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Il fuoco e il cuoco

Storia di un legame magico






Pubblichiamo la prefazione e uno stralcio del libro di Roberto Gelini Il fuoco e il cuoco. Storia di un legame magico, di recente pubblicazione per DeriveApprodi, e la prefazione di Mauro Carbone. Il fuoco è all'origine della civiltà umana. Ma quando e come l’uomo ha cominciato a prenderne confidenza? E come è cambiata la sua vita grazie a questo rapporto? Stare «intorno al fuoco» rappresenta un’idea primigenia di società. Con il fuoco comincia la comunità solidale che insieme caccia o raccoglie. Con il fuoco si produce quel «luogo» in cui essere accolti, i cui immateriali confini sono disegnati dai corpi assisi vicino al falò. È poi attraverso la cottura del cibo sul fuoco che tutte le altre forme di rapporto umano con questo elemento sembrano essere derivate, ed è grazie a esso che può farsi strada lo stesso Homo Sapiens.


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Mauro Carbone

Là dove vivo, non posso cucinare col fuoco. E mi manca parecchio. Perché anche in questo Roberto Gelini ha ragione: col fuoco ci si dialoga. Tu gli chiedi e lui ti risponde. Subito. Non solo di notte su una spiaggia o davanti a un caminetto. Anche in cucina. Niente di ciò con un fornello elettrico o una piastra a induzione: la loro tecnologia s’interpone rendendo il tuo intervento laborioso, lento, poco efficace. Impersonale. Altroché dialogo. Attenzione, però: con ciò non voglio a atto fare un discorso «tecnofobico». Anche perché il filosofo francese Gilbert Simondon ha definito il fuoco «il più importante mezzo tecnico» delle culture umane. E in questo piccolo libro Gelini ricorda, sintetizza e aggiorna i contorni affascinanti di alcune delle più importanti scoperte fatte a proposito della preistoria e della storia dei nostri rapporti con esso, in special modo quelle relative alla cottura, per certi aspetti così determinanti. Piuttosto, quello che m’interessa è segnalare, con la mia esperienza personale, uno dei meriti, rari e preziosi, di questo lavoro: quello di farti vedere nella sua profondità qualcosa che hai da tempo sotto gli occhi senza farci caso. Perché il problema non è solo quello di non poter cucinare col fuoco. A casa mia ci sarebbe un caminetto, che tuttavia, suppongo da parecchio tempo prima che io venissi ad abitarci, è stato reso inutilizzabile per obbedire a indiscutibili norme antincendio. Così, a volte d’inverno ci si risolve a cercare su youtube un innocuo video di caminetto crepitante. Peggio che bere caffè senza caffeina o mangiare pesto senza aglio, tanto per riprendere esempi cari a Slavoj Žižek che hanno a che fare col fuoco e col cuoco. Eppure il fiorire di quei video come di altri surrogati dei caminetti segnala un’esigenza significativa di non rinunciare completamente al nostro dialogo col fuoco. Segnala dunque l’importanza che per noi quel dialogo non smette di avere. Perché, come ricorda l’esergo del primo capitolo di questo testo, «la socializzazione attorno a un fuoco potrebbe in realtà essere un aspetto essenziale di ciò che ci rende umani». Infatti, come sempre accade, il dialogo a lungo andare cambia i connotati di coloro che dialogano. E quello nostro col fuoco è un dialogo dal lunghissimo andare, che addirittura precede la comparsa dell’homo sapiens e anzi l’ha favorita. Leggetene i particolari appassionanti che Gelini qui racconta. Ecco allora che la tendenziale scomparsa del fuoco dall’esperienza quotidiana di parecchi di noi – con tutto quanto di negativo ma, beninteso, anche di positivo essa comporta – se ha un valore di sintomo, non va trascurata né sottovalutata, vista la portata che il dialogo con esso ha avuto nel farci divenire quello che siamo. Va anzi ben meditata. E discussa insieme. Proprio come se si fosse attorno a un fuoco.


Accendere un fuoco – Roberto Gelini

Se si è da soli, apprestarsi ad accendere un fuoco è quasi come dar vita a un’altra presenza, accudirla, prendersene cura: una presenza che risponde alle sollecitazioni e richiede un dialogo continuo, attenzioni e gesti semplici ma precisi, e risponde con efficacia facendosi sentire e notare. Tiene compagnia, scalda, e aiuta a cucinare. Se si è in due o più, allora il fuoco assume le caratteristiche di un convitato speciale, come l’amico comune di vecchia data, il confidente di ciascuno se ne avvicini anche solo per pochi istanti, attratto dal crepitio; o come l’amico che tutti non vedevano l’ora di rivedere e che ora si mette in mezzo e a ciascuno si rivolge, ognuno scalda, illumina e abbraccia con delicatezza o forza. C’è tutta una più che millenaria prossemica del rapporto umano col fuoco inscritta nei nostri corpi: una vera e propria disciplina semiotica tanto caratteristica, profonda e consolidata da parere innata. Un cerimoniale fatto di gesti, sguardi, comportamenti, spazi e distanze all’interno di una comunicazione, talvolta addirittura verbale, ma soprattutto non verbale, con l’elemento fuoco. Nell’immediatezza e meccanicità di una fiamma a gas, o di una resistenza elettrica, tutte queste qualità paiono svanire, scomparire, venir dimenticate: il calore sembra allora essere più astratto, mentale, regolare. Non appare più come una presenza. Alla bisogna, lo si può caricare opportunamente, ma è meglio tenerlo sempre d’occhio: può rimanere vivo anche quando sembra morto, sotto una coltre di cenere. Anche il fuoco può dormire e risvegliarsi. Per accenderlo, poi, da quando ci sono fiammiferi e accendini, a far la differenza son le dimensioni dei pezzi di legno: prima i più piccoli e man mano quelli via via più grossi. E in questa sequenza, pure dall'alto al basso, come per accendere un camino: i tocchi grossi sotto, a sostenere un castelletto, che va poi a comporsi con rametti sempre più piccoli, che saranno a loro volta i primi a bruciare con l’aiuto di un innesco costituito da un’esca, tipo foglie secche, fieno o dei pezzi di carta ben asciutti, lambita da una fiamma. Nella piromania dev’esserci sicuramente anche un lato atavico, incosciente, mai sopito e tutt’altro che distruttivo che chiede d’esser risvegliato. Niente a che fare col dolo, ch’è invece distintamente calcolatore e distruttivo. Disporsi intorno a un fuoco, dunque, o davanti a un fuoco: ma prima allestirlo, prepararne gli elementi propiziatori, accenderlo, vederlo partire e poi crescere, curarlo. Alimentarlo, cercare di regolarizzarlo. Guardarlo. Fissarlo fino a perdercisi nei pensieri di qualcos’altro. Danzarci attorno, una festa, saltarci sopra correndo il rischio, una sfida, oppure vederci morire un ciclo e rinascere qualcos’altro, in un falò stagionale. Le pagine del Ramo d’oro di Frazer dedicate al fuoco ce ne offrono ricorrenze festive europee diffusissime fino ad almeno gli inizi del secolo scorso: e per altro ce ne presentano la dimestichezza e i ruoli importanti, in moltissimi casi, pure di bambini e giovani di entrambi i sessi. Il fuoco ha qualcosa anche del gioco, trascina presto e inavvertitamente in una dimensione temporale tutta sua, o nostra. Pare allora come uno specchio, non tanto e non soltanto delle nostre sembianze, del nostro aspetto, quanto dei nostri pensieri, delle nostre paure, delle nostre speranze e dei nostri godimenti. Non sono soltanto le acque profonde a evocare e risvegliare l’inconscio, ci riesce benissimo anche il fuoco, ma forse con molta più forza. Quando lo miriamo siamo spesso portati all’immaginazione, alla riflessione: sarà per il suo continuo movimento sul posto? Può diventare anche ipnotico in talune circostanze, forse perché in questi casi ammorbidisce e lenisce ogni stanchezza e fa come assopire, o focalizza l’immagine di qualcosa da cui non si riesce a prender le distanze. Altre volte, però, eccita, anzi sovraeccita gli animi e li infuoca, li infervora e li scatena. Scalda gli sguardi fino ad arrossarli, come pure i discorsi o i contatti. Può sembrare esagerato pensare al fuoco come a una presenza: in fondo è solo l’effetto di una combustione a cui partecipano un combustibile, un comburente e una fonte di calore. Ma dalla notte dei tempi è stato divinità, compagno e strumento distintivo, elemento divino e sacro, elemento trasformativo e fattore privilegiato per le prove di forza e di verità, fratello e alter ego, simbolo di morte e di rinascita, nemico terrorizzante. Caratteristiche del genere non si cancellano in un secolo. Quante azioni, quante trasformazioni, quante alchimie, dissezioni, quante unioni e quanti lutti in prossimità di un fuoco. Purtroppo negli ultimi tempi non è più così facile (e nemmeno sempre permesso) fare un fuoco: non soltanto nei centri abitati, ma anche in riva a uno specchio d’acqua, pei campi o nei boschi. Per ovvi motivi più che comprensibili. Ma lontano dalla cosiddetta civiltà, tra le baracche, tra le capanne, nelle periferie e via dalla città, milioni di fuochi vengono ancora necessariamente accesi per cucinare, scaldarsi e sopravvivere. O sperimentare e immaginare esperienze che han bisogno di uno stacco, una distanza dai tempi frenetici e omologati della sempre maggiore e più fugace velocità.



Immagine: Thomas Berra


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Roberto Gelini è artista, decoratore e illustratore. Con Sergio Bianchi cura l’iconografia della rivista «Machina». Ha scritto testi di carattere filosofico per numerose riviste. È autore di vari saggi e ha tradotto opere di filosofia e di cultura materiale.

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