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In ricordo di Giovanni Mottura





Giovanni Mottura si è spento il 3 ottobre a Bologna. Per ricordare l’importanza della sua figura, Marco Cerotto ripercorre alcune tappe della sua biografia politica e intellettuale, concentrandosi in particolare sui suoi contributi ai «Quaderni rossi» e alle esperienze di inchiesta politica. Mottura è stato non solo un grande studioso militante, ma – come mostra Cerotto – una persona estremamente curiosa, sempre attenta al dialogo e alla formazione delle nuove generazioni.


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Giovanni Mottura si è spento il 3 ottobre a Bologna.

L’ho conosciuto prima attraverso i libri e nelle tante testimonianze perlopiù inerenti al lavoro teorico e politico dei «Quaderni rossi», e poi ho avuto la fortuna di incontrarlo personalmente a Bologna nell’ottobre 2021, quando Gigi Roggero, le compagne e i compagni del Punto Input, mi invitarono a presentare il mio libro su Panzieri e i «Quaderni rossi».

Si presentò, fortemente in anticipo, quest’omone col maglione, ovviamente rosso, che mi diede quasi l’impressione di vedere Bud Spencer. Inizialmente non parlò con nessuno e ascoltava curiosamente i discorsi dei ragazzi giovanissimi venuti a sentire la presentazione del libro su Panzieri, poi cominciammo a parlare. E mi raccontò dei suoi anni trascorsi a Napoli, con i compagni e le compagne impegnati nella lotta per l’occupazione delle case, con i disoccupati, e tante altre battaglie, fino a ricordarsi persino l’odore della sfogliatella calda, confessando che gli mancava tanto quel periodo. Non accennò nulla sull’esperienza dei «Quaderni rossi», come io invece speravo, ma quel racconto del suo periodo napoletano, narrato con occhi fulgidi, ci fece perdere la concezione del tempo fino a ritardare di alcuni minuti l’inizio della discussione. In effetti, capii successivamente perché non fece minimo accenno a Panzieri e al gruppo dei «Quaderni rossi» durante la nostra conversazione: si riservò tutto il piacere di raccontare gli anni torinesi quando terminò la mia presentazione.

Parlava lentamente, ma con estrema lucidità riusciva a cogliere le peculiarità di quella ricerca teorica del neomarxismo italiano dei primi anni Sessanta, gli eventi politici che portarono poi al «lungo decennio», per poi infine delineare i limiti di quella stessa esperienza operaista dopo la rottura tra il gruppo dei «sociologi» e quello dei «filosofi» a guida Mario Tronti.

Alla fine della presentazione, e del dibattito che ne seguì, continuammo a parlare ancora di operaismo, ma anche degli sviluppi contemporanei del modo di produzione capitalistico e delle nuove soggettività sorte sull’onda dei cambiamenti tecnico-scientifici degli ultimi anni, ma discutemmo anche dei miei progetti futuri e della necessità di approfondire la mia ricerca sul neomarxismo. Qualche mese dopo l’iniziativa di Bologna, inaspettatamente, ricevetti una sua telefonata, e mi parlò dei lavori innovativi portati avanti dai compagni di «Napoli monitor», consigliandomi di seguire le loro inchieste. Poi, qualche giorno fa, ho letto la terribile notizia della sua scomparsa e vorrei provare, attraverso questo contributo, a ricordare la sua eccezionale figura di studioso e militante, concentrandomi perlopiù sugli anni torinesi dei «Quaderni rossi».

Come risaputo, la rivista fondata da Raniero Panzieri a Torino nel 1961, «Quaderni rossi», è stata la prima esperienza del neomarxismo italiano, e ha coinvolto numerosi giovani militanti e intellettuali, la cosiddetta generazione del «dopo-dopoguerra», già distaccata dalla tradizione storicista e incline ad accogliere le novità teoriche di quegli anni per comprendere esaustivamente gli stravolgimenti del neocapitalismo, ma soprattutto già impegnata politicamente a rivitalizzare la lotta sindacale attraverso il lavoro innovativo portato avanti dalla Camera del lavoro torinese.

Mottura proveniva dall’Unione socialista indipendente (Usi), formazione politica nata nel 1953 da una costola titoista del Pci su basi ideologiche antistaliniste e autogestionarie, e alla fine degli anni Cinquanta si trova a Torino a militare presso la Cdl torinese, che dopo gli ultimi congressi della Cgil iniziava a orientarsi verso la lotta in fabbrica. Come ricorda Vittorio Rieser, ancora prima dell’arrivo di Panzieri a Torino, insieme a Mottura e altri giovani militanti socialisti erano impegnati attivamente con la Camera del lavoro, che gli affidava dei lavori d’inchiesta e di mobilitazione in alcune fabbriche torinesi. Questo gruppetto di nuova generazione si era formato già nel ’57, pertanto il lavoro panzieriano su «Mondo Operaio» gli apparve come una «rivelazione», dal momento che erano interessati a ricercare una nuova via strategica per il movimento operaio. Infatti, come sottolinea ancora Rieser, le Tesi sul controllo operaio di Panzieri e Libertini si rivelarono come un importante tentativo per provare ad avviare una svolta a sinistra nel movimento operaio, che invece dopo l’«indimenticabile ’56» pareva ripiegare sulla scelta socialdemocratica. Le Tesi coinvolsero fortemente questo gruppetto torinese per la propria inclinazione di «comunisti libertari», da una parte, e di «giovani interessati alle problematiche della fabbrica», da un’altra, e si imposero come «il meglio che ci si potesse aspettare in quel clima» [1], scrive ancora Rieser.

Dunque, quando nel 1959 Panzieri si trasferì a Torino per lavorare presso l’Einaudi comincerà molto presto a trovare nuove intuizioni grazie all’incontro di nuovi soggetti, come gli operai dei grandi stabilimenti, che parevano indurlo al più presto a un diverso lavoro di ricerca, e un gruppo di giovani (perlopiù socialisti), che si erano avvicinati a lui nei due anni precedenti, ovvero durante l’incessante lavoro culturale svolto su «Mondo Operaio» e tra le pagine dell’«Avanti!», come già chiarito. Le giovani leve socialiste della Camera del lavoro torinese erano impegnate da anni in un lavoro teorico-politico decisamente innovativo, avendo questi avviato delle inchieste nelle principali fabbriche industriali per «percepire e analizzare» il clima nuovo affermatosi in quegli anni, indagando sulla possibilità di sviluppare «nuove linee» [2], come emerge dalla stessa testimonianza di Mottura. Ci riferiamo a giovani intellettuali-militanti socialisti come Mottura, Rieser, Edda Saccomani, Emilio Soave e altri, influenzati sicuramente dalla nuova linea sindacale del «ritorno alla fabbrica», ma che per inclinazione generazionale, quella del «dopo-dopoguerra» come già scritto, apparivano già disincantati nei confronti della tradizione storicista e proiettati verso le novità politiche di quegli anni di transizione. Panzieri risultò un interlocutore adatto a soddisfare le esigenze di questi militanti, in qualità della sua posizione privilegiata collocata «a cavallo tra tradizione e innovazione», avendo maturato un’esperienza consolidata nelle organizzazioni storiche del movimento operaio ed essendo contemporaneamente proiettato a elaborare nuove indicazioni politiche per la ricerca di un «antagonismo sociale che non si rassegnava a dichiarare spento» [3]. Questi nuovi rapporti, quell’entusiasmo diverso, quelle possibilità reali, posero seriamente fine alle illusioni, nutrite in precedenza da Panzieri, di poter incidere sulle organizzazioni di sinistra coinvolgendo i vertici dirigenziali, maturando piuttosto il convincimento di poter rinnovare la strategia politica attraverso lo sviluppo di una lotta operaia incentrata nei luoghi della produzione, convinto che la pratica di lavoro innovativa sperimentata dalla Camera del lavoro torinese in fabbrica e la ricerca da parte della Fiom di una propria autonomia dal partito fossero fattori propedeutici alla ripresa di una linea strategica anticapitalistica.

Quando l’esigenza di produrre un nuovo lavoro teorico attraverso una rivista diventò una possibilità concreta, Mottura assolse il delicato e importante ruolo, insieme a Rita di Leo, di ponte tra il gruppo «torinese», che andava ormai formandosi sotto la guida di Panzieri, e quello «romano» (Asor Rosa, Mario Tronti, la stessa di Leo). Di fondamentale importanza risulta una lettera stilata da Mottura e indirizzata a Tronti, scritta nel giugno 1961, ancora prima dell’uscita del primo numero dei «Quaderni rossi», all’interno della quale prevale la necessità di programmare un incontro a Torino col gruppo romano [4]. In quella stessa estate esce il primo numero dei «Quaderni rossi» con gli importanti contributi di Panzieri sull’Uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo e di Vittorio Foa sulle Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, che apre di fatto il primo «Quaderno». Mottura scrive all’interno di questo numero un importante contributo sulle lotte ai cotonifici della Valle di Susa, dichiarando immediatamente che l’intenzione principale resta quella di documentare le pratiche di lotta degli operai di questi stabilimenti più marginali, piuttosto che trarre conclusioni tempestive. A ogni modo Mottura, seguendo i diversi giorni di sciopero e l’evolversi delle trattative con i sindacati, riesce a cogliere dei fattori importanti in questi nuovi scenari di lotta, come l’acquisizione di una reale coscienza da parte degli operai dei diversi stabilimenti dei cotonifici della Valle di Susa dopo il primo periodo di serrate.

Risalgono invece alla primavera del ’62 alcuni appunti scritti da Mottura per provare ad avviare uno studio sulla «questione agraria», in particolare si propone di elaborare un’analisi da «Gramsci in poi», com’egli stesso scrive. Tuttavia, questo progetto non si concretizzò mai durante i lavori di pubblicazione dei «Quaderni rossi», come sperava, ma riuscì solo a pubblicare una Nota introduttiva allo studio di Mario Miegge su Riforma agraria e lotta contadina nella Marsica [5]. Solo più tardi, nel luglio 1969, riuscirà a pubblicare organicamente un documento che risultava essere il frutto del «lavoro collettivo svolto dal gruppo di studio sulla questione agraria formatosi in seno ai “Quaderni rossi” nel 1966». In questa testimonianza prevale la convinzione in Mottura della necessità di comprendere la «connessione» – e non la «contraddizione», attenzione – tra la città e la campagna, così come in precedenza aveva fatto studiando e confrontando l’organizzazione produttiva dei Cvs e la Fiat, ovvero tra i centri arretrati e quelli più industrializzati, e comprendere, infine, come la «integrazione che costruisce la società capitalistica», come insegnava Kautsky, risultava «una delle questioni centrali del marxismo in tutti i paesi in cui gli operai non sono maggioranza» [6].

Come sappiamo, dopo gli scontri di piazza Statuto (luglio 1962), Mottura e il gruppo «torinese» si stringe attorno alla decisione di Panzieri di rompere definitivamente con il gruppo «romano» e quello denominato «gatto selvaggio», che ormai sembravano inclini ad approdare a un progetto strettamente politico e contrastante manifestamente la linea strategica delle organizzazioni storiche del movimento operaio italiano. Raniero Panzieri muore nell’ottobre 1964, ma nell’aprile dell’anno successivo viene pubblicato il quinto «Quaderno», all’interno del quale è presente l’ultimo intervento del «Socrate socialista» [7] sull’inchiesta operaia. In questo stesso «Quaderno» Mottura scrive un articolo molto interessante, dal titolo Note per un lavoro politico socialista. Riprendendo alcuni spunti dell’intervento panzieriano, Mottura asserisce che l’inchiesta diventa lo strumento più idoneo per studiare i meccanismi dello sfruttamento capitalistico e per comprendere i comportamenti soggettivi della classe operaia nella nuova pianificazione sperimentata dal neocapitalismo. Partendo dalla constatazione marxiana della natura «dicotomica della società» capitalistica, l’inchiesta socialista è in grado di cogliere l’evoluzione sia del modo di produzione sia i processi di integrazione della classe negli sviluppi dell’organizzazione fordista della grande fabbrica. Per quanto concerne la prima analisi, il merito dell’inchiesta socialista è stato quello di comprendere il passaggio dal capitalismo di tipo concorrenziale, e quindi della «anarchia capitalistica», a una fase programmatica dello sviluppo «economico, tecnologico e politico nazionale», mentre per quel che riguarda lo studio dei comportamenti dei lavoratori salariati l’inchiesta ha assolto il compito di chiarire la natura della soggettività emergente nel neocapitalismo, registrando un importante «balzo in avanti della coscienza operaia, nella identificazione e nella denuncia dei meccanismi dello sfruttamento capitalistico, dentro e fuori della fabbrica». Il metodo dell’inchiesta socialista ha rivelato anzitutto la presenza massiccia di «giovani» operai, i quali erano «assai numerosi ovunque», inducendo gli intellettuali-militanti promotori dell’inchiesta a percepire la cosiddetta «spontaneità socialista» della nuova soggettività formatasi con i recenti sviluppi del neocapitalismo [8]. La nuova classe operaia, dequalificata, emigrata e impreparata politicamente, pareva adottare immediatamente una rivendicazione socialista nei confronti del moderno sfruttamento di fabbrica, puntando a contrastare la radice del potere neocapitalistico, ovvero la gestione della produzione. Tuttavia, Mottura osserva che, nonostante questi segnali positivi emersi nel corso delle inchieste socialiste del gruppo formatosi con i «Quaderni rossi», la lotta anticapitalistica registra una pericolosa e improvvisa stasi dopo l’exploit dei primi anni Sessanta. Mottura scrive nel 1965, quando la classe operaia vive una «nuova atomizzazione» all’interno della fabbrica, pertanto si interroga sulle cause della «mancata stabilizzazione» di un movimento con aspirazioni anticapitalistiche. Riprendendo la lezione panzieriana sull’inchiesta, anche Mottura espone la differenza fondamentale tra l’inchiesta condotta nei momenti più dinamici della lotta e quella portata avanti nei momenti più statici per comprendere come lo «sviluppo capitalistico» riesce a frenare la spinta dei lavoratori salariati e come si organizza nei «diversi livelli dei meccanismi aziendali e sociali di sfruttamento» [9].

I «Quaderni rossi» pubblicheranno sino al 1966, successivamente i diversi intellettuali e militanti del gruppo presero strade diverse. Mottura proseguì gli studi di sociologia e in particolare si specializzò sui temi dell’agricoltura, del Mezzogiorno e del mercato del lavoro. Come risaputo, si trasferì a Portici per studiare presso la Scuola di sociologia agraria diretta da Manlio Rossi Doria, portando avanti delle ricerche molto significative sull’agricoltura meridionale. Infine, all’Università di Modena e Reggio Emilia, Mottura conclude il suo percorso accademico occupandosi di immigrati, focalizzando principalmente l’attenzione sul ruolo che occupano nel mercato del lavoro e in generale sulla funzione sociale della forza-lavoro emigrata.

Concludendo, possiamo osservare che la «nuova atomizzazione» che vive la classe operaia nel biennio 1965-66 viene interpretata da Mottura come il logico sviluppo di un processo di mobilitazione che non è riuscito a trovare la giusta direzione, dal momento in cui ha orientato la carica rivendicativa specialmente nella contrattazione salariale. A ogni modo, Mottura tenta di elaborare ancora una metodologia di ricerca coerente con i recenti sviluppi del neomarxismo italiano, mentre una parte del gruppo politico di «classe operaia» comincia a orientarsi verso il Partito comunista, promuovendo la cosiddetta «manovra dell’entrismo di massa» [10].

Mi preme concludere questo breve contributo riportando una frase tanto cara a Mottura, e ripresa da una lettera che Marx indirizzò al comunista Weitling, ovvero «l’ignoranza non ha mai giovato a nessuno» [11]. Questa frase l’ho ritrovata più volte tra le sue testimonianze sul marxismo italiano degli anni Sessanta, e poi l’ascoltai pronunciata dallo stesso durante la presentazione del mio libro su Panzieri a Bologna. Questa citazione, che come chiarisce Mottura non deve alludere a una presunta «impostazione intellettualistica» [12], racchiude coerentemente il metodo teorico e la sperimentazione pratica che Mottura ha adottato durante l’intero corso della sua militanza politica: la capacità di indagare costantemente sui processi di trasformazione della società dicotomica capitalistica e sulle soggettività emergenti, o la necessità di interpretare il marxismo come una scienza aperta e capace di confrontarsi con le altre scienze sociali per elaborare un’analisi globale dei processi di riproduzione sociale.



Note [1] V. Rieser, Testimonianze, in L’operaismo degli anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «classe operaia», a cura di G. Trotta e F. Milana, DeriveApprodi, Roma 2008, pp. 754-755. [2] G. Mottura, Testimonianze, in Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, a cura di P. Ferrero, Edizioni Punto rosso, Milano 2006 (I ed. 2005), p. 204. [3] M. Revelli, Dimenticare Panzieri?, in Raniero Panzieri, cit., p. 24. [4] Mottura a Tronti, 30 giugno 1961, in L’operaismo degli anni Sessanta, cit. pp. 115-116. [5] G. Mottura, Nota introduttiva, «Quaderni rossi» n. 6, maggio-dicembre 1965, pp. 141-150. [6] G. Mottura, Per la storia della «questione agraria», in L’operaismo degli anni Sessanta, cit., pp. 223-225. [7] Espressione utilizzata da Stefano Merli per descrivere Panzieri. [8] G. Mottura, Note per un lavoro politico socialista, «Quaderni rossi» n. 5, aprile 1965, pp. 55-57. [9] Ivi, pp. 60-61. [10] Per «entrismo di massa» si intende la manovra politica attuata da M. Tronti, A. Rosa e M. Cacciari di aderire al Partito comunista dopo la fine dell’esperienza di «classe operaia» (1967). In particolare, Tronti maturava la convinzione che soltanto l’intervento di un grande partito operaio e di massa, come quello comunista, sarebbe stato funzionale per il recupero della soggettività di classe espressa nuovamente in quegli anni, la quale anticipava il «lungo decennio» italiano, negando quindi la possibilità di alternative politiche concrete. Emergeva la concreta possibilità, secondo il gruppo dirigente di «classe operaia», di orientarsi seriamente verso il Pci che si preparava all’XI Congresso elaborando nuove formule, come «partito unico» e «partito in fabbrica», le quali lasciavano auspicare al gruppo militante-redazionale la possibilità di spaccarlo. [11] G. Mottura, Testimonianze, in Raniero Panzieri, cit., p. 209. [12] Ibid.


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Marco Cerotto (1994) si è laureato in Scienze storiche all’Università Federico II di Napoli. Si occupa del rapporto critico tra l’operaismo italiano e la Neue Marx-Lektüre. Ha pubblicato, nella collana input di DeriveApprodi, Raniero Panzieri e i «Quaderni Rossi» Alle origini del neomarxismo italiano (2020).

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