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Lupus est homo homini

Note sull’alleanza tra estraneità e amicizia


1. Lupi et homines

La tesi che intendiamo sostenere è la seguente: lo straniero diventa amico se il lupo si fa uomo. La giustificazione antropologica è contenuta nel verso di Plauto lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit (Asinaria, 495)[1], ripreso dal detto hobbesiano homo homini lupus (Hobbes, 1642-1646, p. 64). La nostra idea è che il latino sia ambivalente. Lo si può leggere in un doppio senso tale per cui uomo e lupo si scambiano i ruoli di soggetto e predicato. Da un lato, l’umano si fa lupo e occorre la violenza legalizzata del Leviatano per tenerlo a bada (Dal Lago, 1999). Dall’altro, il lupo si fa uomo mediante un processo di domesticazione che fa del canis lupus un prodotto umano e, perciò, linguistico, sebbene Fido non parli (Mazzeo, 2019). Nel primo caso, il gruppetto dei soliti noti, cioè stranieri, donne, bambini e matti, è escluso dagli affari umani perché sono loro i lupi cattivi, i nemici. Nel secondo caso, i lupi oltre al pelo perdono anche il vizio per diventare sempre più simili agli esseri umani, acquisendo la possibilità di entrare nei loro affari come amici. In entrambi i casi, non è affatto addolcita la pericolosità dell’animale umano, capace tanto di sbranare quanto di essere sbranato. Anzi, nell’ambivalenza del lupus est homo la mescolanza uomo-lupo emerge come un tratto antropologico di fondo che fa dei sapiens delle belve.

Riteniamo che questa tesi possa dialogare con alcune recenti osservazioni e studi di stampo materialista sull’amicizia e sul nesso amicizia-estraneità (Virno, 2020; Bertollini, in stampa). Al contrario, non si tratta di elaborare una neo filosofia dell’animalità o di difendere una concezione edenica della philia in base a cui la natura umana e la natura non umana siano originariamente collegate da un sentire comune e muto (Agamben, 2007; Cimatti, 2013).

In positivo, affermiamo che lo straniero e solo lo straniero diventi amico, a patto che il lupo si faccia uomo. Se il lupo si fa uomo, allora lo straniero rompe il legame con l’alterità radicale che lo esclude dall’umanità e veste i panni non solo dell’estraneo ma anche del familiare.

Nel caso di Riace, che prendiamo a esempio in queste note, gli stranieri diventano amici perché sono come i lupi che si fanno umani. Nel paese dell’accoglienza l’alleanza tra estraneità e amicizia ha sospeso alcune norme del diritto e dell’economia: l’opposizione amico-nemico, la priorità del consumo sulle pratiche d’uso, il nesso vita-lavoro e quello proprietà-profitto[2].


2. Sull’Asinaria di Plauto

«Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit», «Per l’uomo, chi non si conosce è lupo, non uomo» (Plauto, Asinaria, 495)[3].

Questa frase fa la sua prima comparsa nella letteratura occidentale nell’Asinaria di Plauto, opera teatrale conosciuta anche col titolo La commedia degli asini. A pronunciarla è un personaggio anonimo che veste i panni di un mercator il quale, dalla città di Pella, giunge ad Atene, luogo in cui è ambientata la commedia.

Ripercorrendo brevemente il contesto della frase e, dunque, la relativa parte di trama che ci interessa, si evince che Demeneto, un signore ateniese, intrattiene un commercio di asini a Pella, dal quale non ha ancora ricavato alcun profitto. Un mercator si reca allora ad Atene per consegnargli la somma di denaro pattuita, quando incontra i due schiavi di Demeneto. Essi, complici del padrone, che vuole tenere per sé il ricavato della compravendita senza condividerlo con la moglie, tentano di convincere il mercator ad affidare loro i soldi ma lui si rifiuta.

In questo contesto il mercante ricorre al detto che stiamo analizzando per sintetizzare il motivo del suo rifiuto a operare una transazione di denaro tramite due sconosciuti. L’uomo, dice il mercante, è analogo a un lupo, non a un uomo, per l’altro uomo, quando non si sa chi sia.

I piani della frase sono due: un primo livello è quello che parte dall’analogia inter-specifica lupo = uomo; il secondo livello si fonda sulla questione dell’uomo estraneo all’altro uomo ed è la condizione d’esistenza per la validità della prima affermazione. Una maniera ordinata, funzionale all’analisi, di leggere il discorso sarebbe appunto questa: l’uomo che non si sa chi sia è un lupo, non un uomo, per l’altro uomo.

Si noti che una simile premessa va tenuta largamente in conto e non sottovalutata, sia da un punto di vista logico e teorico, che riguarda il contenuto del messaggio, sia da un’ottica letteraria, visto che si tratta di un elemento costante, che percorre parte della commedia.

Uno dei temi utili alla definizione di questa premessa è, appunto, ciò che noi tradurremmo concettualmente come familiarità legata ai rapporti fra persone, tema che il testo latino esprime con il verbo nosco. Un volto familiare, che conosciamo, dunque noto (notus), è sostanzialmente l’opposto di un volto sconosciuto, che non ci è familiare e che è, dunque, ignoto (ignotus)[4]; il primo è qualcuno su cui fare affidamento, il secondo è qualcuno da cui guardarsi. È il senso del verso di Plauto, espresso sullo sfondo di uno scambio economico: il mercante renderà i soldi della vendita soltanto in presenza del viso che gli è noto, quello del padrone degli asini. Come accennato, il tema dell’estraneità percorre costantemente questa parte della commedia, tanto che il testo vi insiste quattro volte. Per tre volte, infatti, ci si riferisce al mercante con il termine hospes, straniero/ospite (ivi, 361; 416; 431), a causa del fatto che egli non è ateniese ma proviene da Pella. Una quarta volta lo stesso mercante ribadisce di essere straniero, peregrinus ego sum (ivi, 464)[5], proprio per giustificare la sua diffidenza nel consegnare la somma di denaro a degli sconosciuti.

A questo punto ci si potrebbe chiedere come si passa dal tema dell’estraneità fra umani al rapporto inter-specifico, dunque all’analogia con il lupo, espressa pochi versi più avanti. In altre parole: qual è, dal punto di vista linguistico, l’anello di congiunzione tra lo straniero e il lupo?

La risposta che ci offre il testo di Plauto si trova al verso 490, esattamente a cinque versi di distanza dalla massima lupus est homo homini. Qui Leonida, uno dei due servi, discutendo con il mercator dichiara di essere un uomo tanto quanto lui: tam ego homo sum quam tu. Si tratta di una frase a effetto, soprattutto dal momento che viene ripresa cinque versi più tardi per essere ribaltata. Arrivati a questo punto, Plauto mette davanti allo spettatore due posizioni: una è l’analogia tra i due sconosciuti, sintetizzata dalla frase «io sono un uomo quanto te», funzionale alla logica del servo che vuole il denaro, l’altra è la non-analogia tra i due sconosciuti, che risiede nell’idea «chi non si conosce è un non-uomo per l’uomo», avanzata dal mercator.

Il mercante sostiene che lo straniero, in altre parole, cioè colui che non ha un volto noto (non notus), è, per l’uomo, un non-uomo, al contrario di quanto cerca di sostenere il servo. Durante lo scontro dialogico tra il servo e il mercante interviene, quindi, lo sconfinamento nella metafora animale: non ci si limita a indicare ciò che lo straniero non è, cioè un uomo, ma si afferma ciò che egli è, cioè un lupo.

La frase che ci interessa può essere analizzata di conseguenza, contemplando, per altro, due soluzioni. La prima afferma: «per l’uomo, l’uomo che non si sa chi sia è un lupo», la seconda invece: «il lupo è, per l’uomo, l’uomo che non si sa chi sia». Entrambe le soluzioni sembrano condividere, comunque, un’ambiguità di fondo: primo fra tutti, il problema che sia l’uomo che il lupo si definiscono metaforicamente l’uno dall’altro. Così come l’uomo è anche un non-uomo, qualora non si conosca, il lupo è, dal canto suo, una belva che è anche una non-belva, qualora la si addomestichi[6].

Una conclusione provvisoria porta a evidenziare che, stando a quanto mette in luce il mercator dell’Asinaria, un volto non noto si traduce in un sentimento di diffidenza, sospetto, rischio di essere sopraffatti. Una soluzione sarebbe quella di seguire l’idea di Leonida, il servo, quando dice di essere un uomo tanto quanto il mercator.

Nel testo di Plauto, tuttavia, questo problema non viene affrontato; riguardo alla trama della commedia, ci si accontenti di sapere che il mercator cederà i soldi ai due servi e che, quindi, il signore ateniese riuscirà a portare a termine la truffa nei confronti di sua moglie.


3. Xenia

Il 6 ottobre 2018 ci ritroviamo in cinquemila sotto la casa di Mimmo Lucano a Riace. Pochi giorni prima, il 2 ottobre, il sindaco viene arrestato e sottoposto ai domiciliari. La Procura della repubblica di Locri lo accusa di abuso d’ufficio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina[7]. L’indagine ha un nome dal sapore arcaico[8], si chiama Xenia. Ecco come Lucano «il fuorilegge» descrive i momenti salienti della manifestazione:


«quel corteo che si estendeva lungo tutto il panorama dalla mia finestra è un’immagine che porterò nel cuore per tutta la vita. Le bandiere rosse che s’agitavano sotto il cielo grigio di quel pomeriggio piovoso furono una luce straordinaria di forza e di lotta, che continuava, per le stradine che avevo percorso ogni giorno, con i compagni che non mi avevano mai lasciato e che adesso erano in numero straordinario. Lo ricorderemo per sempre. Nella piazza stracolma la gente prendeva la parola, altre persone che non avevo mai conosciuto, ma che erano con me, facevano sentire la loro voce, e potevo percepirle, pure da lontano: quelle parole assottigliavano il muro che mi teneva separato. Un boato per tutto il giorno percorse l’aria: “Libertà”» (Lucano, 2020, p. 78).


La vicenda giudiziaria, che ha demolito il progetto di accoglienza e ospitalità dei nuovi meteci nelle case, nelle botteghe, nelle scuole, negli orti e nelle fattorie del borgo semidisabitato, racconta un pezzo significativo della storia naturale dello straniero. Ne è «sintomo» (Mazzeo, 2019) proprio la parola greca xenia. Il termine è inquietante perché sfoggia una doppia veste: oltre a essere il nome scelto dagli inquirenti per incriminare il modello Riace, è anche il vocabolo più adeguato per difenderlo. Riace è un fenomeno empirico in cui si annidano due antropologie alternative: lo straniero come nemico oppure lo straniero come amico.

Nel primo caso, vale l’equazione straniero = altro, dunque straniero = nemico. È facile ricavare questa equivalenza, ripresa a piene mani da Carl Schmitt (1932) per giustificare l’opposizione amico/nemico posta a fondamento del concetto di politico, dall’antico lupus est homo (uomo = soggetto; lupo = predicato). L’umanità si distingue in lupi e homines, noi e gli altri, familiari ed estranei[9]. Gli amici stanno dalla parte degli homines, offrono rifugio e riparo e collaborano nei processi di autoriproduzione della vita; i nemici, invece, stanno dal lato dei lupi, rappresentano una minaccia per l’ordine familiare-amicale e ispirano sentimenti di odio, di distruzione e di morte.

Nel secondo caso, cade la linea di separazione che oppone familiarità ed estraneità: tra noi e gli altri, tra lupi e homines esistono infiltrazioni e teste di ponte capaci di liberare lo straniero dall’involucro dell’estraneità radicale e di convertirlo in amico. Lupus est homo, ma stavolta i due sostantivi si scambiano il posto: lupo = soggetto; uomo = predicato.

Seguendo la seconda pista, può essere utile il concetto di perturbante di Freud (1919). Esso consente di ottenere una nozione di straniero, da un lato, meno misera e ingenua perché non riducibile esclusivamente all’estraneità; dall’altro, più ricca e articolata, dunque, niente affatto pacifica ma semmai ancor più contraddittoria e problematica, perché descrivibile in termini di oscillazione tra familiarità ed estraneità. La conseguenza è che viene finalmente sgombrato il campo dall’asfissiante coppia amico/nemico, creando così lo spazio per fissare una nuova alleanza tra estraneità e amicizia.


4. Sintomi e presagi

Dal confronto tra i due casi emerge che la parola xenia subisce una trasformazione decisiva, da sintomo diventa presagio. In generale, il termine funziona come un indice, cioè come un segno collegato al suo oggetto mediante una relazione di causa-effetto: il segno è «realmente determinato» (Peirce, 1931-1935, p. 140 [2.248]) dall’oggetto, per esempio l’impronta sulla sabbia è causata dalla zampa del mio cane. Nel caso in cui xenia enuncia il comportamento criminale di chi ospita gli stranieri, contravvenendo alla norma del lupus est homo (uomo = soggetto; lupo = predicato), allora siamo in presenza di un indice che la semiotica definisce «genuino» (ivi, p. 160 [2.283]). Tra segno e oggetto vige una «relazione esistenziale» (ibidem), che pre-esiste al lavoro interpretativo. Alla parola xenia corrisponde una antropologia nemica dei lupi-xenoi, che ha in odio chiunque si prenda cura di loro. In questo senso, xenia è il sintomo di una concezione xenofoba della natura umana, che il tempo presente assorbe in sé con l’obiettivo di costruire un mondo fuori dalla storia. La divisione internazionale del lavoro e il connubio tra capitalismo e nuovi fascismi ambiscono a spacciare per eterno un dato che, invece, è storicamente determinato e che costituisce l’immagine della natura umana più adeguata al controllo poliziesco delle frontiere e del movimento delle persone e all’impiego coatto di forza-lavoro migrante (Mezzadra, Neilson 2014; Mezzadra, 2020).

Nel caso in cui, invece, xenia sta per il «comportamento obbligatorio di un membro della comunità nei confronti dello xenos […] dell’ospite in visita in un paese in cui, in quanto straniero, è privo di ogni diritto, di ogni protezione, di ogni mezzo di sussistenza» (Benveniste, 1969, p. 262), allora da sintomo si trasforma in presagio. La parola non è più l’indice genuino della xenofobia incastrata nel presente fattosi eterno. Non è più il segno della prassi divenuta natura la cui norma suona pressappoco così: «lo straniero è un lupo, se lo ospiti ti punisco». Il termine xenia diventa un indice «degenerato» (Peirce, p. 160 [2.283]), è l’effetto di una causa ancora ignota, il suo oggetto va inventato. Perciò la parola diviene un presagio. Sento un colpo alla porta, chiedo: «chi è?», e comincio a formulare una serie di ipotesi: «è Alessandra», «è il mio vicino rompiscatole», «è lo studente a cui ho messo un due e che ha deciso di venire a trovarmi per vendicarsi». A differenza del sintomo, il presagio è un indice che necessita di un surplus di lavoro interpretativo per essere collegato all’oggetto che lo determina. L’indice-sintomo funziona sulla base della logica induttivo-deduttiva, l’indice-presagio abbisogna di uno sforzo abduttivo, cioè di un


«metodo per formulare una predizione generale senza alcuna assicurazione positiva che essa risulterà valida né in un determinato caso né solitamente. La giustificazione è che essa è l’unica possibile speranza di regolare razionalmente la nostra condotta futura, che l’induzione tratta dall’esperienza passata ci incoraggia fortemente a sperare che essa avrà successo nel futuro» (ivi, p. 152 [2.270]).


Xenia è il presagio di un’umanità composta da philoxenoi (Benveniste, 1969, p. 262), da coloro per i quali lo xenos è un philos (lupus est homo, lupo = soggetto; uomo = predicato). Si tratta di una umanità che non è già data, è tutta da costruire e Riace aveva cominciato a produrla. La Riace dei philoxenoi fa parte del futuro che abbiamo alle spalle.



Bibliografia

Agamben, G. (2007), L’amico, Nottetempo, Roma.

Benveniste, E. (1969), Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, trad. it. di M. Liborio, Einaudi, Torino 1976-2001, Volume primo.

Bertollini, A. (in stampa), Filosofia dell’amicizia. Linguaggio, individuazione, piacere, DeriveApprodi, Roma, 2021.

Camerotto, A., Pontani, F. (2018, a cura di), Xenia. Migranti, stranieri, cittadini tra i classici e il presente, Mimesis, Milano-Udine.

Cimatti, F. (2013), Filosofia dell’animalità, Laterza, Roma-Bari.

Dal Lago, A. (1999), Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano (nuova edizione 2004).

Hobbes, T. (1642-1646), De cive. Elementi filosofici sul cittadino, trad. it. di T. Magri, Editori Riuniti, Roma.

Lucano, D. (2020), Il fuorilegge. La lunga battaglia di un uomo solo, Feltrinelli, Milano.

Mazzeo, M. (2019), Capitalismo linguistico e natura umana. Per una storia naturale, DeriveApprodi, Roma.

Mezzadra, S. (2020), Un mondo da guadagnare. Per una teoria politica del presente, Meltemi, Milano.

Mezzadra, S., Neilson, B. (2014), Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Il Mulino, Bologna;

Peirce, C. S. (1931-1935), Collected Papers, trad. it. di M. A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, Einaudi, Torino 1980.

Platone, Menesseno, trad. it. di F. M. Petrucci, Einaudi, Torino 2012.

Plauto, Asinaria, a cura di C. Elisei, Mondadori, Milano, 2012.

Schmitt, C. (1932), Il concetto di politico, in Schmitt, C. Le categorie del politico, trad. it. di P. Schiera, il Mulino, Bologna 1972-2015, pp. 101-165.

TLL = Thesaurus Linguae Latinae.

Virno, P. (2020), Avere. Sulla natura dell’animale loquace, Bollati Boringhieri, Torino.

Zavaglia, P. D. (2018), Bronzi, santi e rifugiati. Il caso di Riace, Castelvecchi, Roma.


Note [1] «L’uomo è un lupo per l’uomo, non un uomo, quando non sai chi sia». [2] Cfr. Zavaglia (2018) che descrive il progetto Riace sottolineando i tratti antifascisti e anti-capitalistici che lo caratterizzano. [3] La traduzione è di Alessandra Scali. [4] Il verbo nosco conta molteplici composti, tra cui gnosco, adnosco / agnosco, cognosco, pernosco etc. Cfr. in generale TLL; per i lemmi citati: TLL 6. 2. 6125; 1. 1354; 3. 1501; 10. 1. 1598. [5] Per altro, all’interno di uno scambio di battute in cui i personaggi giocano con i verbi nosco, scio, non nosco. [6] A questo proposito si noti il fatto, ovvio ma non banale, che il lessico che riflette il rapporto con gli animali riguarda il campo semantico della domus e, quindi, l’idea di portarli nella casa, di renderli familiari. [7] Giovedì 30 settembre 2021 è prevista la sentenza di primo grado presso il tribunale di Locri. Dopo qualche giorno, il 3 e 4 ottobre Lucano è candidato consigliere nelle elezioni regionali calabresi in una lista civica Un’altra Calabria è possibile a sostegno di Luigi De Magistris. [8] Per una panoramica sul concetto di xenia tra i classici e il presente cfr. Camerotto, Pontani (2018). [9] Cfr. anche Platone, Menesseno, 237c (oikeiois topois «luoghi familiari»); 245d (ti allotrias physeos «ciò che è di natura estranea»).


Immagine: Jean-Loup Charmet, Parigi

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