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Dalla rivista-assemblea alla rivista-progetto: perché, come, chi





Alla fine del Festival di DeriveApprodi dello scorso fine settembre ci siamo detti che avremmo fatto un salto in avanti, non concentrandoci tanto sulla riuscita dell'evento quanto sul processo di cui fa parte. Una prima tappa importante si è tenuta il 26 novembre in occasione dell'Adunanza della rivista Machina, in cui si è discusso «di ciò che abbiamo fatto finora e, soprattutto, di ciò che possiamo fare d’ora in avanti. Per continuare a respirare insieme. Perché quando i cervelli non prendono aria collettiva, inevitabilmente deperiscono nella loro solitudine».

Pubblichiamo qui il report dell'incontro.


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Sabato 26 novembre alla Casa di quartiere «Scipione dal Ferro» di Bologna si è svolta la prima adunanza di Machina «in presenza», come è ormai necessario precisare in tempi pandemici. Altri incontri si erano già tenuti online, ma la differenza è sostanziale. La riunione di sabato scorso – partecipata da una buona parte dei curatori e delle curatrici di sezione, insieme a parecchi collaboratori e collaboratrici della rivista – ci consegna infatti un bisogno comune che già avevamo potuto riscontrare in occasione del Festival di settembre, organizzato da Machina insieme a DeriveApprodi e Punto Input: il bisogno di confrontarsi senza schermi e mediazioni tecnologiche, di poter incarnare l’incontro, di discutere, chiacchierare e passare del tempo insieme al di fuori dell’ufficialità dell’adunanza, in quelle intercapedini informali che sono spesso altrettanto importanti e produttive degli ordini del giorno e dei dibattiti programmati.

L’adunanza è stata, ovviamente, l’occasione per fare un bilancio di oltre due anni di attività di Machina: dalla condivisione dei dati sulla fruizione del sito ai profili ipotetici di lettori e lettrici, dalla grande ricchezza dei materiali prodotti alle difficoltà di alcune sezioni. Tra queste ultime, in particolare, sono stati evidenziati i problemi a dare continuità alla sezione Mundi: limite che, per il sempre più fondamentale carattere strategico della geopolitica, va affrontato collettivamente con la massima urgenza.

Complessivamente si potrebbe dire, al netto degli ostacoli da superare e dei buchi da riempire, che il bilancio dell’esperienza è fin qui ampiamente positivo. Ciò, tuttavia, non consente di indugiare nel compiacimento per quello che è stato fatto, né di giustificare una mera gestione e autoriproduzione della forma che la rivista ha finora avuto. Al contrario, ci ha spinto a porci una sfida ambiziosa, che abbiamo formulato nei termini del passaggio dalla rivista-assemblea alla rivista-progetto.

Quando è nata, Machina ha preso atto della crisi della forma-rivista, intimamente connessa alla crisi dell’avanguardia – macroquestione che interroga tutti, dalla dimensione politica al campo artistico. Così, nella desertificazione del pensiero critico, tra gli spazi sempre più asfittici di blog e siti, nell’isolamento del lockdown e tenendosi alla larga dal mefitico chiacchiericcio narcisistico dei social network, si è cominciata a sperimentare una peculiare rivista che, utilizzando le ambigue possibilità della rete, si configurasse appunto come un’assemblea, uno spazio cioè aperto, molteplice, eclettico, perfino caotico, un luogo federativo tra i differenti angoli prospettici delle varie sezioni. Con un principio guida, però, che ha sempre guidato le centinaia di articoli pubblicati e a cui le diverse sezioni non sono mai venute meno: quello della qualità e del coraggio di avventurarsi con rigore analitico oltre l’ordine del discorso esistente, certificato dal mainstream o dalla ritualità dei lessici dei movimenti.

L’ipotesi del passaggio alla rivista-progetto richiede le precisazioni, le cautele e la necessità di approfondimento che hanno riempito la giornata di discussione dell’adunanza. Non si tratta, infatti, di rimuovere il carattere assembleare che è costitutivo dell’esperienza di Machina, né tanto meno di ripiegare su una rivista «di linea», omogeneizzando i contenuti del dibattito, eliminando la dialettica tra posizioni differenti, presumendo di fornire ricette preconfezionate a soggetti perlopiù immaginari. La parola progetto, d’altro canto, non va inteso nei suoi termini immediatamente politici, ovvero organizzativi. Si tratta, piuttosto, di muoverci nello spazio definito della «pre-politica», ossia della costruzione delle condizioni di possibilità di una pratica critica in grado di mordere nel presente.

In tale spazio, allora, il passaggio alla rivista-progetto significa individuare delle linee comuni di ricerca teorico-politica che possano permettere di intensificare la cooperazione tra le differenti sezioni di Machina, impedendo dunque che diventino delle monadi con difficoltà di comunicare e pensare in comune. Per concretizzare questa ipotesi, per avere cioè un terreno di sperimentazione, è stato discusso un «progetto-pilota»: i «decenni scomparsi» o «sospesi». Si tratta cioè di quel periodo dagli anni Ottanta del Novecento agli anni Dieci appena trascorsi, in cui la storia sembrerebbe essersi interrotta o addirittura finita non solo per gli apologeti del dominio capitalistico, ma anche per tante e tanti militanti e intellettuali critici. Quei decenni, invece, sono densi di storia: dalla controrivoluzione neoliberale alla sua crisi, dalla transizione definita «postfordista» alla precarizzazione del lavoro e delle vite, dall’affermazione del pensiero debole alle trasformazioni dell’industria culturale, dal crollo del muro di Berlino all’attuale disordine geopolitico, dalla pace guerreggiata alla guerra pacificatrice. E sono densi, al contempo, di sperimentazioni e tentativi di dare forma a nuove forme di organizzazione della socialità e della radicalità, dentro i movimenti o in loro assenza: dai centri sociali alla mobilitazione no global, dalla Pantera all’Onda, con faticosi avanzamenti e spiazzanti fallimenti.

Durante la discussione in merito, è stata presa sul serio una critica talora rivolta a Machina: quella di concentrarsi troppo sul passato e troppo poco sul presente. Se per presente si intende la cronaca, oggi perlopiù collassata nella «comunicazione di transito» dei social network, allora questa critica diventa un punto di metodo: cerchiamo di tenerci lontano dalle fugaci e impotenti prese di posizione nella caducità dell’opinione pubblica. Ciò non significa non occuparsi della contingenza (è emersa ad esempio la necessità di affrontare in modo diretto le ricadute della guerra sull’Italia, il ruolo delle destre nei nuovi scenari istituzionali, il rapporto tra astensionismo e crisi della rappresentanza), bensì di farlo sempre con peculiari modalità di approfondimento e non per acchiappare i like. Questo intervento approfondito sulla contingenza dovrebbe essere il compito della sezione Scatola nera. Ben diverso, quindi, è il discorso se facciamo riferimento all’analisi del presente e all’individuazione delle prospettive. Quel passato, come nel caso del progetto-pilota sui «decenni», va riattraversato dal punto di vista genealogico, ossia nel ripensamento critico dei concetti, delle ipotesi e degli immaginari con cui abbiamo tentato di leggerlo, per individuare nuovi concetti, ipotesi e immaginari con cui delineare le tendenze possibili. Genealogie e tendenze, ecco dunque il tempo su cui Machina cerca di muoversi.

Per impostare questo progetto-pilota, cioè per precisare le periodizzazioni dei «decenni» e i possibili temi comuni su cui misurarsi, verrà fatta una riunione seminariale ad hoc sabato 10 dicembre – questa volta online, per esigenze logistiche. Il tema individuato, per la sua complessità e molteplicità di sfaccettature, si presta bene alla cooperazione tra le differenti sezioni, ognuna delle quali sceglierà come contribuire a partire dalla propria specificità, accompagnando e al contempo precisando l’autonomia della propria programmazione. Questo lavoro comune costituirà l’impalcatura teorica dei Festival di DeriveApprodi, di Machina, del Radical Bookstore e del Punto Input che si terranno a Roma e a Bologna nella primavera 2023, dedicati appunto ai «decenni».

Nel corso dell’intensa discussione sono emersi altri grandi temi: qui ci limitiamo ad accennarne un paio, che già costituiscono delle tracce progettuali per il prossimo futuro. Uno è il lavoro di riproduzione, intesa innanzitutto come riproduzione delle capacità umane: qui troviamo le questioni del genere e della generazione, della scuola e dell’università, della composizione giovanile e dei linguaggi. L’altro tema riguarda quella che è stata definita la «socialità antagonista», cioè le forme di aggregazione «pre-politica» e di produzione della soggettività che costituiscono le fondamenta di ogni processo organizzativo: dalle società di mutuo soccorso ai centri sociali, c’è una lunga storia che va riattraversata con l’obiettivo di ipotizzare quali possono essere, in tendenza, i nuovi luoghi della socialità antagonista dopo l’esaurimento delle forme precedenti.

Proprio dentro quest’ultimo problema – come sperimentazione di un «prototipo», non certo come soluzione lineare – sono nate le esperienze del Punto Input a Bologna e del Radical Bookstore di Roma, luoghi di confronto, di circolazione del sapere, di formazione culturale e politica. Non sono diretta filiazione di Machina, ça va sans dire, perché a questo punto dovrebbe essere chiaro che Machina non è e non vuole essere l’identità di un progetto politico, bensì a sua volta un prototipo aperto e federativo. Sono invece in relazione con Machina, indicano una possibile territorializzazione di ricerche e riflessioni, nodi di moltiplicazione della rete e delle energie, proposte replicabili e modelli riproducibili in forme differenti.

Allora, come si compongono i prototipi? Ecco, crediamo sia questo un nodo centrale nel passaggio dalla rivista-assemblea alla rivista-progetto. Si tratta non di sommare i frammenti identitari, che porta ad aumentare la debolezza, ma al contrario di costruire dei terreni cooperativi comuni, per scoprire insieme quello che possiamo divenire. In quest’ottica, è importante anche riconnettere le energie e le intelligenze critiche che, negli ultimi anni, si sono talora disperse. Di grande importanza è quindi il progetto di collaborazione tra Effimera e Machina, presentato da Andrea Fumagalli, per la costruzione di un «diario della crisi», ossia un osservatorio permanente sulle molteplici declinazioni della crisi contemporanea – dalla crisi economica a quella geopolitica, dalla crisi sociale a quella ecologica, dalla crisi culturale a quella degli immaginari, dalla crisi di genere a quella della soggettività.

Essendo la prima adunanza «dal vivo», infine, è stata anche l’occasione per chiarirci il funzionamento collettivo della nostra macchina, cioè il «chi» di queste ipotesi progettuali: la redazione. La redazione è composta esattamente dall’adunanza, dai curatori e curatrici e dai collaboratori e collaboratrici disponibili a un impegno continuativo. Vi sono poi, da un lato, un coordinamento tecnico, che consente di rendere operate le discussioni e le decisioni dell’ambito redazionale, dall’altro delle redazioni ad hoc che si potranno costituire per i singoli temi comuni o per progetti futuri (ad esempio quello dell’Almanacco di Machina oppure degli specifici Scavi).

Al di fuori di ogni retorica, ci piace concludere il report tornando da dove siamo partiti. Unitamente alla ricchezza della discussione e del confronto, dei temi proposti e dei problemi individuati, va sottolineato il clima complessivo, l’atmosfera generale che ha avvolto l’incontro: si respirava desiderio, curiosità, necessità di pensare, riflettere ed elaborare insieme. Elementi pre-politici, si dirà, senza i quali tuttavia non si dà politica nel senso pieno del termine.

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