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Franca Sacchetti, il dovere della biografia di una militante comunista



Riproduciamo qui di seguito la biografia di Franca Sacchetti [1], militante del Pci bolognese, scritta il 4 novembre 1950.


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La casa editrice Quodlibet ha riproposto recentemente il bel saggio di Mauro Boarelli La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti (1945-1956), uscito in una prima edizione nel 2007 per Feltrinelli. Seguendo una tradizione comunista di stampo sovietico, in quegli anni i militanti comunisti del Pci erano tenuti a predisporre un proprio ritratto, una propria scheda biografica da dare al partito. Nel libro di Bruno Grieco, Un partito non stalinista [2], sono ad esempio riportate le tre biografie del dirigente comunista Ruggiero Greco redatte a Mosca a distanza di pochi anni tra il 1932 e il 1940, biografie che erano utilizzate dalle strutture staliniane come straordinari mezzi di controllo. «Dimenticare» qualcosa in un proprio ritratto, cosa che si poteva rivelare semplicemente mettendo a confronto biografie successive, costituiva una mancanza grave e un elemento di sospetto. Silenzi, rapporti, incontri, scritti, prese di posizione nella battaglia politica nel corso della propria vicenda politico-personale, potevano diventare fatali, se si riferivano a personaggi o situazioni caduti in disgrazia o in odor di eresia. Per esempio, l'iniziale solido rapporto politico tra Ruggiero Grieco e Amadeo Bordiga fino al 1925, non impedisce a Grieco di diventare segretario del Pci dal 1934 al ʼ38, ma quel rapporto resta una «macchia» indelebile, che può emergere a ogni occorrenza.

Il merito di Mauro Boarelli è di aver lavorato non sulle biografie dei dirigenti del Partito comunista, ma su quelle di milleduecento militanti di base del Pci bolognese, i cui ritratti, per mole, costituiscono come facilmente intuibile, un patrimonio straordinario sia di scrittura popolare, sia in termini di fonti per una comprensione di come siano state recepite a livello molecolare le proposte teoriche e le linee politiche del partito in una fase importante all'indomani della Resistenza e nel decennio che va dalla nascita del «Partito nuovo» togliattiano fino all'incredibile 1956, segnato dalle rivolte polacca e ungherese e dal XX Congresso del Pcus, con il terremoto seguito alla denuncia dei crimini staliniani da parte di Chruščëv. Proprio con il 1956 la pratica delle autobiografie termina. L'innovazione di metodo di Boarelli non è di poco conto se si confronta ad esempio con la Storia del Partito comunista italiano [3] di Paolo Spriano, datato monumento della storiografia ufficiale del Pci, che delimita programmaticamente la propria attenzione alla storia del gruppo dirigente del partito.

Nell'introduzione Boarelli richiama Militanti politici di base [4], l'ineludibile opera di Danilo Montaldi, «primo tentativo di interpretare i percorsi biografici e le autorappresentazioni di uomini e donne che, in epoche diverse, avevano scelto l'impegno politico», riconoscendo a Montaldi la capacità di mettere «a fuoco e anticipare nodi metodologici e storiografici che la ricerca ha tardato a riconoscere e ha mancato di approfondire» [5], a partire dalla considerazione che «le organizzazioni politiche hanno uno spessore, una corposità e una dimensione più vasta di quanto esprima semplicemente "la linea", la quale è uno soltanto - anche se alla fine determinante per il suo sviluppo a lunga scadenza - degli elementi di vita dell'organizzazione» [6]. Osservazione quanto mai opportuna in questo momento in cui sono messe in campo proposte di lavoro collettivo come Archivio Autonomia e la collana Gli Autonomi di Deriveapprodi giunta ormai al decimo volume. Indagare la soggettività militante, fino alla sua dimensione esistenziale, a noi interessa.

Montaldi, nelle prime righe del suo testo, individua «nel militante politico di base il fattore attivo che da una condizione e cultura assai specifiche tende al massimo scopo di organizzare la classe di cui fa parte e di ricostruire la società», a distanza di diverse generazioni politiche Gigi Roggero lo definisce come «colui o colei che mette interamente in gioco la propria vita» [7]. Così in Militanti Franco Milanesi sintetizza il senso dell’appartenenza a quel tipo particolare di collettività che trova senso e identità nel progetto politico. Il gruppo «organizza la forza per il cambiamento; esprime, come sistema di solidarietà, la prevalenza delle ragioni del tutto sulla volontà individuale; definisce strategicamente la possibilità del progetto; ha una funzione prefigurante, del mondo e della comunità a venire». Per il soggetto il gruppo «non è solo un luogo di elaborazione strategica e attività. È, innanzi tutto, unione di persone che condivide progetti, valori, visioni del mondo. Nel gruppo insomma si deve esperire quella condizione dell’essere-a-casa-propria, del legame interno tra eguali e del riconoscimento» [8]. L’organizzazione politica comporta pertanto una sorta di trascendenza tanto dal piano dell’immanenza (il progetto come alterità dallo stato delle cose in atto) quanto dall’individualità e dal suo mero interesse, ulteriormente ridotto alla dimensione mercatoria.

Un capitolo di notevole interesse de La fabbrica del passato è quello intitolato Sconfinamenti, in cui Boarelli analizza gli indizi, più o meno espliciti, di quando la scrittura dei militanti esce dal «confine della scrittura» definito dal Partito-committente. Questi ritratti, queste biografie, non sono scelte dai militanti, la loro stesura è definita dal partito, non siamo nel campo della rivendicazione orgogliosa del «diritto all’autobiografia», ma in quello più oscuro del «dovere dell’autobiografia»… Eppure, osserva correttamente Boarelli, questi ritratti non sarebbero stati possibili senza «una forte componente di accettazione e di condivisione da parte degli autori».

Marco Boarelli, che ringraziamo per l'autorizzazione a pubblicare uno dei ritratti di una militante comunista bolognese tra quelli che ha raccolto, è anche l'autore insieme a Carlo Ginzburg e Nadia Urbinati, del libro Il ʼ77, da vicino e da lontano, Biblioteca de L'archiginnasio, Bologna 2019.

Franca Sacchetti [9]


SACCHETTI FRANCA di Vittorio e della Mandelli Rita nata [nel 1919] abitante a Bologna [...] di professione operaia.


Sommario: 1° Origine sociale 2° Formazione del carattere 3° Perché sono entrata nel P.C.I. e la mia attività per il Partito 4° Le mie deficienze 5° Brevi conclusioni

Origine sociale

La mia famiglia ha una origine sociale contadina, nella famiglia di mio padre i figli maschi erano costretti ad emigrare causa la grande disoccupazione, così che mio padre appena sposato passò un lungo periodo in Germania a lavorare in un cantiere metallurgico.

La vita fino all'età di 15 anni l'ho trascorsa sulle colline della Provincia di Bologna [...].

Nel periodo delle scuole elementari trovavo sovente da bisticciare coi ragazzi della mia età perché non potevo concepire che solo perché ero una bambina dovessi stare sottomessa, in questi litigi riuscivo spesso a bussarli.

Avevo delle caratteristiche particolari che si manifestavano anche quando terminate le scuole elementari per le condizioni di estrema miseria in cui versava la mia famiglia, i miei genitori a più riprese tentarono di mandarmi a servizio seguendo le sorti dei miei fratelli. La mia istintiva avversione verso questa forma di servaggio era talmente forte che dopo alcuni giorni me ne ritornavo a casa. Preferivo le miserie della mia casa, miseria che era di tutti gli abitanti della nostra montagna, o per lo meno della grande maggioranza di essi, l'unica strada per tentare di mitigare questa situazione era che le figlie delle famiglie montanare andassero a servizio dai ricchi della città, ma quando questo umile lavoro doveva svolgersi attraverso tutta una mimica servile che io odiavo, mi ribellavo, odiando in tal modo anche le persone che tale sistema appoggiavano ed esigevano.

Nel 1935 la mia famiglia si trasferì a Bologna perché una sorella ed un fratello erano a servizio in città e i due fratelli maggiori sposati. Dovemmo vendere roba di casa per poter mangiare per un po' di tempo. L'anno seguente trovai lavoro presso il zuccherificio, dove vi rimasi per quattro anni alleviando così in parte le condizioni della mia famiglia.

Nel 1939 fu per me un anno molto disagiato sotto ogni aspetto: dovetti due operazioni chirurgiche, quindi il lavoro in fabbrica fu scarso e di conseguenza fui licenziata cosicché rimasi disoccupata quasi sempre fino al 1946, anno in cui mi occupai [in fabbrica] dove anche attualmente lavoro.


Formazione del carattere

In questo periodo di transizione sono successi avvenimenti che hanno caratterizzato la formazione del mio carattere, tenendo presente la mia provenienza che come ho detto è contadina.

Sono sempre stata di carattere chiuso, cioè non esprimevo a nessuno i miei pensieri strettamente personali, le mie gioie o le mie tristezze.

Amavo la solitudine e mi piaceva leggere libri gialli o storici.

Avevo il fidanzato che era di origine benestante, il quale dopo alcuni anni mi rese madre, piansi amaramente per i pregiudizi che ancora avevo e soprattutto per i continui disaccordi che avevo con lui originati da un diverse carattere, modo di fare e di pensare, fu per questo motivo fondamentale che alcuni mesi dopo la liberazione preferii mantenere mio figlio con il mio lavoro piuttosto che divenire una moglie infelice di un tale uomo che tra l'altro aveva aderito alla repubblica di Salò.

La guerra fu l'elemento particolare che influì sul mio temperamento: avevo sempre pensato che per non accettare la vita così come si presentava, con le sue miserie e privazioni, una sola strada potesse portare risoluzione a questo stato di cose, ma queste ribellioni impulsive che si manifestavano nei periodi in cui la miseria raggiungeva i limiti estremi, sono sempre riuscita a frenarle con una forza istintiva di cui oggi ne sono grata.

Grata soprattutto al Partito che non solo mi ha fatto conoscere le cause di questi mali, ma anche la coscienza del come sanarli, nella lotta comune che la classe operaia conduce per un migliore sistema di vita, per l'abbattimento di questa società responsabile delle condizioni di abbruttimento morale e materiale in cui il popolo e costretto a vivere.

Durante la guerra ero sfollata nella zona di Marzabotto, il terrore dei bombardamenti mi portava a trascurare tutto quanto avevo attorno: vita, cose, uomini, che non fosse mio figlio. Ho incominciato allora ad odiare: odiare coloro che erano responsabili di tante sciagure anche se ancora non riuscivo a determinarli e coloro che con essi erano d'accordo e li assecondavano. Con grande soddisfazione furono accolti tra le famiglie montanare gli avvenimenti del 25 luglio e dell'Ottobre - Settembre 1943. Furono accesi falò in vari punti della montagna, ma fu semplicemente una festa non compresa nel suo vero significato questo fu cosi anche per me, non seppi cogliere i motivi profondi da cui questi avvenimenti erano scaturiti ed erano legati. Solo più tardi compresi che non era sufficiente essere soddisfatti del cambiamento di determinate situazioni politiche-sociali ma che bisognava fare qualcosa per contribuire ad ottenere, da essi, il massimo dei risultati.

Udivo spesso parlare di partigiani, ne conoscevo alcuni, dalle loro azioni, dalla loro vita, ma non trovai sufficienti motivi per partecipare a questo intrepido movimento pur tuttavia ebbe la mia grande ammirazione e in misura limitata il mio contributo.

Perché sono entrata nel partito comunista e la mia attività

La mia famiglia con i parenti più vicini sono sempre stati antifascisti, ma più per istinto che per deliberata volontà di lottare attivamente benché molestati e perseguitati da elementi fascisti nel periodo 1920-21. Nonostante questa avversione, ma passiva, la mia casa è stata frequentata da alcuni elementi fascisti (conoscenti) prima della guerra quando cioè dei problemi sociali non avevo nessun pensiero; anzi pensavo che fossero riservati soltanto agli uomini.

La guerra, i bombardamenti, la lotta di liberazione hanno tracciato una profonda impressione nel mio carattere, cosicché a liberazione avvenuta mi sono iscritta immediatamente all'U.D.I., consigliata anche da mio fratello.

In queste riunioni fui avvicinata da una compagna che mi propose di iscrivermi al Partito. Solo alla seconda volta che questa compagna mi parlò mi fece comprendere il legame esistente tra la lotta di resistenza ed il P.C.I. e fu così che nel mese di maggio aderii al Partito.

Fin dalla prima riunione capii che era il mio ambiente, cioè che vi era qualche cosa di particolare che mi attirava, ma che solo più tardi capii questo motivo profondo che mi aveva interessato al primo istante. Feci anche un intervento così come ero capace, non avevo mai parlato in pubblico. Penso che questo abbi fatto impressione ai compagni della Sezione [...] perché fui chiamata a parte finita la riunione e mi fecero alcune domande a cui seppi rispondere: di che cellula ero, ecc. Confesso che rimasi sorpresa quando udii parlare di quadri, mi guardai attorno, non avevo capito che cosa intendessero, mi fu proposto di andare in Sezione due volte la settimana a svolgere un lavoro che mi avrebbero detto.

Cosi ho iniziato la mia attività per il Partito prima come se Segretaria di cellula, poi come responsabile femminile di sezione negli anni 1946-47. Ho sempre svolto il mio lavoro con molta passione anche con le mie limitate capacità i risultati non erano sempre come avrei voluto. Inoltre le condizioni familiari: la madre spesso ammalata e sola donna in casa, sono sempre state di ostacolo ad una mia intenzionale intensità di lavoro per il Partito od Organismi di massa.

Nel 1947 ho frequentato il corso di scuola di Partito durato due mesi che nonostante le difficoltà di insegnamento, di ambiente, di studio anche, mi ha contribuito molto per ampliare le capacità politiche ideologiche che mi servono tuttora nello svolgimento dell'attività attuale.

Nel 1946 sono entrata [in fabbrica].

La fabbrica mi ha fatto conoscere un ambiente nuovo per me, nuovo perché cominciavo a capire quale valore aveva il lavoro per il popolo e per il paese ed oltre a questo elemento fondamentale della vita degli uomini, nella fabbrica, le contraddizioni della lotta di classe sono più acuti e di percezione diretta temprando così i quadri dirigenti della classe operaia.

La fabbrica è stata per me la prima scuola dove ho trovato la spiegazione dello stato d'animo in cui mi trovavo di fronte alle tante ingiustizie commesse dai fascisti, e fra queste le elemosine che facevano ai gruppi rionali, che ho assistito.

Stato d'animo che mi portava a scoppi d'ira improvvisi ma allo stesso tempo pur pensando che un giorno una forza sarebbe venuta e avrebbe condannato questo sistema, non riuscivo a spiegarmi nella mia ribellione, l'accettare tutto quel mondo di ingiustizia.

Nella fabbrica ho conosciuto questa forza, la vita collettiva mi ha portato ad amarla sempre di più, e credo di non sapere ancora quali grandi possibilità di forza la classe operaia può sprigionare dal suo seno, nonostante io stessa ne faccia parte integrante.

Anche sul posto di lavoro ho svolto attività per il Partito e poco più tardi per la Commissione Interna, organismo del quale anche attualmente ne faccio parte.

In un primo tempo alle compagne della fabbrica non garbava molto che una nuova venuta fosse segretaria di Cellula, ma col tempo e soprattutto col lavoro che ho svolto ho superato questa situazione, cosicché sono stata responsabile femminile della fabbrica e oggi responsabile femminile di sezione. [...]

Nel Congresso provinciale nel 1947 sono stata eletta nel comitato federale questo mi ha riempita di orgoglio, ma oggi, dopo tre anni che ne faccio parte mi sembra di non svolgere una attività tale che questa responsabilità impone, dovuto a motivi familiari, ma anche alle mie limitate capacità, perciò di fronte a compagni che hanno maggiori possibilità e capacità mi sento un po' scoraggiata.


Le mie deficienze

Una delle maggiori deficienze che mi sono state rilevate e che ho riconosciute, è il mio temperamento un po' impulsivo.

I compagni della fabbrica mi hanno fatto comprendere la incompatibilità del mio carattere con il lavoro di massa che devo svolgere nella Commissione Interna.

Io stessa me ne sono accorta impostando problemi, discutendo con compagni e lavoratori notavo la loro non completa soddisfazione di quanto dicevo quindi, accettando la critica ho dovuto modificare il mio modo di fare. Mi sono imposta di superare questa deficienza, ma è una lotta molto difficile e dura, oggi pur riconoscendo notevoli miglioramenti ho ancora molto cammino da percorrere per essere veramente una militante degna di appartenere al P.C.I. e nell'esplicamento dell'attività di partito o di massa godere della fiducia e della simpatia di tutti i compagni e di tutti i lavoratori. Questo perché sono cosciente che se il Partito è forte, se i suoi dirigenti e militanti godono della fiducia delle masse lavoratrici, e possibile svolgere questa azione necessaria per portare sotto la bandiera della democrazia progressiva la maggioranza della popolazione attiva italiana nella lotta per l'abbattimento della società capitalista con tutte le sue contraddizioni, le sue sovrastrutture ed i suoi pregiudizi per creare una società dove gli uomini sono tutti fratelli: la società socialista.

Per me il Partito è l'elemento indispensabile per raggiungere il socialismo, per questo ho una grande fiducia e non ho mai auto alcuna manifestazione anche solo di pensiero, contro la sua linea politica, pur discutendone l'applicazione.

L'esperienza del Partito, nell'attività pratica e nella scuola frequentata mi ha servito molto nella formazione del carattere, nello sviluppo culturale e politico e nel superamento di alcuni pregiudizi, in particolare del problema religioso. Da giovinetta credevo in un ente miracolistico pur disprezzando la figura del prete, la guerra mi ha resa perplessa di fronte a questo potere ed il Partito mi ha resa cosciente che i problemi

sociali si risolvono solo con le capacità di lotta della classe operaia. Per questo ho una grande fiducia nella classe operaia, nel Partito del P.C.I. che ne è guida sicura per la realizzazione delle sue aspirazioni che la storia ha ormai sanzionato.


Brevi conclusioni

Cosa mi hanno servito l'esperienze del Partito?

Mi hanno servito molto, hanno fatto di me una donna che ha trovato la fiducia nell'avvenire, un avvenire di prosperità e di progresso. Mi ha dimostrato il legame esistente tra la mia situazione individuale e quella di milioni di miei simili e che soltanto la soluzione di questa può portare giovamento anche alla mia. Ecco la grande meta che stà dinanzi a noi, ma per realizzare questo è necessario sviluppare ancora di più l'attività del Partito, fare di esso la forza dirigente capace di guidare il popolo italiano verso la sua emancipazione. L'attività del Partito nelle diverse responsabilità che ho avuto ed in particolare la scuola che ho frequentato che solo più tardi ho riconosciuto la grande utilità, mi hanno fatto comprendere i compiti del partito e soprattutto cos'è il Partito.

Ho compreso così che la vita di Partito è parte integrante della mia vita, seppure delle volte debbo tenere conto delle difficoltà familiari, ma nonostante questo continuo nel mio lavoro cercando di sviluppare le mie capacità per adeguarle alla situazione perché ho un'unica aspirazione, quella di imparare sempre di più per essere sempre di più degna di appartenere al Partito e di essere sempre più utile al Partito nella realizzazione del programma che stà alla base della sua attività.



Note [1] M. Boarelli La fabbrica del passato, cit., pp. 288-294. [2] B. Grieco, Un partito non stalinista. Pci 1936, «Appello ai fratelli in camicia nera», Marsilio, Venezia 2004. Biografia di Ruggero Grieco del 1932 (?) per il Comintern, pp. 222-2332; Biografia di Ruggero Grieco del 1938 scritta dal Comintern con i giudizi di Togliatti, Germanetto e Berti, pp. 232-235; Ritratto di Ruggero Grieco del 1940 dopo l'arrivo a Mosca, pp. 235-245. [3] P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, (5 voll.), Einaudi, Torino 1967-75. [4] D. Montaldi, Militanti politici di base, Einaudi, Torino 1971, p. XI. [5] M. Boarelli La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti (1945-1956), Quodlibet, Macerata 2020, p. 30. [6] D. Montaldi, Saggio sulla politica comunista (1919-1979), Edizioni Quaderni piacentini, Piacenza 1976, p. 18. Oltre alla raccolta di ritratti di Danilo Montaldi, possiamo ricordare altri lavori importanti di questo livello, come ad esempio Fiat confino. Storia della O.S.R. di Aris Accornero uscito per le edizioni Avanti" del 1959 che raccoglieva una trentina di storie di vita di militanti sindacali di fabbrica (anche in A. Accornero, V. Rieser, Il mestiere dell'avanguardia. Riedizione di «FIAT confino» di Aris Accornero, De Donato, Bari 1981), oppure la serie di ritratti di operai Fiat, protagonisti delle lotte dell’Autunno caldo proposte da Gabriele Polo (I tamburi di Mirafiori. Testimonianze operai attorno all’autunno caldo alla Fiat, Cric editore, Torino 1989) o Sguardi ritrovati, che ricostruisce le biografie di una settantina di militanti di organizzazioni armate uccisi a partire dal 1969 (F. Maranta, Sguardi ritrovati. Progetto memoria, Sensibili alle foglie, Roma 1995), fino alle più recente ventisei interviste raccolte nel volume Gli operaisti (G. Borio - F. Pozzi - G. Roggero, Gli operaisti, Deriveapprodi, Roma 2005). [7] G. Roggero, Elogio della militanza. Note su soggettività e composizione di classe, Deriveapprodi, Roma 2016, p. 204. [8] F. Milanesi, Militanti. Un’antropologia politica del Novecento, Edizioni Punto Rosso, Milano 2010, p. 106, 108. [9] Autobiografia dattiloscritta, 4 novembre 1950.

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