Proposta di lettura delle arti contemporanee attraverso la fragilità
Lo sherpa riprende il cammino dopo una breve pausa estiva con una riflessione di Leonardo Caffo sull’arte che parte da una domanda: a cosa serve l’arte contemporanea? e attraverso uno sguardo tagliente, che l’affronta di taglio, come la luce all’alba su di un muro, arriva a proposte inedite e feconde.
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Lui lasciò questa domanda sospesa lì a mezz’aria continuando a pensare a tè e pasticcini, tè e pasticcini. Don Delillo, Il silenzio
1. In questa relazione vorrei spiegarvi il mio approccio, genuinamente filosofico, a quel vasto insieme di oggetti, categorie, fenomeni che cadono sotto la locuzione «arte contemporanea». In questi anni, sia come professore all’università che durante la mia attività di curatore di musei o progetti speciali, ho avuto una possibilità abbastanza rara – provare a rendere teoriche le pratiche, e abbastanza pratiche le mie teorie. Non ho intenzione di avventurarmi in una vera e propria metafisica dell’arte, tipo capire che cosa l’arte sia in quanto tale o se sia più o meno convenzionale la definizione che le affibbiamo, ma ho piuttosto l’esigenza di discutere con voi proprio di come funzioni l’arte contemporanea e di guardarla, per così dire, più da un lato epistemologico che ontologico.
2.
Se prendiamo per buona la definizione di «contemporaneo» come qualcosa di diverso dall’attuale, mi riferisco chiaramente al lavoro di Giorgio Agamben, dobbiamo prendere per buona contestualmente una sua connotazione di tipo politico che richiami al conflitto con lo spirito del tempo. Questo ci porterebbe verso una strada semplice, il contemporaneo nell’arte come conflittuale. Una strada semplice dicevo, e dunque per adesso da escludere. Non credo sia il caso, almeno in questa sede, di evidenziare come e quanto l’arte con cui abbiamo a che fare oggi sia almeno in parte connessa al discorso sulla fine dell’arte di Hegel: la nascita del concettuale, la morte dell’idea romantica di bellezza, l’arte come ragionamento e non più soltanto come sistema estetico e superiore alle altre discipline, la volontà dell’arte di aprire dialoghi con ogni altra scienza dovendosi però giustificare… «se posso dire la stessa cosa con la scienza o con la filosofia, allora perché l’arte?».
3.
Ecco dunque, il «dire la stessa cosa». Un filosofo più hegeliano di quanto si possa credere, Ludwig Wittgenstein, termina come è noto il suo Tractatus con l’idea epocale che si debba tacere ciò che non si può spiegare con il linguaggio logico e/o naturale. In molti, tipica mossa teorica anche dell’approccio del pensiero filosofico italiano contemporaneo, considerano questa proposta di Wittgenstein come un invito alla poesia e all’arte – non dire, ma mostrare, ciò su cui si deve tacere. È qui che giace, ma non è questo il mio tema oggi, la frattura più complessa tra due diverse famiglie di filosofie delle arti – quella continentale, a cui forse appartengo anche io, e quella analitica che prova a catturare con tassonomie stringenti (e fallaci) definizioni asettiche di arti e mestieri.
4.
Fine dell’arte o meno, resta evidente che l’arte sia un fenomeno estetico. Può farsi col suono o col pennello, col tatto o con la performance, ma è di una modifica del modo di percepire il mondo che parliamo. Qui il primo punto, ripeto contrario alle ontologie asettiche delle arti inaugurate da teorici come Arthur Danto: in quanto dominio di oggetti relazionali, esistenti nell’incontro tra le menti e i mondi, l’arte non è definibile a partire dai suoi oggetti ma dalle sue percezioni. L’arte non ha uno statuto ontologico duro ma un vestito epistemologico morbido e strettamente connesso allo spirito dei tempi. Non ha nessun senso, nonostante la letteratura sul tema sia proliferante, chiedersi – che cosa è l’arte contemporanea? – perché la domanda corretta è – a cosa serve l’arte contemporanea?
5.
Un primo controargomento a quanto vi sto raccontando potrebbe essere che, in questo modo, io dia per scontato che l’arte serva o debba servire a qualcosa. C’è un pregiudizio romantico dietro questo argomento basato sull’idea che la chimica o la fisica debbano ovviamente servire a qualcosa, mentre ciò che riguarda l’arte debba essere svincolato da qualsivoglia idea di utilitarismo cognitivo. Tutto ciò dicevo, oltre a essere ammantato di un romanticismo démodé, va in conflitto proprio con quell’ideale di Wittgenstein per cui esiste qualcosa che esula dal dominio dell’esattezza, su cui le scienze esatte devono appunto tacere, ma che pur sfociando nel misticismo sembra avere un ruolo fondamentale nella teoria generale della conoscenza umana. È abbastanza ovvio che l’arte o la poesia contemporanea servano a qualcosa, e non c’è niente di assurdo nell’iniziare la nostra indagine da questo nodo concettuale.
6.
Prendiamo, a campione e in ordine sparso, alcune tendenze aggettivanti dell’arte contemporanea recente: arte povera, land art, arte di strada, superflat, stucchismo, post-contemporary, fight-specific, metamodernista, arte virtuale, altermodern, pseudorealista, ecc. Esiste qualcosa che mette in comune tutto ciò? È sul solco della volontà di rispondere a questa domanda che questa mia breve ricerca che oggi condivido con voi si colloca. Mettiamo subito da parte l’idea che la tecnica con cui si produce l’arte contemporanea sia importante per rispondere a questa domanda e passiamo immediatamente a chiederci se ci sia uno scopo comune che accomuna artisti come Damien Hirst o Maurizio Cattelan, Tomas Saraceno o Paloma Varga Weisz, Ed Atkins o Anri Sala, Giorgio Griffa o Claudia Comte, Jimmie Durham o Antoni Cumella. Forti dell’ormai totale inadeguatezza di definizioni banalmente convenzionaliste tipo «arte è tutto ciò che viene definita come tale dal sistema dell’arte», penso ai dibattiti che coinvolsero Kendall Walton o Richard Wollheim per esempio, la mia volontà è osservare un punto di arrivo comune del vasto mondo dell’arte contemporanea. Credo sia infatti ormai impossibile prendere sul serio teoria come quella di George Dickie per cui non ha senso cercare l’essenza dell’arte dato che non v’è ne è nessuna e che il massimo a cui possiamo aspirare è una blanda riflessione sulle pratiche stipulate nel corso della storia all’interno del mondo dell’arte.
7.
La definizione di lavoro che condivido con voi, volta a inserire un nuovo tassello nella distinzione filosofica tra attuale e contemporaneo è quella di AA – Arte Anticipazione. L’anticipazionismo, che è il modo con cui ho definito in varie sedi il mio approccio alla estetica, è l’idea che esista una particolare forma della produzione di presente che non sia volta né a essere attuale (qui e ora) né all’essere contemporanea (in conflitto col qui e ora). Esiste una particolare forma di produzione del presente volta a mostrare come sarà o come potrebbe essere il qui e ora senza immediatamente giudicarlo (come avviene col contemporaneo) – una produzione di senso, controfattuale o para-divinatoria in relazione al futuro di cui fanno parte molte discipline che vanno dalla moda al design ma di cui è protagonista indiscussa, perché slegata da ogni discorso funzionale stretto, proprio l’arte contemporanea.
8.
AA – Arte Anticipazione. Definisco con questa locuzione la produzione tipica delle recenti arti contemporanee intese come discipline modali, ovvero volte a mostrare possibilità alternative o future degli stati specifici dell’essere su cui quantificano attraverso i loro oggetti, categorie, fenomeni.
9.
C’è una ragione molto ovvia per cui la direzione che hanno preso le arti contemporanee è questa, legata all’idea che nel mondo attuale le possibilità trasformative siano molte meno di quanto non sembri. Uno potrebbe immediatamente pensare che questo tentativo di raccordo concettuale sia limitato dal fatto che anche la poesia o la filosofia mirano alla «modalità» ma vorrei subito stoppare l’obiezione: l’arte contemporanea, ripeto per chi vi parla completamente debitrice all’ultima proposizione del Tractatus di Wittgenstein, produce una conoscenza che non è legata solo al ragionamento tipico delle arti concettuali ma anche e soprattutto all’empiria – cioè alla considerazione che niente è conosciuto se è soltanto compreso con la potenza del pensiero che prova a esulare da quella del corpo. Potremmo considerare il significato semantico, legato all’universo di senso del futuro della nostra specie, del mio libro Fragile umanità analogo a quello della Documenta 13 curata da Carolyn Christov-Bakargiev soltanto se trascurassimo che nel secondo caso le riflessioni sull’avvenire hanno anche generato l’esperienza corporale data da Song Dong con il Doing Nothing Garden o da Giuseppe Penone con la sua Idea di Pietra o ancora dal Carmageddon di Thomas Bayrle o dalla meravigliosa scultura Untilled di Pierre Huyghe. Se è vero che conoscere non è solo sapere, ma anche esperire, direi che non dobbiamo dilungarci molto su questo punto: il potere dell’anticipazione modale dell’arte contemporanea non è in alcun modo comparabile a quello di nessun altra disciplina creativa.
10.
AA – Arte Anticipazione, come ogni definizione più legata all’esperienza dell’arte che alla sua metafisica, mira a comprendere non tutto ciò che accade (del resto una definizione che descrive ogni cosa non descrive nulla) ma il punto di arrivo comune della maggior parte delle pratiche artistiche contemporanee. Cosa mette insieme una performance corale di Marinella Senatore con un film di Adrian Paci? E cosa accomuna una installazione di Haegue Yang con un disegno di Anna Boghiguian? E c’è un modo di non considerare completamente estranee le sculture di Lara Favaretto o Maria Lai da quelle di Anish Kapoor? Il minimo comune multiplo è l’anticipazione, intesa come l’intrinseca spinta a tutte queste pratiche verso una relazione col tempo presente data dall’attuazione di una possibilità alternativa o futuribile non necessariamente qualitative.
11.
Esiste una relazione particolare tra arte contemporanea e capacità di bucare l’attuale stato di cose del mondo rendendoci palesi possibilità alternative o sue probabili conseguenze. La conoscenza è un complesso insieme di ragione, sentimento, esperienza, volontà, errori. La nascita della figura del curatore, prendiamo per buona la figura di Harald Szeemann come prototipica in tal senso, mostra un’esigenza tutta tipica dell’arte contemporanea di creare ponti tra la filosofia e la produzione artistica: creare contatti inediti, unire imprevisti, rendere sensoriale e tattile la parola, avvolgere i fruitori dell’arte in esperienze totalizzanti di lettura (cataloghi), visite dirette alle mostre, public program, oggi siti, podcast e piattaforme di vario tipo. Il dominio del controfattuale, spazio tipicamente filosofico, trova nelle arti contemporanee una possibilità potente data dalla attualizzazione in immagini, attività performative, di questi altri fatti che altrimenti potremmo solo richiamare tramite l’orizzonte metaforico degli esperimenti mentali. Se fino all’idealismo tedesco l’arte occidentale creava essenzialmente bellezza, oggi è altrettanto vero che l’arte crea, produce e permette essenzialmente possibilità e anticipazioni.
12.
Immagino che in molti di voi pensino che il potere delle definizioni sia quello di essere un po’ più precise. Cosa ha reso gigantesca la definizione di «Arte Povera» data da Germano Célant? La precisione nel richiamarsi ai minimi termini, nella capacità di quegli artisti di impoverire i segni per ridurli ai loro archetipi, e anche l’aver saputo mutuare il tutto dal movimento teatrale di Jerzy Grotowski. Dici «arte povera» e pensi subito ai materiali, alla riduzione minima delle forme simboliche, a un’idea di guerriglia a una non meglio identificata arte tradizionale. «Arte Anticipazione», direte voi, rischia di essere tutto e niente insieme. Ma anche in questo caso, e vorrei essere il più preciso possibile in questo punto, mi riferisco a un’idea di materiale – solo che questo materiale è la possibilità – e anche a un’idea di guerriglia, solo che questa guerra non è una guerra di correnti, cioè di artisti contro altri artisti, ma di visioni del mondo ossia degli artisti contro la riduzione del mondo a tutto ciò che accade. Il mondo, questa è la caratteristica essenziale dell’arte anticipazione, è anche tutto ciò che non accade, che potrebbe accadere e che accadrà. E tutto questo vasto insieme di fatti non verificati o ancora inverificabili l’arte anticipazione ci permette di toccarli o sentirli, vederli o provarli. Ci concede il lusso di conoscere il mondo dopo l’apocalisse dell’antropocentrismo, di misurare le possibilità di un universo morale queer e non più bilanciato da generi inesistenti, trasmette la complessità di una vita umana completamente appesa alla tecnologia, costringe a osservare per ore un estraneo in una società dove la comunicazione è filtrata solo da schermi che tuttavia prima o poi si spegneranno come in un romanzo di Don Delillo.
13.
D’altro canto, credo che una definizione si misuri anche dal suo potere di escludere certi oggetti. Dire Arte Anticipazione non lascia spazio a quelle bislacche e ancora in voga idee secondo cui basti mettere un estintore in un piedistallo di un museo per definirlo come arte, ammesso che queste idee andassero bene anche negli ormai passati anni del ready-made da Brillo Box. Non è l’aura a definire l’arte, al massimo (ma non è il mio tema qui con voi), può aiutarci a definire il valore economico e non di un determinato oggetto. L’arte contemporanea, che appunto è tale solo in relazione alle possibilità che fornisce a chi la esperisce, è definita dal varco che è in grado di creare nell’attuale in cui la nostra vita di ogni giorno è costretta a collocarci come vite immerse nella burocrazia o nel lavoro, nella cura dei figli piccoli o dei genitori malati. Un’esperienza artistica contemporanea è come un buco nel formaggio, un tipo di pienezza data dall’assenza che una possibilità improvvisamente ci mostra.
14.
Dobbiamo a Benedetto Croce l’idea secondo cui ognuno di noi ha una sorta di comprensione ingenua dell’arte del proprio tempo. In altre parole, l’arte contemporanea è ciò che tutti sappiamo cos’è fino a quando non dobbiamo spiegare questa intuizione con più precisione a qualcun altro. Molte di queste difficoltà derivano tuttavia proprio dal voler catturare metafisicamente l’arte dando astratte condizioni necessarie e sufficienti di un fenomeno in perenne evoluzione oppure, e credo onestamente sia peggio, produrre tautologie per cui l’arte contemporanea sia semplicemente una parte speciale del tessuto della realtà sociale. Essere fermi a Platone, per cui l’arte era un rispecchiamento della realtà, è di una gravità ancora piuttosto diffusa; purtroppo, al contrario di quello che sosteneva il celebre Luigi Pareyson, i filosofi e i curatori non possono occuparsi di arte se non conoscono attentamente il tipo di opere prodotte dal proprio tempo. E di filosofi nei musei, onestamente, ne ho visti pochissimi. Ci si è smarriti nella metafisica o nelle teorie della verità dimenticandoci che l’arte non ha a che fare né con il vero, né tantomeno con il reale; l’arte contemporanea, che in riferimento al nostro tempo ripeto mi pare meglio descrivibile dalla locuzione Arte Anticipazione, riguarda l’interpretazione e il fantastico. Del reale attuale, per fortuna, gli artisti contemporanei non ne hanno mai avuto troppa cura. Troppa filosofia dell’arte ha sbattuto con l’ostacolo della comprensione dell’arte a partire dall’idea secondo cui le opere siano dei significati che gli artisti incorporano nei corpi delle opere mentre invece, e tutto cambia radicalmente, le opere sono finestre per osservare significati che stanno nel loro al di fuori. Si è scambiato il significato col significante, e questo è stato un errore imperdonabile.
15.
Credo che prima finiremo di utilizzare la (non) definizione «arte contemporanea» per descrivere l’arte attuale prima inizieremo a mettere ordine sulle teorie generali e non generali dell’arte odierna. In futuro, quando l’arte di oggi non sarà più contemporanea, la si descriverà attraverso aggettivi non necessariamente temporali. È con questo spirito, orientato a un dialogo il più aperto possibile, che metto in piazza la definizione di Arte Anticipazione. Una bussola per visitare musei e gallerie sentendosi parte di un progetto comune che non è solo temporale (attuale), e neanche squisitamente politico (contemporaneo), ma soprattutto controfattuale, legato al possibile, appeso al desiderio di osservare il qui e ora da un qualche punto immaginario che ha il sapore del poi (quel particolare tipo di futuro che chiamiamo «l’avvenire»). Questo fornisce un significato assai diverso ai musei d’arte contemporanea, vittime del paradosso di Agamben per cui cercano di intrappolare come se fossero archeologie le cose che ancora dovrebbero esprimere tutto il loro potenziale politico; i musei d’arte contemporanea sono delle navicelle spaziali, dove per spazio intendiamo l’insieme delle galassie delle possibilità e dei futuri contingenti. Varcare una soglia di un museo o fondazione di questo tipo significa lasciarsi ogni pretesa di realismo alle spalle, pretesa che potremmo avere entrando in museo del Risorgimento o della Shoah. Ogni (buon) museo di arte contemporanea è soprattutto un museo di Arte Anticipazione, un dispositivo costruito per farci muovere nelle infinite vite che avremmo potuto fare o che ancora potrebbe capitarci di fare. Detto a complemento di questo punto, sta qui la ragione dell’impossibilità di giudizio morale delle arti contemporanee: non rispettano nessuna etica perché hanno il compito di produrne di nuova.
16.
Ancora una precisazione a proposito di questa produzione di etica. Arte Anticipazione mi permette, come definizione di lavoro ancora tutta da aggiustare, anche di spiegare l’idea dell’artista stesso come opera, come forma di vita, alla base dell’esistenza stessa di entità come le residenze per artisti. L’artista stesso, nell’epoca della Arte Anticipazione, è costretto a performare su di sé questo continuo sfidare il tempo presente mostrando altri modi in cui anche noi comuni mortali avremmo potuto vivere. Le residenze, per esempio, sono delle fabbriche di vite alternative a quelle dello «spendi-produci-crepa», e trovo davvero assurdo che ci siano stati filosofi impegnati nella comprensione dell’arte contemporanea che sono partiti dal ruolo del mercato per capirci qualcosa. Il corpo dell’artista contemporaneo, la sua vita alternativa a quella che noi comuni lavoratori dobbiamo svolgere, oggi più che mai è apertura verso possibilità alternative e futuribili di una vita umana immersa in uno scricchiolante post-capitalismo. Ancora obiezioni tipiche a campione: ma l’arte non ha sempre espresso possibilità alternative, ma l’artista non è sempre stato una forma di vita radicalmente altra? No, e chi dice così o parla in malafede o in completa ignoranza di storia dell’arte. In questa cornice la nascita della performance come cifra espressiva dell’arte contemporanea, posizioniamola per convenzione negli anni Sessanta con il lavoro di artisti come Allan Kaprow senza tirare in ballo proto-performance come quelle del dadaismo, dice qualcosa di significativo sulla forza espressiva della definizione Arte Anticipazione. È comune, tra i diversi approcci di antropologie delle arti visive, individuare nella performance un ovvio punto di contatto tra arte occidentale e rituali di vario tipo in tribù, culture asiatiche o africane. Trovo estremamente fallace questa analogie, la performance dell’arte contemporanea occidentale non ha la funzione di richiamare né uno spazio sacro o profano, né tantomeno una dimensione alternativa all’essere, ma semplicemente di mostrare la vita proprio al di là della maschera. Anticipare o performare possibilità alternative a quelle maggioritarie che si mostrano come più reali del reale e non inventarne di nuove attraverso proiezioni dell’inconscio come avviene nelle favole tibetane.
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Lo spirito di una nuova, seppur blanda e liquida tassonomia, come Arte Anticipazione è anche quello di ragionare sullo stato dell’arte attuale durante l’attuale processo globale di transizione verso il capitalismo digitale agevolato anche dalle svariate crisi ecologiche, pandemiche, ecc. Che funzione ha l’arte in questo scenario? Ripeto, ancora una volta ponendovi la domanda corretta e non ontologica, a cosa ci serve l’arte contemporanea entro questa cornice? L’arte che insegue il presente, preso per buono che Arte Anticipazione descriva di più della pretesa di un filosofo di capire qualcosa dell’arte, si è ancorata alla falsa idea per cui essere online sia la forma prioritaria dell’esistenza. Urge tuttavia un ruolo sul concetto di pubblico, e sull’idea stessa che la produzione artistica non sia inattuale perché è contemporanea ovvero conflittuale: lo è perché maneggia l’altrove con il lusso, inspiegabile a chi produce solo parole, di poterlo abitare.
18.
Che cosa anticipiamo? E perché? L’Arte Anticipazione non anticipa o produce alternative in modo casuale. Qui, entro questa che forse è più una meta-definizione, svolgono poi un ruolo essenziale le correnti, le tendenze, i diversi approcci tutti accomunati, a mio avviso, dalla comune necessità di mostrare una fragilità diffusa alla vita, al pianeta, al digitale, alla conoscenza, ai sentimenti. Se dovessi provare a fare lo sforzo di racchiudere in una parola o slogan ciò che anticipiamo o mostriamo attraverso l’Arte Anticipazione non potrei che usare la parola «fragilità», l’idea piena di vergogna della finitezza di ogni elemento a partire dalla presa d’atto definitiva che ciò che non sappiamo di sapere è infinitamente più grande di ciò che, socraticamente, sapevamo di non sapere. Spesso anticipiamo le conseguenze di questa fragilità, talvolta mostriamo alternative a questo stato dell’essere, il più delle volte sulla fragilità costruiamo interi ragionamenti come quello delle ultime Biennali d’Arte di Venezia e non credo sia folle vedere il filo comune della fragilità in alcuni dei più importanti e (apparentemente diversi) artisti viventi come El Anatsui, John Baldessari, Phyllida Barlow, Carol Bove, Sheila Hicks, Rashid Johnson, Barbara Kruger, Zoe Leonard, Faith Ringgold, Ed Ruscha, Nari Ward o Adrián Villar Rojas.
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Il nodo della fragilità, in questa mia analisi sull’anticipazione, è essenziale. L’arte del nostro tempo è un continuo mostrarci, riconoscendola o combattendola in modo paradossale come ha fatto Anselm Kiefer, tutta la fragilità della nostra esistenza e organizzazione della conoscenza e presunto futuro del mondo. L’Arte Anticipazione, del resto, è anche e soprattutto un’arte fragile; la cultura contemporanea ci ha insegnato a usare gli occhi per capire e giudicare, apprendere visivamente e desiderare. Eppure, l’immaginazione scatenata dall’intensità di un’opera d’arte anticipazione volta a far collassare il piano del reale (contingente) su quello del possibile (e troppo spesso relegato a una posizione subalterna nelle nostre società tecnovisive), possiede una raffinata capacità di lettura del mondo. La fragilità è ovunque intorno a noi, anche se viene nascosta e troppo spesso rischiamo di non vederla. Arte Anticipazione è anche una guerriglia a questa idea della forza come valore assoluto: anticipiamo un mondo che comunque, presto o tardi arriverà davvero, che poi è il mondo di una vita umana «primitiva-futura», fuori da Internet e dalle pretese del dominio. Senza nessuna apocalisse, mi pare ovvio che nel momento storico in cui viviamo gli artisti stiano soprattutto anticipando e mimando la fine del mondo (o, più tecnicamente, di un tipo di mondo).
20.
Il riconoscimento della fragilità è l’essenza di ogni possibile rivoluzione. Un’opera d’arte, mi sembra così ovvio che quasi mi vergono a dirlo, è un messaggio che qualcuno ha lasciato e che può essere inteso anche se il mittente è morto, e che anzi va letto come se il mittente fosse già morto. Un’opera è un messaggio di un morto – indipendentemente dalle caratteristiche vitali dell’artista – in cerca di un qualche osservatore vivente capace di capirci qualcosa. Per questo motivo le opere sono come dei fantasmi che ci cercano e ci trovano. Come leggeranno i futuri vivi le opere di noi morti di questo presente ormai già passato? Il famoso critico Craig Owens sosteneva che quando cerchiamo di capire un’opera d’arte stiamo in realtà mascherando la volontà di capire qualcosa riguardo la struttura della nostra vita. E la struttura delle nostre vite, abitanti dei primi decenni del 2000, è una costellazione di spauracchi e paure, pretese di digitalizzare ciò che ci manca in una totale alienazione dai nostri bisogni più intimi, un ghirigori continuo di ecologie, guerre per il cibo, paura di scarsità di acqua e di luce elettrica. Ma nell’attesa del disastro, il più delle volte, viviamo come in una continua festa in piscina. La soggettività non è nella forma ma nel contenuto della opere d’arte recenti; l’arte contemporanea non pone una questione sul significato di qualcosa, che sia un quadro, un concetto, una scultura o una performance. Il compito dell’Arte Anticipazione è quello di permettere di entrare in contatto con qualcosa a cui fino a quel momento non si aveva accesso. Quello che l’arte recente costruisce e modula è quindi la relazione, inventando un processo di soggettivizzazione che non esisteva in precedenza. Per questo motivo l’arte contemporanea è come la vita di ogni giorno, una questione di finzione.
Immagine di Roberto Gelini
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