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Lo sguardo dei Neri italiani


Recensione a Razza e cittadinanza di Camilla Hawthorne



Lo sguardo dei Neri italiani

Una lettura del recente lavoro di Camilla Hawthorne che fa direttamente i conti con l’esperienza della Nerezza in Italia e porta in primo piano nodi politici dirimenti per la lotta antirazzista.


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In un contesto di cambiamento accelerato della geopolitica mondiale, in cui assistiamo alla ridefinizione dei rapporti tra le nazioni da Nord a Sud e da Est a Ovest, tantissimi paesi africani si trovano oggi a un bivio. Le nuove generazioni, tra l’Africa e l’Europa, tentano di liberarsi del neocolonialismo e dei sistemi di controllo che hanno seguito la formale abolizione della schiavitù. Di estrema importanza, alla luce di queste trasformazioni, è il rapporto tra razza e cittadinanza. Un rapporto complesso e spesso controverso che varia in base al contesto storico, sociale, politico e riguarda anche il sistema di leggi del paese di arrivo, che si trova alle prese con le sfide della diversità, le discriminazioni e le problematiche relative all’integrazione e all’inclusione.

Razza e cittadinanza

Camilla Hawthorne, nel volume Razza e cittadinanza. Frontiere contese e contestate nel Mediterraneo Nero (Astarte Edizioni, Pisa 2023) propone quella che vorrei definire un’indagine storico-culturale-geografica. Mette in luce la complessità del rapporto tra razza e cittadinanza nel contesto italiano e lo fa attraverso una serie di testimonianze, raccolte in giro per il paese, che fotografano la volontà delle persone razzializzate di affermare la propria identità di Neri italiani. Leggerlo restituisce bene l’idea della sofferenza e della rabbia con cui convivono tanti figli dell’Italia contemporanea. I materiali raccolti nel libro, mostrano le strategie e le lotte messe in atto da questi giovani donne e uomini - cosiddette seconde generazioni, migranti senza documenti e in regola, richiedenti asilo - per disfarsi di tutte le difficoltà che comporta l’essere non bianchi e non cittadini.

Il razzismo e il dibattito sulla cittadinanza occupano ciclicamente una parte importate della vita sociale e politica di tutti i paesi europei ma in Italia la questione assume caratteristiche precise. Con ogni cambio di governo, le cose cambiano e a modo alterno, si può assiste a timide avanzate di proposte di leggi a favore del diritto alla cittadinanza o a leggi che ostacolano e rallentano ogni tentativo di relazione con le generazioni di ragazzi nati, cresciuti o arrivati da piccoli nel «bel paese».

Ho trovato molto bella una frase di Marilena Umuhoza Delli in risposta a un commento sul suo romanzo autobiografico Razzismo all’Italiana. Quando le è stato chiesto se l’Italia fosse razzista, ha risposto dicendo «l’Italia non è intrinsecamente razzista ma è un paese in cui il razzismo è tollerato». Riformulerei la frase così: anche se il paese è la sua cultura sono bellissimi, molti italiani hanno pensieri ostili nei confronti degli stranieri.


Neri italiani

In Razza e cittadinanza è possibile leggere il modo in cui gli italiani Neri, che si definiscono precisamente Neri italiani, vivono la loro italianità e conoscere le molte barriere che il colore della pelle pone al loro vivere pienamente questo sentimento di appartenenza. L’infelice uscita del generale Roberto Vannacci sulla campionessa italiana di pallavolo Paola Egonu: «Anche se Italiana, i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità», mostra a sufficienza quanto la questione del rapporto tra razza e cittadinanza possa essere attuale in Italia, e quanta strada ci sia ancora da fare. E poi c’è chi dice: «Ma noi non possiamo essere razzisti (…) I meridionali hanno la cultura dell’ospitalità».

Il Mediterraneo, la vicinanza al continente africano e soprattutto una storia che non ha nulla a che fare con la schiavitù e la tratta atlantica, permette ai Neri italiani di definire le loro origini. Diversamente che per gli afroamericani, che non hanno legami chiari con il paese di provenienza dei loro antenati, si parla infatti di italo-ghanese, italo-nigeriano, italo-etiope. Hawthorne ha ben chiara questa differenza ma non dimentica di sottolineare che, anche se ci si trova in aree geografiche diverse e lontane, il nemico è sempre lo stesso. Scrive: «Oggi il Mediterraneo è elevato a fonte di contaminazione razziale e a simbolo di un futuro post-razziale. Funge da alibi difronte alle accuse di razzismo anti-Neri, ma consente di aprire uno spazio per le persone Nere all’interno della nazione». A questa affermazione se ne affiancano altre come quella di Igiaba Scego, citata da Hawthorne: «Da qui sono passati tutti: arabi, austriaci, africani, francesi, spagnoli (…) questa è l’Italia, un miscuglio di sangue diverso e pelli diverse. Quando finalmente accetterà questa identità, tornerà a essere il Bel paese che tutti amiamo». Le battaglie legate alla cittadinanza e il suo rapporto con il concetto di razza, continuano dunque ad alimentare il dibattito internazionale e a spingere perché ci si esprima, esplicitamente o implicitamente, sulla questione dell’identità, dei valori e dei lasciti della tradizione. Per questo, il libro, affronta trasversalmente il tema della schiavitù, del colonialismo, della decolonizzazione, della discriminazione sistemica, delle rivendicazioni e delle lotte antirazziste.

Un capitolo del libro è dedicato all’onda Black Lives Matter che si è propagata in gran parte del mondo occidentale. Hawthorne descrive il modo in cui l’onda è stata accolta nel paese e come abbia portato gli attivisti a ricordare che la vita dei Neri conta anche in Italia. Con questo slogan hanno espresso tanto il loro disaccordo rispetto alla pratica di riprendere le rivendicazioni antirazzista che arrivano da altri paesi quanto il bisogno di difendere la propria condizione in Italia. È emersa cioè l’esigenza di un’attenzione particolare allo sguardo dei Neri italiani. Uno sguardo specifico e non assimilabile ad altre lotte e movimenti osservati in Francia e in particolare in America. Per la sua posizione, l’Italia è ancora oggi terra d’immigrazione mentre il Mediterraneo si conferma uno dei principale canali del flusso migratorio (oltre che un grande cimitero per chi non ha avuto la fortuna di oltrepassarlo) e ciò rende l’esperienza nel paese specifica e particolare.


Duplicità identitaria

Razza e cittadinanza parla anche di identità cancellate. Nel libro si legge: «Una persona nata qui non ammette di avere una doppia identità (…) il meticcio arriva a un momento in cui deve fare una scelta». I Neri italiani, non si sentono accettati come italiani, sentimento amplificato dalla mancanza di cittadinanza, ma sanno anche di essersi allontanati dai valori della propria tradizione, dalla cultura e dalla spiritualità tradizionali. Cercano allora di appropriarsi di un’identità che non hanno mai avuto o che hanno perso, dove il colore della pelle ha diviso le persone. Dalle testimonianze raccolte dall’autrice tra il 2013 e il 2019 si capisce che le nuove generazioni di Nere/i italiane/i e i giovani/e delle diaspore esprimono il loro desiderio di auto-narrazione, di auto rappresentazione. Segnano la loro presenza con azioni concrete di attivismo sociopolitico, sviluppano imprese a forte impatto sociale, s’impegnano nel panorama culturale, si raccontano e parlano delle difficoltà che incontrano tutti giorni perché Neri. Dicono cosa la cittadinanza rappresenta per loro. Affrontano temi come il diritto naturale, la sovranità, l’appartenenza etnica, lo status civile, lo ius sanguinis e lo ius soli, e scelgono così di esistere. Altri invece scelgono di rifugiarsi nella comunità di origine dei genitori o del genitore non bianco e quindi non italiano. Tanti si sentono più africani e quindi dopo essere nati o cresciuti in Italia, che pur riconoscono come il loro paese, sono costretti a piegare la percezione e rappresentazione di sé verso tutto ciò che richiama l’altra parte della loro origine, sentendosi per questo costretti a vivere in una «duplicità identitaria». Questa difficoltà nell’identificarsi pienamente come semplici cittadini italiani tende a spingerli verso un’idea di «identità europea» o di cittadini del mondo.

Ai Neri italiani nati e cresciuti nel Paese si aggiungono quelli della cosiddetta «invasione africana» che arrivano sulle coste meridionali dell’Italia, e fanno riaccendere i riflettori sull’interconnessione tra Mediterraneo, colonialismo e migrazioni. Alcune forze politiche spendono grandi energie per difendere il diritto di appartenenza all’Italia per nascita (secondo il principio dello ius sanguinis) e i Neri italiani si ritrovano con leggi sempre più discriminatorie e un tessuto sociale sempre più profuso da concetti di supposta purezza razziale che rafforzano e legittimano il razzismo istituzionale e atteggiamenti aggressivi nei confronti delle persone Nere. Tutto questo porta a chiedersi: chi è italiano e chi può essere italiano? La legge sulla cittadinanza può essere, in un certo senso, considerata «una fabbrica di apolidi». Pensiamo a un ragazzo nato e cresciuto in Camerun, arrivato in Italia si sentirà camerunese ed è sicuro che tutte le volte che tornerà nel suo paese sarà visto e accettato come camerunese. Ma un ragazzo nato in Italia da genitori camerunesi, in Camerun è trattato in un certo senso come italiano. È camerunese in Italia e italiano in Camerun. Se non accetta questa esperienza di doppia appartenenza rimarrà senza cittadinanza.

C’è poi anche un grave problema di accettazione sociale dei Neri italiani. Elementi del linguaggio, luoghi comuni e stereotipi, che fanno parte della vita di adulti e giovani in Italia, concorrono ad allontanare da sé chi è ritenuto diverso perché spesso associano al termine «nero» una connotazione negativa. Tanti genitori, ancora oggi, dicono ai figli che se continuano a fare i birbanti «arriva l’uomo nero». Si dice «lavorare come un negro», ci s’«incazza nero», si è «pagati al nero». Ci siamo mai chiesti se tutte queste espressioni di uso quotidiano, che sicuramente non hanno l’intento di nuocere, possono avere un’influenza su il/la «ragazza/ragazzo di colore» che sta al piano sotto casa nostra e sul rapporto che abbiamo con loro? E quando parliamo di razza, di che colore è il ragazzo/ragazza di cui parliamo?


Nerezza e italianità

Se assumiamo la diversità come un valore, la presenza di cittadini di diverse origini può arricchire la cultura, le conoscenze e le prospettive di un paese. È pura ipocrisia privare le persone, che abbiano o meno lo stesso colore, della capacità di godere dei diritti, di vivere secondo i propri principi, della possibilità di incontrarsi e condividere i propri valori, pur mantenendo l’unicità delle proprie origini. La storia ci dice che è da quegli stessi paesi, oggetto oggi di fortissime discriminazioni, che nei secoli scorsi sono partiti i missionari che parlavano di uguaglianza e fratellanza. Ma, uguaglianza e fratellanza per chi, tra chi? È una questione religiosa?

Il libro evidenzia l’esistenza di Neri «assimilabili» (Neri in grado di sfruttare le proprie reti diasporiche a beneficio dell’economia italiana) e Neri «non assimilabili» (che rappresentano per l’economia uno spreco di risorse) e porta in primo piano una vera e propria geopolitica dei corpi nei. Qual è il tipo di Nerezza che può essere inclusa nei confini dell’italianità? Chi è il Nero bravo, quello che vale la pena tenersi in casa? Dai Neri italiani ci si aspetta il rispetto delle regole, la partecipazione attiva alla realizzazione del progetto comune di coesione sociale ma ci si dimentica della cittadinanza negata, della mancanza di opportunità, delle disuguaglianze e di tutti i pregiudizi e la marginalità subiti. La discussione sul rapporto tra razza e cittadinanza è fondamentale per costruire la società che vogliamo.

L’autrice racconta gli atti di razzismo e la violenza istituzionale, l’attivismo e i movimenti di lotta, che hanno scandito il tempo negli ultimi venti anni in Italia. Evita di cadere nel vittimismo né propone una raccolta di luoghi comuni. Camilla ha fatto osservazione, ha praticato l’ascolto, ha raccolto testimonianze legate alla vita di tutti giorni delle ragazze e dei ragazzi Neri italiani. Parla anche dell’imprenditoria nel Made in Italy, soprattutto nella moda e nell’industria del beauty, portata avanti da immigrati o giovani Neri di seconda generazione, cosa che sta spingendo figure autorevoli del settore a pensare a questi giovani non solo come forza lavoro ma in termini di creatività. Il libro riporta esempi come Afroricci, la catena di prodotti di bellezza Made in Italy per persone Nere e l’afrofashion-week a Milano. Sono esperienze che stanno facendo spostare l’attenzione dall’idea dei Neri italiani come «venditori ambulanti di cianfrusaglie» all’idea di un Made in Italy nero, che mette la Nerezza al centro del processo di creazione. Per Camilla Hawthorne l’imprenditoria delle donne Nere italiane è una possibile leva per sviluppare strategie economiche fondate su pratiche di interconnessione tra realtà diasporiche e rivendicazioni della cittadinanza; il Made in Italy dei Neri italiani è cioè inteso come strategia per «rivitalizzare una nazione stagnante, con una storia recente caratterizzata da una postura insulare e molto poco cosmopolita».

Nel libro, è anche evidenziata la difficoltà che si incontra nel tradurre in italiano termini che definiscono l’esperienza dell’essere nero, come «blackness». Per esempio, in Italia si sente spesso l’espressione «persona di colore». I termini usati da Camilla Hawthorne: «nerezza», «bianchezza», «persone razzializzate», «nerità», non compaiono nel dizionario italiano e mostrano per questo la mancanza di termini precisi per tradurre o indicare l’esperienza e le condizioni di vita dei Neri Italiani, che non possono essere semplicemente definiti come italiani.


Guerra tra poveri? No, razzismo strutturale

La razza e l’origine etnica si rivelano fattori determinanti nell’accesso a diritti e opportunità. La razza influenza l’identità delle persone e la percezione di appartenenza a una comunità. Godere della cittadinanza permette di sentirsi pienamente parte del tessuto sociale. Il rapporto tra razza e cittadinanza cambia da paese a paese ma la sfide che porta con se sono sempre molto rilevanti e hanno conseguenze profonde per la stabilita e la giustizia sociale. Se è vero che l’arrivo di un numero elevato di persone, in un paese che ha le sue tradizioni, crei tensioni «orizzontali», come nota tra altri Kassim Yassin Saleh nel cortometraggio Guerra tra poveri, è anche vero che queste tensioni sfociano facilmente nel razzismo. Fonti del Ministero dell’interno segnalano che dall’inizio del 2023 sono arrivate in Italia, attraverso il Mediterraneo, più di cento mila persone. In mancanza di una gestione corretta di questi arrivi le tensioni saranno inevitabili e in molti giustificheranno così gli inevitabili episodi di razzismo. Chi ritiene che tale tensione sociale non sia direttamente riconducibile al razzismo ma sia piuttosto un istinto di sopravvivenza delle popolazioni dei paesi di arrivo dei flussi migratori, può forse sostenere che difendere la cittadinanza con leggi e barriere di ogni tipo è esclusivamente una questione di sopravvivenza? Io non credo!

Schiavitù, colonialismo, neocolonialismo, non erano e non sono conseguenze di una lotta per la sopravvivenza, sono piuttosto espressione della volontà di affermare la superiorità della bianchezza. In questo senso, l’Italia ha una tradizione specifica. La vicinanza del sud del paese al continente africano, con il Mediterraneo come tramite, ha portato gli scienziati positivisti, in particolare Alfredo Niceforo, a ipotizzare l’esistenza di due razza: la razza bianca ariana al nord e la razza mediterranea semitica al sud. La distinzione avrebbe origine nella mescolanza degli italiani del sud con gli africani. Ciò spiegherebbe la discriminazione degli abitanti del sud da parte dei loro fratelli e sorelle del nord e, nello stesso tempo, il senso di superiorità che gli abitanti del sud nutrono rispetto agli africani.

A partire soprattutto dal 1938, con l’inaugurazione, alla presenza di Mussolini, della «sala della razza» nell’ambito della rassegna Torino e l’autarchia (Organizzata dalla Federazione dei Fasci di combattimento) e soprattutto con la pubblicazione della rivista «La difesa della Razza» e poi fino a oggi, attraverso le prese di posizione di alcune testate giornalistiche e i programmi di alcuni partiti politici, il razzismo in Italia continua a essere espresso in modo esplicito, continua a esser difeso e sminuito con inutili tentativi di sdrammatizzare la portata della violenza razzista, che sono subito smentiti dalla cronaca. Ancora oggi, se sei un Nero italiano puoi essere ucciso in pieno giorno a mani nude (come è successo a Alika Ogorchukwu nel 2022 a Civitanova), puoi essere insultato pubblicamente (come è successo alla ministra Cecile Kyenge colpita da appellativi razzisti), puoi vederti negare l’affitto di una casa o avere difficoltà nel trovare lavoro.

Per questo, lo sguardo dei Neri italiani sulle dinamiche sociali, la violenza razzista e le lotte da costruire, è più che mai importante e il libro di Camilla Hawthorne ci spinge a coltivarlo.



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Jean Blaise Nguimfack, nato in Camerun, ha studiato scienze infermieristiche a Bologna dove attualmente lavora come infermiere. Fa parte dell’esperienza Black History Month.

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