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L’archivio affettivo-politico di Liana Borghi

Un ricordo


Ad alcuni mesi dalla scomparsa di Liana Borghi, pubblichiamo un suo ritratto intimo, come uno spaccato specifico dell’esperienza politica e militante condivisa con Clotilde Barbarulli che firma il pezzo. Il testo ripercorre il loro sodalizio per il Giardino dei Ciliegi (nome del Centro Ideazione Donna di Firenze) nato nel 2000 con il progetto Raccontar/si, organizzato in collaborazione con la Società Italiana delle Letterate (SIL).

Della SIL Liana è stata fra le fondatrici nel 1996, e prima ancora aveva contribuito a fondare la Libreria delle donne di Firenze nel 1979. Nell’arco di oltre quarant’anni, Liana con la sua lucidità e la sua passione, ha segnato indelebilmente le teorie e le pratiche femministe, lesbiche e queer, nutrendole, più di recente, della prospettiva decoloniale ed ecofemminista. Soprattutto, Liana, studiosa e intellettuale di fama internazionale, ha tessuto reti militanti e liberato i saperi dalle gabbie dell’accademia. Ha insegnato a intrecciato, pratiche e utopie con la politica delle nostre vite. [Angelica De Palo]



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Di Liana, in questo periodo di elaborazione della perdita, mi manca soprattutto la sua voce, quel timbro trillante nel modificare scherzosamente il mio nome («Clotailde») che comunicava al telefono un messaggio gioioso, per parlare di libri letti, di politica, di teorie femministe, di progetti… uno scambio quasi quotidiano che, al di là degli incontri, ha costellato il nostro rapporto ventennale. Poi, negli ultimi tempi, la sua voce affaticata che s'interrompeva e mi faceva star male, ed allora solo brevi messaggi cellulari… Ora non resta che tornare indietro col pensiero cercando di rastremare fra i vari ricordi.

Liana si era avvicinata al Giardino negli anni Novanta, ma è con il 2000 ed il sostegno alla giornata del World Pride, che inizia un sodalizio fra di noi per il progetto Raccontar/si, organizzato dal Giardino dei Ciliegi e dalla Società italiana delle letterate. Nella storia del Giardino[1] Liana racconta che, quando comincia con il suo gruppo lesbico a riunirsi all'Associazione, allora in piazza Ciompi, aveva la sensazione di essere controllata dalle socie responsabili. Ma poi si accorse che le loro iniziative erano ospitate con simpatia. Perciò, trasferendosi per lavoro da Bologna a Firenze, s'impegnò a creare «una forte sinergia fra la Libreria delle donne, il Giardino, l'Università e la comunità inter/nazionale LGTQ» che frequentava. Così il Giardino entra in una fase di triplice intesa, collaborando - attraverso presentazioni di libri e seminari - con il movimento LGTQI, poi LGBTQI; con gli studi sulle donne e di genere della facoltà di Lettere al'’Università di Firenze ed i suoi contatti nazionali e internazionali (presentazione della Società italiana delle letterate nel 1996, rete di studi delle donne Athena, incontri con la psicologa Marny Hall, la teorica Teresa De Lauretis, la storica Martha Vicinus ed altre studiose femministe).

Inizialmente Liana propone il progetto della scuola residenziale estiva Raccontar/si ad un incontro al World Pride di Roma poi al Centro studi GLTQ di Milano, ma - racconta - «vinse la sua mutazione femminista proposta con Clotilde Barbarulli all'assessora Marzia Monciatti e a Lanfranco Binni di Portofranco. Ciò nonostante, l’interculturalità di Raccontar/si ha sempre mantenuta l'impronta queer». È così che comincia la nostra avventura affettiva, politica, intellettiva.

Non potendo parlare di tutte le edizioni, per le quali rimando al sito www.raccontarsialgiardino.it., provo a tracciare momenti significativi del percorso.

Partiamo nel 2001: «Come tutte le nostre iniziative congiunte, il Laboratorio portava l'impronta – scrive Liana - del femminismo storico di Clotilde e del mio altrettanto storico attivismo lesbofemminista, ormai più interessato agli studi queer»[2]. Dopo tanti preparativi e contatti, fra mappe (lo strumento preferito di Liana per riflettere su teorie e pratiche ed organizzare il discorso) e appunti vari, iniziamo con entusiasmo, senza immaginare cosa avrebbe significato l'esperimento di villa Fiorelli (Prato), in termini personali di ascolto, ricerca, esperienza. Se l'intento era di costruire una comunità di pratica basata sullo scambio di informazioni, impegno e risorse, la sorpresa è stata che l'immersione negli eventi condivisi durante le giornate passate insieme, l'ascolto di tante storie vissute, l'analisi di situazioni culturali analizzate da punti di vista così diversi, l'intrecciarsi continuo di discipline e posizionamenti, insieme al continuo scambio di ruoli tra chi era venuta per imparare e chi per insegnare, hanno creato per Liana e per me anche la necessità di una pratica politica che esprimesse il senso di cura e responsabilità ripetutamente provato lavorando insieme. Si stava creando una piccola utopia effimera, contingente, costruita nell'immediato praticando legami fatti di interrelazione, di reciprocità, di partecipazione, vicinanza. E davvero la scuola finiva per diventare un soggetto collettivo, una rete per esprimere desideri e necessità, che si rafforzava ogni anno e che nel tempo è rimasta in contatto.

A Racconta/rsi (2001-2008) e poi con la sua disseminazione in convegni e incontri annuali al Giardino dei Ciliegi negli anni successivi fino ad oggi, le soggettività sono sempre state viste come stratificazione di differenze, frutto di infinite negoziazioni, dove l'analisi della complessa intersezionalità del genere con quello che non è genere (razza, classe, sessualità ecc.) è sempre stato prioritaria nello scambio. Se con Liana avevamo cominciato con la premessa femminista di essere situate in corpi di "donne" (tra virgolette perché donne non si nasce ma si diventa), con il passar del tempo il discorso sul genere ha assunto connotati decisamente postgender e queer, specie in relazione all'identità e alla sessualità. Se l'ottica di genere ha rivoluzionato la cultura e i confini tra i saperi offrendo nuovi strumenti teorici per interpretare la complessità del mondo attuale, il femminismo – come afferma anche Angela Davis – implica molto più del genere. Deve comprendere nello stesso tempo una coscienza del capitalismo, del razzismo, dei postcolonialismi, e di una quantità di generi più grande di quanti possiamo immaginare e così tanti nomi per la sessualità che non avremmo pensato di poter annoverare.

Finiti i finanziamenti per il crescente disinteresse istituzionali verso l'intercultura, ci siamo impegnate - mentre le mappe concettuali di Liana aumentavano con diramazioni sempre più ramificate - a continuare organizzando un convegno annuale costellato di eventi culturali minori al Giardino e con il Giardino, partecipando con workshop ai Convegni SIL, mentre Liana metteva in circolazione, come sempre, saperi e suggestioni.

Il laboratorio di Raccontar/si ha creato un dialogo fra Liana, me e le giovani partecipanti provenienti da varie città, oltre che con le compagne del Giardino che più hanno seguito le giornate a villa Fiorelli condividendo non solo stimoli e problematiche di Liana, ma anche l'attenzione all'accoglienza includente il cibo (e questa era una questione complicata, ahimè, dalle esigenze di Liana) e tutto ciò che poteva far star bene chi partecipava: un intreccio affettivo che è continuato negli anni successivi attraverso una rete amicale che ha portato molte partecipanti di varie città a seguire anche i Convegni annuali. «Ecco cosa vuol dire diventare Fiorelle: vuol dire scoprirsi aperte, pronte ad assorbire saperi, emozioni, suggestioni e soprattutto saper condividere tutto questo con gli altri/le altre in un incessante e vorticoso scambio che coinvolge il corpo e la mente. E un percorso in continuo cambiamento», scriveva Federica Turco[3].

Nella ricerca di assemblare percorsi e pratiche abbiamo incontrato al Giardino sempre più, negli anni, tutti i movimenti impegnati per un mondo diverso: femministe, trans femministe, queer, soggettività non binarie LGBT*QIA+1, tutt* quell* che ovunque scendono in piazza contro femminicidi e forme di violenza di genere, contro muri e confini, sfruttamento del lavoro e saccheggio delle risorse naturali…

Liana, nel suo navigare fra teorie, ha suggerito la necessità di considerare le proiezioni affettive sugli oggetti e su come gli oggetti costruiscono i soggetti, attraverso le teorie della non-rappresentazione di Nigel Thrift, poi Bruno Latour - e tramite Sara Ahmed, Elizabeth Grosz, Lauren Berlant, Rosi Braidotti, Karen Barad, e altre - ha messo al centro il postumano e il "più che umano", verso le agentività aggrovigliate di umano e materia degli studi neo-materialisti; verso un esame degli elementi della temporalità nel cambiamento che il nostro gruppo di lettura SIL a Firenze ha indagato leggendo opere letterarie e riflettendo sull'archiviazione storica, poetica, retorica, iconografica, o scientifica che sia, dello spaziotempo.

Siamo così passate ad approfondire gli studi neomaterialisti, cercando di spostare i confini tra l'umano e il non-umano, corpo e materia, materia e discorso – chiedendoci ancora una volta quale trasmissione ci sia stata tra noi, come viviamo queste idee, e come questa agiscano sulle pratiche di omologazione, connivenza, consenso, o resistenza nell'insopprimibile potere del reale.

Non posso non ricordare quanto fummo coinvolte nell'organizzazione del Convegno del 2012: La scarpa negli archivi dei sentimenti e nelle culture pubbliche. Liana voleva attraversare alcuni oggetti che nel tempo si modificano e si ramificano nelle rappresentazioni, in particolare le scarpe, oggetto d'arte, studio e uso quotidiano, come dimostrano le collezioni di Ferragamo e Gucci nei musei di arte moderna, e le performance di Sex and the City e Lady Gaga. Così cominciammo a pensare - mentre con alcune compagne del Giardino prendevamo contatti con lo staff di Ferragamo e allestivamo mostre di scarpe di artiste - ai numerosi altri esempi, dalle "Dancing Shoes" nella poesia di Patrizia Cavalli alla pantofola rossa di Sisto VI in Patricia Highsmith; dalle scarpe impolverate di chi deve attraversare i tanti checkpoint in Palestina (Adania Shibli) alle scarpe di migranti affioranti dai cimiteri marini odierni.

Il femminismo decoloniale ha rafforzato la nostra necessità di rivedere e rinnovare quello che passa per canone, interrogando in vario modo la letteratura e mescolando generi, discipline e scritture per ricreare volta a volta genealogie testuali in campi differenti. Di fronte alla dinamica tradizionale dell'appartenenza perciò – in varie forme – Liana insisteva sull'abitare confini fluttuanti, creando immaginari diversi nell'intreccio con i movimenti femministi e transfemministi globali, nella consapevolezza che «l'universo è troppo promiscuo per restare fedele a un solo modo di rappresentarlo», citando il filosofo e attivista nigeriano Bayo Akomolafe, scoperto di recente nella partecipazione al gruppo "clinica della crisi" di Fabrice Dubosc. E sottolineava l'importanza di sentirsi parte del non-umano, ripensare il mondo intero come un soggetto agente in continuo mutuale divenire con noi e «referente primario senza il quale il mio divenire – scrive Liana - non può essere, e che dunque deve essere aiutato a sopravvivere, o meglio, come vorrebbe Haraway, a guarire»[4].

Se gli interessi di Liana così spaziavano arricchendosi sempre di nuove letture, la passione per la fantascienza delle donne - che veicolava visionariamente analisi, speranze, utopie e progetti del lesbofemminismo – è restata costante. In tempi di transfemminismo queer, riteneva indispensabile interrogare le narrative speculative nei termini della critica storica e comparata delle utopie femministe, indagando il loro posizionamento rispetto a genere, razza, sessualità, diversità senza dimenticare la rappresentazione del nonumano e il modo in cui si affrontano questioni di etica e politica. Così ha voluto dedicare l'ultimo Convegno – a cui ha offerto le sue energie nonostante il progredire della malattia con l’ultima sua mappa concettuale – alla Fantascienza, riflessione filosofica e teorica, investimento narrativo, scrittura sperimentale, includente speculazioni ecologiche; attenzione alla materialità del vivere ed alla natura. Dato che «l'assenza del futuro è già cominciata (Clemence Seurat), il femminismo speculativo – ha messo in evidenza Liana - è forse una delle armi migliori per immaginare altri (mondi) possibili e per speculare sul nostro futuro»[5].

Da questo breve excursus emerge come Liana sia stata una compagna di viaggio creativa e attenta al mondo, mettendo in pratica quel sentir-pensando, di cui ha scritto riferendosi alla filosofa argentina Marìa Lugones – un sentire-pensare insieme che implica un gesto di apertura all'ascolto dove affetto e pensiero si intrecciano nella materialità del mondo: voleva, come Sara Ahmed, «portare a casa la teoria femminista», ritrovarla quotidiana, ripensarla incarnata in quegli avvenimenti che ogni giorno ci fanno sentire e decidere di continuare a essere soggettività ostinate e ribelli ai domini.

Come ho rievocato nell'incontro al Giardino del 21 dicembre dedicato al suo ricordo, Liana si era chiesta in uno scritto: «Prima che sia la terra ad archiviare noi, sembra opportuno domandarci se rimarrà in questo futuro una qualche archiviazione del nostro passato-presente femminista – come raccolta di memorie, come gesto di riconoscimento. Con i cambiamenti in atto, come verrà custodita una tale memoria? Basterà affidarla al digitale e al cartaceo?... Possiamo tuttavia definire – conclude - la nostra performance femminista una auto-teorizzante archiviazione affettiva, e disseminarla come tale nelle nostre politiche e nelle nostre vite»[6].

È questo che, secondo me, Liana ha realizzato. Il suo lavoro di continua connessione tra differenti saperi che via via scopriva, attraversava e generosamente diffondeva e condivideva - insieme all'intreccio tra generazioni di femministe di varia formazione - rappresenta il fondamentale archivio affettivo-politico che ci lascia.



Note [1] L. Marzi, Il Giardino dei Ciliegi. Storia e intrecci con altre associazioni a Firenze e in Toscana (1988-2015), Edizioni dell'Assemblea, Firenze 2016, p. 246. [2] L. Borghi, Prospettive libertarie e strategie queer in una scuola estiva, in «A rivista anarchica», anno 43, n. 385, dicembre 2013 - gennaio 2014. [3] F. Turco, Quando si diventa fiorelle, in «Leggendaria», 2007. [4] L. Borghi, Fare mondo con acacie e formiche, Convegno Fare mondo: poetica del futuro dimenticato, Giardino dei Ciliegi, Firenze 2017. [5] L. Borghi, Introduzione al Convegno Neomaterialismo e fantascienza delle donne: intramazioni, Giardino dei Ciliegi, Firenze 2020. [6] L. Borghi, Archivi riposti, in C. Barbarulli - L. Borghi (a cura di), Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta a oggi,Edizioni dell'Assemblea, Firenze 2015.



Immagine: Thomas Berra


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Clotilde Barbarulli, italianista, ricercatrice al C.N.R., si occupa di scritture femminili e di intercultura. Esponente di spicco dell'associazione “Il giardino dei ciliegi” di Firenze fa parte della “Società Italiana Letterate”. Ha curato con Liana Borghi diverse pubblicazioni: Visioni in/sostenibili. Genere e intercultura (2003), Forme della diversità. Genere, precarietà e intercultura (2006), Il sorriso dello Stregatto. Figurazioni di genere e intercultura (2010).

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