, con l’aiuto dei feedback aptici dei controller, riesce a dar vita a una simulazione non solo visiva ma anche tattile e uditiva del vento fra le fronde, della luce del sole che si infrange sulle chiome degli alberi e si riflette sugli specchi d’acqua, lo scintillio delle rocce e la fisica della frantumazione o del rotolamento di sassi che precipitano da un dirupo [25], tanto più la fenomenologia della percezione di quei luoghi-oggetti-entità ne gioverà in termini di «fedeltà». La controparte di tutto ciò è in termini narratologici il geocyberspazio già ipotizzato da Bakis [26] come ecosistema a tutti gli effetti. Uno spazio in cui ciò che è agito, narrato e rappresentato a schermo rimane dentro di noi come esperienza spaziale, narrativa e sensoriale. Per questo da simulazioni a emanazioni il passo è breve. Ciò che si esperisce in quanto simulato continua ad abitarci in quanto emanazione, ciò che è agito in termini virtuali, cyberspaziali ed elettronici diventa parte di noi, delle nostre storie, esperienze e dei nostri sogni, proprio come nella fantasia i fantasmi continuano ad abitare il mondo dei vivi rinnovandone significati, racconti, vissuti. Più le nostre esperienze reali di spazi e luoghi e paesaggi saranno limitate – pensiamo al futuro immediato in cui certi luoghi del mondo non esisteranno più come li conosciamo, ghiacciai, deserti, foreste, non saranno più come li «ricordavamo», come li «immaginavamo» – più aumenteranno in quantità e qualità le esperienze in e di spazi virtuali e più allora il nostro corpus di esperienze spaziali sarà costituito in una buona parte da esperienze di luoghi virtuali che sembrano veri, sensazioni virtuali che ricordano sempre più fedelmente quelle vere e così via. E se ricordiamo quanto scrivere Berthoz a proposito di vicarianza ed eventuali «schemi interni» dei corpi e delle cose del mondo [27], allora la rievocazione del vero/reale in termini percettivi potrebbe portare più facilmente, in tali ambienti fotorealistici così poco «virtuali» e così tanto «reali», a una continua e più fluida ibridazione (fino a coinvolgere il complesso dell’intera cognizione tout court). Il fotorealismo in ambito videoludico potrebbe allora rappresentare la controparte spaziale di quanto riportato a proposito di Miquela, ossia esistere «at this weird nexus of the actual and the ideal». Non più «mondo virtuale vs mondo real» ma una nuova intersezione sempre più pregnante. Possiamo discutere su quanto l’avanzamento tecnologico in termini di computer grafica (CG) e simulazione di ambienti, entità, persone e intelligenze stia raggiungendo ormai i pressi dell’ uncanny valley, ma non ho mai personalmente letto o sentito di inquietudini destabilizzanti riguardo al rapporto con la simulazione/rievocazione di ambienti (cioè spazi, luoghi, paesaggi) – come se solo l’androide/cyborg perfettamente uguale a noi possa turbare l’ontologia di Homo Sapiens mentre se si tratta di luoghi, mondi, spazi e geografie allora è tutto okay, anzi, ben venga l’aderenza ai geospazi terrestri, ben vengano la ricerca e lo sviluppo tecnologico se lo si perpetra al fine di ricostruire mondi perfettamente identici, nelle parti, al nostro. A tal proposito infatti, c’è una differenza sostanziale: mentre siamo noi a scegliere quando e come abitare i mondi videoludici, Miquela ci abita senza chiederci il permesso. Se infatti i mondi ultra realistici di Unreal Engine 5 sono metahuman created for metahuman creator, Miquela e il suo vivere tra il mondo reale e il mondo virtuale, il suo passare in continuazione il bordo vaporoso tra il qui geofisico e il qui cyberspaziale, il suo confondersi e con-fondersi fra actual e ideal, la rende la paladina perfetta della spettralità. Miquela abita il nostro mondo liberamente, è una soggettività a tutti gli effetti. È una persona vera con un volto photoshoppato? È un’identità costruita ad arte utilizzando CG, alle volte interamente, altre volto solo per il volto, mentre a prestare il «corpo» è qualcuno di vero? È una persona reale che ha solo voglia di «giocare» con una certa estetica? Okay. Ciò che conta però è chiedersi come rapportarsi allora con Miquela se non come soggetto-oggetto spettrale? Non possiamo considerarla una entità puramente fictional né puramente reale, non trattarla né come content (contenuto) social metaumana né come la content creator metaumana dei «suoi» contenuti (content) social. Come già detto, le interazioni con il mondo geofisico sono numerosissime, persino il suo corpo (?) sembra proprio reale, lo si vede in alcuni videoclip. E se qualcuno/a può trovare disturbante vedere i suoi video o scorrere fra le sue foto, potrebbe forse non essere altro che l’effetto dell’uncanny valley – il quale però non ha vere ripercussioni negative per lei che, ironizzandoci infatti, sfruttando probabilmente in termini di immagine questa con-fusione, continua ad avere il suo successo, commerciale e relazionale, come i suoi profili social (di)mostrano, e la sua vita.


È finta, è in CG! È una trovata di marketing! Ho letto altri articoli e dichiarazioni dei suoi creatori! D’accordo sì, forse. Cambia qualcosa nel mondo in cui l’entità Miquela abita il nostro mondo? Una volta scoperta la sua «identità», cosa cambia nel mondo in cui lei abita i nostri cyberluoghi, lo schermo dei nostri cellulari, i nostri pensieri, anche se non più a lungo della lettura di questo pezzo? Miquela Sousa è ormai entrata nel nostro immaginario, anche se per due minuti, ci ha attraversato come uno spettro lasciandoci forse un po’ di inquietudine, del fastidio o della curiosità, non so. Miquela abita il nostro mondo da qualche anno, guadagna (o fa guadagnare) tanti soldi e ci sono persone «reali» che si venderebbero qualsiasi cosa per avere i suoi numeri social, le sue collaborazioni, la sua visibilità, le sue sponsorizzazioni e, sì, le sue amicizie, per frequentare i luoghi che frequenta, per fare la vita che lei fa. Miquela ci abita, entità come lei abitano il nostro mondo, magari in maniera meno manifesta, già da anni. Forse Miquela porta con sé tutto un sistema di attese, angosce, sogni e idealità da un futuro in cui il confine reale-virtuale non sarà più tanto rilevante? Per me invece con Miquela è un altro lo spettro che si è inoltrato sempre più carnalmente nel geocyberspazio. Unreal Engine 5, uncanny valley, Miquela mi dicono una cosa, una cosa che avevo già letto in Tina, Storie della grande Estinzione [28] e cioè: fiction is action. Nel nostro mondo a venire antropocenico, le narrazioni sono spettrali nel senso in cui agiscono nel modo e nella sostanza in cui pensiamo il mondo, le cose e le persone. La tecnologia come frontiera del possibile, nella fattispecie la computer grafica, ha la possibilità di dare forme concrete alle narrazioni, alle storie e personaggi immaginati, creati, costruititi. Entità e mondi metaumani appunto che ci attraversano a ci abitano come spettri, sono qui, interagiamo con loro ma non li possiamo toccare, li vediamo, li ascoltiamo, ci parlano, entrano in relazione diretta con noi e con il mondo. Ecco perché l’immaginazione è la chiave per pensare il collasso e l’antropocene, per imparare a vedere prima il mondo a venire. Ecco perché servono le storie giuste.


Note [1] https://www.unrealengine.com/en-US/unreal-engine-5 [2] Hofstadter D. R. 1984, Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, Milano, Adelphi, p. 137. [3] Castells M. 2010, The Information Age. Economy, Society, and Culture, Volume I, The Rise of the Network Society, Blackwell. [4] Farinelli F. 2003, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Torino, Einaudi, p. 197. [5] Già iper raccontata, iper argomentata, ma quasi sempre tenuta cautamente lì, nel remoto (e talvolta ahinoi poco interessante) ambito di un certo modo di fare accademia. Tutto può essere spettrale se adeguatamente raccontato o analizzato tale, le immagini, i nuovi media, la letteratura ecc. Armandosi allora di buona volontà e tanto tempo e pazienza, fortunatamente si trovano volumi in cui possiamo trovare poche riflessioni sulla spettralità-paradigma, altri in cui ne troviamo tante ma, in ogni caso, l’antropologia, se adeguatamente utilizzata, ci può restituire l’ordine effettivo delle cose e delle parole. Spogliamo quindi i numerosissimi casi di paper-to-go e andiamo a scavare fra le intuizioni degne di nota come per esempio gli interventi raccolti nel volume del 2013 edito da María del Pilar Blanco and Esther Peeren The Spectralities Reader, Ghosts and Haunting in Contemporary Cultural Theory, Bloomsbury Publishing Plc. L’antropologia non è solo ambito di interesse, come dicevo, che più si addice al rispetto del contesto dei fenomeni e le loro possibili interpretazioni, ma funziona anche come orientamento epistemologico. [6] Nel caso di Photoshop, il nome del software è divenuto sinonimo del processo del fotoediting digitale. [7] Un’immagine quindi, per dirla alla Bachelard (cfr. Bachelard G. 2006, La poetica dello spazio, Bari, Dedalo; Meschiari M. 2018, Nelle terre esterne. Geografie, Paesaggi, Scritture, Modena, Mucchi), “spazializzazione di un’idea”, che si tiene stretta il ricco e plastico significato del latino imago, imaginis il quale, ricordiamo, è anche fantasma, spettro, ombra, qualcosa che abitiamo e che ci abita nell’inafferrabile dualità presenza-assenza tipica della natura dell’immagine. Non è un caso infatti che, in una ipotetica storia delle immagini, qualora sia essa un’operazione totalmente assennata, il legame fra morte, assenza, compresenza e surrealtà dell’immaginazione-finzione (fiction appunto) sono elementi centrali così come evidenziato da Debray (cfr. Debray R. 1998, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Milano, Il Castoro) fino a Wunenburger (Wunenburger J.-J. 1999, Filosofia delle immagini, Torino, Einaudi), il quale si spinge proprio a parlare apertamente di spettralità in termini paradigmatici appunto in Paradossi dell’ontologia spettrale: deficienza o leggerezza dell’essere?, in Puglia E., Fusillo M., Lazzarin S., Mangini A. M. (a cura di) 2018, Ritorni spettrali. Storie e teorie della spettralità senza fantasmi, Bologna, Il Mulino, pp. 43- 58. [8] Meschiari M. 2021, Geografie del collasso. L’Antropocene in nove parole chiave, Piano B edizioni, in stampa, p. 79 (corsivo dell’autore). [9] Sandal M. 2019, La malinconia del mammut. Specie estinte e come riportarle in vita, Milano, Il Saggiatore. [10] Ballard J. G. 2015, Il mondo sommerso, Milano, Feltrinelli. [11] Goswami N. 2013, The (M)other of All Posts: Postcolonial Melancholia in the Age of Global Warming, in «Critical Philosophy of Race», vol. 1, n. 1, Penn State University Press, pp. 104-120. [12] https://www.machina-deriveapprodi.com/post/il-mondo-le-mappe-e-noi [13] Danowski D., Viveros de Castro E. 2019, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, Nottetempo, Milano; Augè M. 1997, La guerra dei sogni, Esercizi di etno-fiction, Milano, Elèuthera; Kant I. 2006, La fine di tutte le cose, Torino, Bollati Boringhieri. [14] Cfr. per esempio, Meschiari M. 2019, La grande estinzione. Immaginare ai tempi del collasso, Armillaria; Haraway D. J. 2019, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero, Roma; Danowski D., Viveros de Castro E. 2019, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, Nottetempo, Milano. [15] C’è una soglia oltre il quale neanche la scienza attuale è in grado di prevedere le conseguenze del cambiamento climatico, in particolare si veda Bonneuil C., Fressoz J.B. 2019, La terra, la storia e noi. L'evento antropocene, Treccani; Morton O. 2017, Il pianeta nuovo. Come la tecnologia trasformerà il mondo, Milano, Il Saggiatore; Morton T. 2018, Iperoggetti, Roma, Nero; Ghosh A. 2017, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Vicenza, Neri Pozza; cfr. anche quanto indicato nella nota precedente. [16] http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/cosa-e-un-luogo/. [17] Cfr. Haraway D. J. 2019, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero, Roma; Morton T. 2018, Iperoggetti, Roma, Nero. [18] https://www.washingtonpost.com/news/the-intersect/wp/2016/09/22/i-think-i-solved-instagrams-biggest-mystery-but-youll-have-to-figure-it-out-for-yourself/. [19] Vedi nota precedente. [20] Vedi nota XVIII. [21] https://www.theguardian.com/artanddesign/photography-blog/2014/jun/13/photoshop-first-image-jennifer-in-paradise-photography-artefact-knoll-dullaart. [22] Vedi nota XVIII. [23] https://www.youtube.com/watch?v=pmn1NshO-Gc; https://www.youtube.com/watch?v=JbUGNDd5p0Q; https://www.youtube.com/watch?v=gQmiqmxJMtA. [24] «Alla domanda: “le realtà virtuali sono esperienze?”, io non esiterei a rispondere affermativamente» (Maldonado T. 2007, Reale e virtuale, Milano, Feltrinelli, p. 58). [25] https://www.youtube.com/watch?v=ooT-kb12s18&t=18s. [26] Il cyberspazio si costituisce spazio-altro che concorre insieme allo spazio fisico-materiale, questo è il dato ormai certo, ed è a partire da questa valutazione che Bakis afferma che «the science of geography is far from exhausted and is not concerned only with physical phenomena: it has begun to explore the geographical space of the XXIst Century: i.e. the “geocyberspace”. […] Between what is called ‘geospace’ (i.e. contiguous territories) and “cyberspace” new relations are appearing. Geospace and cyberspace seem to be involved in an emerging process of fusion, a growing combination of both. This new geographic reality can be called “geocyberspace”: this term stresses the new consequences for geographical space of the new services permitted on global networks and infrastructure» (Bakis H. 2001, Understanding the geocyberspace: a major task for geographers and planners in the next decade, in «NETCOM/Networks and Communication Studies», vol. 15, n. 12, pp. 9-16; Bakis H. 2007, Le «géocyberspace» revisité. Usages et perspectives, in «Netcom, Réseaux, communication et territoires», vol. 21, n. 3-4, pp. 285-296) [27] Berthoz A. 2015, La vicarianza. Il nostro cervello creatore di mondi, Torino, Codice edizioni, pp. 26-29. [28] Tina. Storie della grande estinzione, 2020, Aguaplano.

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