Note sulla teologia politica a partire dal pensiero di Thomas Müntzer
Thomas Müntzer è una figura straordinariamente affascinante ed evocativa, spesso condensata in quell’affermazione «omnia sunt communia» che è stata importante nell’immaginario dei movimenti contemporanei. In questo articolo Gabriele Fadini propone l’ipotesi che l’attualità del pensiero e della vicenda di Müntzer consista nel contributo che tale pensiero può portare alla questione della teologia politica. È una «trascendenza senza trascendenza», che per Müntzer non ha come modello né il pensiero immanente che in essa vedrebbe Engels né una semplice filosofia della storia, ma a tutti gli effetti una «teologia della rivoluzione». Attraverso questo percorso di lettura, l’autore sostiene che la teologia politica, per come si sviluppa nel pensiero di Müntzer, non è solo una branca della teologia ma il riflesso di ogni evento storico poiché in grado di coglierne il dato universale e quello particolare, il singolo e il molteplice, l’eternità e la temporalità.
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Ogni qual volta ci si occupa di autori o correnti di pensiero molto indietro nel tempo è quasi un dovere porsi la domanda se ciò che si sta studiando possa essere considerato ancora attuale e, se sì, di che tipo di attualità si tratti.
In La politica al tramonto, Mario Tronti inscrive Thomas Müntzer nella faccia nascosta, minoritaria, marginale ed eretica della politica moderna e in quella tradizione che legge il messianismo non in termini extramondani, ma in termini politici aventi un rapporto diretto con l’esegesi rivoluzionaria, con l’escatologia terrena di un al di là mondano. Un messianismo politico, dunque, che è racconto non della fine del mondo ma della mano sovversiva di Dio sulla e nella storia per ribaltarne il corso e in cui finalmente il braccio potente del Magnificat veramente innalza gli umili e abbassa i potenti [1]. Sebbene, fondamentalmente, concordiamo con questa interpretazione trontiana, il percorso che proponiamo ivi è di segno diverso. Riteniamo, infatti, che l’attualità del pensiero e della vicenda di Thomas Müntzer consista nel contributo che tale pensiero può portare alla questione della teologia politica. Un contributo che ha la sua scaturigine nel percorso müntzeriano ma che si sviluppa anche «prolungando» questo percorso. Fedeli al riformatore tedesco eppure volti a svilupparne alcune tematiche presenti solo in nuce nella sua riflessione. E d’altra parte non potrebbe essere che così per un autore che ha sempre pensato la stessa rivelazione di Dio come un evento che continua nel tempo, che non è mai definitivamente scritta una volta per tutte sui rotoli di papiri e pergamene ma sui cuori di carne vivente [2]. Secolarizzando questo concetto di rivelazione che si dà e si ricrea sempre nuovamente nei cuori degli uomini, ci sentiamo del tutto legittimati ad assumere con rigore il pensiero di Müntzer e svilupparne ciò che al suo interno esiste solo in termini potenziali e non ancora pienamente portati all’atto.
Ma entriamo in medias res.
Rivoluzione e Dio
Abbiamo scelto come titolo paradossale di questo nostro contributo l’eritis sicut Deus («sarete come Dio») di Genesi 3,5 non però nell’esplicazione che ne dà il procedere del versetto, ovvero scientes bonum et malum («conoscendo il bene e il male»), ma in un senso completamente diverso. «Sarete come Dio» nella lotta per l’instaurazione del Regno di Dio:
[…] nell’avvento della fede […] noi uomini carnali e terreni dobbiamo diventare dei, mediante l’incarnazione di Cristo, cioè essere con lui discepoli di Dio, ammaestrati da lui stesso e divinizzati; anzi ancor di più essere completamente trasformati, acciocché la nostra vita terrena si svolga nel cielo (Filippesi 3,20-21) [3].
Questo passo ci mostra come Müntzer maneggiasse con grande abilità il tema appartenente tipicamente alla teologia patristica del divinum commercium secondo cui Dio diviene uomo affinché l’uomo potesse divenire Dio. E lo maneggia talmente bene da conferirne una lieve modifica: se, infatti, il divenire Dio avviene nella lotta rivoluzionaria la «molteplicità» rientra in un Dio, un Deus, al cui interno abita una pluralità che potremmo chiamare di «dei» con la «d» minuscola. Questo inserimento della molteplicità nell’unità è senza dubbio anche un principio misticamente fondato, poiché la creatura può concorrere alla continua e costante creazione nel creato facendo spazio all’azione creativa sorgiva di Dio nella propria anima.
La lotta per il Regbo di cui parla Müntzer, si fonda infatti su un atto di de-centramento del soggetto che si apre a una nuova forma di soggettivazione. Essa si fonda sullo «svuotamento», sulla kenosi, affinché nella conformazione a Cristo crocifisso tramite lo Spirito l’anima diventi il luogo in cui Dio viene a essere sempre di nuovo rigenerato (tema della mistica eckhartiana e tauleriana che Müntzer conosceva molto bene). A propria volta, la lotta produce la conoscenza di Dio. Müntzer lo dice chiaramente:
Ma la chiave della conoscenza di Dio è questa: guidare il popolo affinché possa imparare il solo timore di Dio [4].
Se, dunque, questo divenire Dio si forgia nella lotta concreta che culminerà nella rivolta dei contadini contro i principi, ciò comporta per lo meno due conseguenze. La prima – blochiana – secondo cui la teologia non ha un significato retrivo nei confronti della rivoluzione ma può divenire vettore propulsivo per la trasformazione «intramondana» della società senza diventare per forza, come sostiene Engels, una sorta di puro immanentismo [5]. La seconda conseguenza è che intesa così la trascendenza è paradossalmente una «trascendenza senza trascendenza» [6]. La lotta della trascendenza senza trascendenza fa sì, infatti, che vengano aboliti tutti i sistemi di oppressione gerarchica dall’alto al basso e che, invece, tutto sia comune a tutti, che omnia sunt communia. Da questo punto di vista alcune riforme che Müntzer attuò nella propria vita di pastore come ad esempio la traduzione della liturgia, degli inni e dei canti in tedesco o l’accoglimento della pratica anabattista del battesimo degli adulti, sono proprio volti a innalzare e, potremmo dire senza tema di essere poi troppo smentiti, a costituire le soggettività individuali che poi convergeranno in quelle «leghe degli Eletti» che egli fonderà nel suo peregrinare senza sosta da un posto all’altro della Germania del sud, della Boemia e della Turingia e poi delle maggioranze di contadini e minatori che effettivamente arriveranno a costituire quel popolo che scenderà in armi.
Questo punto è davvero molto importante. Dire, infatti, che «tutte le cose sono comuni», significa sostenere che la democratizzazione delle istituzioni ha al proprio fondamento quella molteplicità di cui abbiamo parlato sopra a proposito della divinizzazione dei molti nell’unico Dio. Allo stesso modo in cui, commentando il passo del capitolo 13 della lettera ai Romani di san Paolo [7] dire che il potere della spada è dato al popolo per punire le ingiustizie significa affermare un principio di democratizzazione radicale simile all’omnia sunt communia che altro non è che una figura della divinità. È questo il passaggio dal Müntzer contestatario al Müntzer rivoluzionario. Nella lotta per la liberazione dei contadini ne va di Dio stesso e questa è la più alta formula possibile per una rivoluzione. E cioè che dall’esito della rivoluzione non dipenda solo l’esito della storia ma anche l’esito del divino, e cioè che la rivoluzione è un evento storico che si proietta ed entra direttamente nella vita del divino. Omnia sunt communia altro non è che un modo di dire altrimenti che omnes sunt dei. Se, infatti, lo svuotamento per lasciare spazio a Dio non deve avvenire, per Müntzer, solo nel privato della preghiera ma anche in quell’azione in cui la preghiera si concretizza nella lotta attiva a favore dei più deboli e degli oppressi, ciò significa che in questa lotta è Dio stesso presente nei più poveri (Matteo 25, 31-46) a «essere salvato». Così come se la spada è nelle mani del popolo è anche per «aiutare» Dio a sconfiggere i persecutori degli uomini retti [8].
Ma torniamo per un attimo ancora al tema della soggettivazione in cui i concetti dello svuotamento e della nascita mistica di Dio nell’anima sono così decisivi. Per Müntzer, infatti, è Dio stesso che scrive nei cuori di carne degli eletti – che non sono i predestinati ma solamente coloro che si aprono alla retta fede – tramite lo Spirito che a propria volta fa sì che la rivelazione si dia costantemente e sempre nuovamente a tal punto che, mediante lo Spirito «anche chi non avesse mai sentito parlare della Scrittura potrebbe ben avere fede mediante il diretto insegnamento dello Spirito, come l’ebbero tutti coloro che, pur senza tanti libri hanno scritto la sacra Scrittura» [9]. Ma come comprendere le rivelazioni dello Spirito, quale metodo usare per non essere ingannati da false visioni o false interpretazioni? Per Müntzer la risposta è duplice. Per prima cosa nella verifica operata mediante la lettura della Bibbia anch’essa sottratta ai sottili dottori della menzogna (riferimento chiaro a Lutero e ai witternberghesi) che mantengono il popolo completamente ignorante, incapace di leggere e scrivere e dunque passivo di fronte alle angherie del potere dei principi [10] e in secondo luogo nell’azione di conformazione al Cristo crocifisso [11]. A proposito del primo corno dell’argomentazione, la posizione di Müntzer è incredibilmente anticipatrice delle attuali teorie sul dialogo interreligioso quando sostiene che, in virtù della rivelazione diretta dello Spirito nei cuori, «molti sono i pagani barbari e forestieri che potranno essere accolti per svergognare i falsi ladri della Scrittura» [12]. Mentre per quanto riguarda la conformazione a Cristo, egli sottolinea che «Iddio altissimo, nostro amato Signore, vuole largirci la sublime fede cristiana affinché diveniamo conformi a Lui nella sua sofferenza e viviamo sotto la protezione dello Spirito Santo contro cui il mondo pecca così ostinatamente e irride tanto rozzamente» [13]. E ancora, è il completo «abbandono» (Gelassenheit) a Dio a far sì che avvenga la conformazione dell’uomo a Dio [14]. Il tema dell’abbandono è decisamente centrale all’interno della speculazione di Müntzer. Quando, infatti, egli dice che l’uomo dovrà vivere la propria nuda povertà e sentirsi abbandonato da Dio [15] non sta, a nostro avviso, facendo altro che sottolineare come questa Gelassenheit fosse la risposta all’originario abbandono di Dio da sé nell’incarnazione [16]:
Pertanto Cristo ha espiato ogni male provocato da Adamo così che le parti rimangano unite con l’insieme come dice chiaramente l’apostolo di Dio: io adempio la sofferenza di Cristo che è ancora grandiosa, per la sofferenza del suo corpo, la chiesa [17].
Come, dunque, la guida del popolo proviene dalla conoscenza di Dio, così non si può giungere alla conoscenza di Dio in un lampo e senza la fatica e la sofferenza dell’essersi conformati a lui [18], poiché Cristo deve soffrire ancora nei suoi membri. Detta in altri termini, come la conoscenza sfocia in una prassi, così la stessa prassi si rivela essere l’elemento costitutivo della conoscenza, ove per prassi si intende l’attiva conformazione alle sofferenze di Cristo, poiché «non vi è altra via all’illuminazione se non attraverso una profonda tribolazione. Giovanni 16» [19]. Questo è uno dei punti di maggiore particolarità in Müntzer: lottare contro i principi o i monaci idolatri non significa porsi al posto di Dio o intendere il Regno di Dio come semplice regno intramondano, ma al contrario portare avanti una prassi volta a creare una società al cui centro regni solo Dio [20] e in cui al timore di Dio si accompagni il principio rivoluzionario dell’assenza di timore nei confronti degli uomini.
Secolarizzazione e teologia politica
Da quanto siamo qui venuti sostenendo, consegue che dalla riflessione di Müntzer è desumibile una declinazione dei concetti di secolarizzazione e di teologia politica che hanno come dato comune la coappartenenza di divino e umano, di eterno e di contingente.
Nel caso della secolarizzazione, come essa fa sì che un concetto desunto dal patrimonio religioso si cali nella contingenza della politica, così il movimento opposto messo in atto dalla teologia fa sì che i concetti della contingenza politica assumano un ruolo all’interno della divinità stessa senza – e qui è l’elemento fondamentale – smettere di restare contingenza. Con Thomas Müntzer, il paradigma teologico politico assume una nuova formulazione; eternità e contingenza si coappartengono e agiscono l’una sull’altra. Come l’eterno può mutare la storia – l’incarnazione di Dio –, così il contingente può mutare Dio nella divinizzazione dell’uomo. Il paradigma teologico politico che ne deriva possiede diverse sfaccettature, ma è fondamentalmente da leggere alla luce di un «evento» in cui la dimensione secolare e quella divina non si contrappongono ma al contrario si incrociano reciprocamente. Ne è esempio precipuo il Proclama ai cittadini di Allstedt in cui Müntzer tiene assieme una prima parte del proclama in cui richiama alla responsabilità di contadini e minatori nel saper leggere i segni dei tempi e nel partecipare alla rivolta, con una seconda parte del proclama in cui Scritture alla mano egli interpreta l’arrivo del momento nell’ottica di una sicura vittoria dei contadini e dei minatori [21]. Ne consegue che il primo elemento non possa stare senza l’altro e viceversa. Ma se ben notiamo questo altro non è che il paradigma cristologico calcedoniano per cui in Cristo coesistono in una sola persona la natura umana e la natura divina. La prospettiva teologica politica fondandosi sul dogma calcedoniano non può pensare l’umano senza il divino ma anche il divino senza l’umano. Questo è un punto importante: se la secolarizzazione, infatti, è una – ci sia concesso il termine – «incarnazione» di concetti tratti dalla sfera teologica e fatti operare nella sfera politica, quest’ultima in Müntzer è appieno secolare solo se si apre alla divinizzazione perché la divinizzazione consiste nella trascendenza senza trascendenza propria della lotta di liberazione. Ovviamente questa «trascendenza senza trascendenza» per Müntzer non ha come modello né il pensiero immanente che in essa vedrebbe Engels né una semplice filosofia della storia, ma a tutti gli effetti una «teologia della rivoluzione» allorché alla rivoluzione corrisponde il «senza trascendenza» mentre alla vita nello Spirito e alla conformazione a Cristo nelle sofferenze della Croce corrisponde la «trascendenza».
Riassumendo. Ha sicuramente ragione Ernst Bloch quando definisce Thomas Müntzer come un ribelle in Cristo al di là della correttezza storiografica di una coscienza di classe che gli deriverebbe dal comunismo chiliasta e quando viene sostenendo che il Regno di Dio da realizzare in terra deve essere fondato sull’uguaglianza di tutti gli uomini, sulla comunione dei beni, sulla democrazia diretta e sull’assenza di qualsiasi forma di autoritarismo. Così come ha certamente ragione quando insiste sull’ascetismo müntzeriano come rivolto alla purificazione interiore ma anche a quella esteriore, individuale ma collettiva, umana ma anche naturale. Come giustamente sottolinea anche Tommaso La Rocca parlando dell’interpretazione blochiana di Müntzer, il distacco dal mondo non corrisponde a una statica e inerte indifferenza al mondo ma è deciso rifiuto di esso non come fuga dal mondo ma come paradossale libertà da esso e in esso e in grado di mutarne l’andamento storico[xxii]. Ma non solo, poiché lo svuotamento dell’anima è letto sempre in Bloch nei termini di una liberazione della terra da ogni avidità ed egoismo concretizzantesi nella proprietà privata che dovrà, a propria volta, essere sostituita con l’uso e l’amministrazione delle cose.
Ma ciò che più sembra essere attuale nell’interpretazione di Bloch ci sembra essere in convergenza con quanto siamo venuti sostenendo anche in questo testo, ovvero il riscatto dell’autonomia della teologia nell’elaborazione della rivoluzione. Una teologia che non può, cioè, essere ridotta a maschera sotto la quale in realtà si muovano altre esigenze e altre spinte di carattere storico, economico, sociologico ecc. – pensiero questo che abbiamo già ormai ricordato più volte appartenere a Engels. In Müntzer avviene il caso singolare, certo non universalizzabile ma nemmeno solo esclusivamente particolarizzato, del costituirsi dei motivi legati al pensiero teologico a livello della struttura e non solo della sovrastruttura, cosa che ci viene mostrata proprio dalla concretezza storica della guerra dei contadini che sarebbe del tutto impensabile e incomprensibile senza il riferimento alla teologia.
D’altra parte, il discorso vale reciprocamente per tutte le determinazioni materiali che configurano il darsi di un evento storico. La scelta di Müntzer per una teologia della rivoluzione di contro alla teologia sodale con i principi di Lutero è incomprensibile se non riflessa alla luce delle condizioni storico-materiali degli agenti in gioco.
Ancora una volta ciò che ne consegue è la reciproca appartenenza di materialismo e teologia nell’evento storico di una dinamica tale per cui l’uno non si pensa come struttura completamente indipendente dalla seconda quale presunta sovrastruttura e in cui la teologia è chiamata a riconoscersi come intrinsecamente politica allorché è costitutivamente rimandata a quella radice storica che ne caratterizza l’esistenza.
Per concludere, riteniamo che la teologia politica, per come l’abbiamo vista desumersi dal pensiero di Thomas Müntzer, dunque, non sia solo una branchia della teologia ma il riflesso di ogni evento storico poiché in grado di coglierne il dato universale e quello particolare, il singolo e il molteplice, l’eternità e la temporalità. E se, quindi, nel carattere ascendente e discendente della sua dinamica calcedoniana ogni teologia è teologia politica e ogni teologia politica è cristologia, non è possibile pensare al lato particolare e storico di ogni evento al di fuori di quel prendere parte a favore dei più deboli, degli sfruttati e degli oppressi in cui il lato storico rivela preferenzialmente il lato divino – l’opzione preferenziale per i poveri della teologia della liberazione latinoamericana – e in cui la parte è sempre parte dei senza parte.
Note [1] Cf M. Tronti, La politica al tramonto, Einaudi, Torino 1998, pp. 173-174. [2] Cf T. Müntzer, Dichiarazione riguardante la causa boema. Praga, 1° Novembre 1521, in T. Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti, Claudiana, Torino 2017, pp. 187-190. [3] T. Müntzer, Esplicita messa a nudo della falsa fede del mondo infedele mediante la testimonianza del vangelo di Luca esposto alla misera compassionevole cristianità per rammentarle i suoi falli, in T. Müntzer, Scritti politici, Claudiana, Torino 2003, p. 100. [4] T. Müntzer al conte Ernst von Mansfeld. Allsted, 22 settembre 1523, in T. Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti cit. p. 84. [5] Cfr. F. Engels, La guerra dei contadini in Germania, in K. Marx – F. Engels, Opere complete, vol. X 1849-1851, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 426-427. [6] Sulla radice blochiana di questo concetto si veda T. La Rocca, Es ist zeit. Apocalisse e storia. Studio su Thomas Muntzer (1480-1525), Cappelli, Bologna 1988, pp. 186-191. [7] Su questo si veda E. Bloch, Thomas Müntzer teologo della rivoluzione, Feltrinelli, Milano 2010, p. 57. [8] Cfr. T. Müntzer, Spiegazione del secondo capitolo del profeta Daniele, predicato nel castello di Allstedt dinanzi ai laboriosi e diletti duchi e magistrati di Sassonia da Thomas Müntzer, ministro della parola di Dio, in Müntzer, Scritti politici, cit., p. 83. [9] T. Müntzer, Esplicita messa a nudo, cit., p. 98. [10] Cfr. Ivi, p. 97. [11] Cfr. Müntzer, Spiegazione del secondo capitolo del profeta Daniele, cit., pp. 78-79. [12] T. Müntzer, Esplicita messa a nudo, cit., p. 112. [13] Ivi, p. 115. [14] Cfr. T. Müntzer, Thomas Müntzer ai fratelli a Stolberg. Allstedt, 18 Luglio 1523, in Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti, cit., p. 77. [15] Cfr. T. Münzer, Una lettera ai suoi cari fratelli a Stolberg, ammonendoli solennemente ad abbandonare l’ingiusta ribellione, in Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti, cit., p. 78. [16] Cfr. ivi, pp. 79-81. [17] Cfr. ivi, p. 79. il riferimento è a san Paolo, Colossesi 1,24. [18] Cfr. T. Müntzer, Thomas Müntzer al pastore di Eisleben Christoph Meinhard. Allstedt, 14 dicembre 1523, in Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti cit. p. 91. [19] T. Müntzer, Thomas Müntzer al movimento riformatore a Sangerhausen. Allstedt, 15 luglio 1524, in Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti, cit., p. 114. [20] Cfr. T. Müntzer, Thomas Müntzer all’esattore Hans Zeiss. Allstedt, 22 Luglio 1524, in Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti, cit., p. 124. [21] Cfr. T. Müntzer, Thomas Müntzer ai membri del patto di Allstedt («Proclama ai cittadini di Allstedt»), Mühlhausen, 26 aprile 1525, in Müntzer, Scritti, Lettere e Frammenti, cit., pp. 163-164. [22] Cfr. La Rocca, Es ist Zeit, cit., p. 189.
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