Luigi Veronelli ci introduce al ricettario de La cucina impudica. Ricette segrete di una donna di mondo rivelate a chi intenda diventarlo, di anonimo. Il libro pubblicato nel 2001 da DeriveApprodi e stato poi rieditato con altri due testi simili nel 2013 nel volume Cuoche ribelli. Da questo testo sono tratte le ricette del menù che vi proponiamo per la cena della prossima vigilia di Natale.
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Livre de chevet è espressione francese intraducibile. Chevet sta tra capezzale (corna, bicorna) e comodino. Mi piace pensare che indichi, nel reale, i due cuscini che si pongono, l’uno sull’altro – il più alto un poco arretrato – alla base della testiera del letto. Piacevole appoggiarvi il capo e il dorso; e ritornare sulle pagine del libro di letto. E livre de chevet vuol proprio dire il libro della predilezione. Un uomo di intelligenza (minima) ne ha uno solo. Uno intelligente ne cambia, col passare del tempo. Tanti. Ricordo – avevo 15 anni – Il canto d’amore e morte di Rainer Maria Rilke. Una edizioncina bibliofila, in pergamena, titolo inciso rosso e nero. L’aprivo quel tanto che mi concedesse l’arrivo sulle parole, credo, non per non consumarlo, per appropriarmene singolare. Poco dopo le Historiettes, contes et fabliaux del divino marchese, Donatien Alphonse François de Sade. Ho avuto ottimi rapporti intellettuali con lui. E le Historiettes erano nella cartella – poco più di una cartella – quando fuggii, 1944, in Svizzera, diciassettenne con Gianni, mio fratello gemello, e il sogno, non realizzato, di raggiungere i partigiani dell’Ossola. Tornarono a esserlo – pensa té – negli anni tesi tra la filosofia della Statale e i problemi dell’anarchismo. Mi decisi, 1957, a tradurli e a pubblicarli con le illustrazioni – sollecitate impudiche, ancor più impudiche – di Alberto Manfredi (ebbe, poi, la cattedra, in Firenze, da Mino Maccari). Tanti, ripeto. Al termine m’ero quasi persuaso. Per quanto eccentrico, avrei assommato accanto al letto, a mano a mano che escono, i volumoni del Grande Dizionario della Lingua Italiana, massì, «il Battaglia». Aprirlo, uno ogni sera, a caso (a caso? La fatica per estrarre quello del lemma della momentanea urticazione). Faccio esempio: «impudico». Uno «che manca di pudicizia; che si comporta senza alcun ritegno o pudore; inverecondo. Anche: incontinente, libidinoso, lussurioso. Per estensione: sfrontato, impudente. Anche: privo di rispetto, impietoso». Mi sono letto le bozze de La cucina impudica. Sarà il mio livre de chevet. Dai tempi giovanissimi e giovani, nessun libro mi ha più divertito per la sua inverecondia e, assieme, l’empietà. Ciascuna delle ricette – con innumerabili allacciamenti, sorprendenti ribalte e pruriginose seduzioni – ti riporta alle tante (grazziaddeo) piccole morti della cognizione della qualità e del gusto, alla cultura ribelle e immoralista. A quelle ultime parole di Marguerite Yourcenar: «Reale tragedia dell’uomo è la demonizzazione del piacere». Non temo per il suo scrittore (scrittrice?) anonimo. Sì, per l’editore. Gli succeda che un magistrato di buon senso intervenga e ne ordini, d’urgenza, il sequestro. Avvenne ant’anni fa per le Historiettes. Finì bruciato sulla pubblica piazza.
Luigi Veronelli
Nota del curatore
Questo manoscritto di cucina impudica che dobbiamo alla penna di una donna di mondo – così l'autrice si definisce in una ricetta – è stato trovato, molti anni fa, rilegato assieme a due volumetti di pasticceria, peraltro di nessun interesse, su una bancarella del Flohmarkt di Vienna. È costituito da un quadernetto di novantasei pagine, fitto di ricette ricopiate in bella calligrafia con un inchiostro azzurrino che il tempo ha fatto diventare dello stesso colore delle viole appassite tra le pagine dei diari. È datato Paris, 1919/1931. Le ricette – ricche di espressioni in argot – sono accompagnate da piccole osservazioni, ricordi, aneddoti dei quali abbiamo tradotto i più interessanti. Da essi traspare la vera professione di questa cuoca che, come lei stessa confessa, «volle spalancare alla vita tutte le porte dei palazzi del piacere senza badare né al prezzo, né alla reputazione».
Le ricette s'intendono per sei commensali. In alcuni casi le dosi sono state rivalutate in considerazione dei mutati gusti di oggi, così come sono stati corretti tutti i tempi di cottura per adeguarli alle nuove apparecchiature di cucina. Le note a piè di pagina sono del curatore.
Primo piatto: La zuppa di cipolle di Francis Carton
Chi lo diceva? Mazarino. L'oignon fait la forse. È all'ex Lucas Madaleine che il nuovo direttore e presidente dei Maîtres-Chefs di Parigi ci onorò di una indimenticabile zuppa di cipolle di cui tutti pretendemmo la ricetta. Carton ci spiegò che aveva voluto battere i bouillons des Halles sul loro stesso terreno. Di certo questa zuppa mi ha fatto dimenticare quella che si gusta al Père Tranquille dopo le quattro del mattino anche se gli odori e i colori della Butte e del Quartiere Latino sono ben altri.
Pulite e affettate un chilo di cipolle gialle. Saltatele con 150 grammi di burro in una padella. Appena sono appassite cospargete di un bicchiere di farina nella quale avrete aggiunto un cucchiaino di noce moscata e uno di pepe nero macinato al momento. Mescolate il tutto con cura e passatelo in una pentola con due litri di brodo leggero e due tazze di vino bianco passito. Aggiunceteci un rametto di prezzemolo, uno di timo e una foglia di alloro: fate cuocere a fuoco dolce per circa 40 minuti. Regolate il sale. Recuperate metà delle cipolle e passate l'altra metà al setaccio con il loro brodo. In una zuppiera che regge il forno o in una pignatta di cocio disponete a strati del pane contadino tagliato a fette sottili e seccato in forno, le cipolle affettate e del groviera grattuggiato, ne occorrono circa 600 grammi. Controllate il sale del brodo con le cipolle passate al setaccio e versatelo nella zuppiera. Cospargete la superficie con il gruviera avanzato e un pizzico di paprica. Mettetela in forno, caldo, per quindici minuti. A parte mescolate in una tazza cinque tuorli d'uovo con un bicchiere di vino bianco passito e un pizzico di sale. Portate a tavola la zuppiera,versateci il contenuto della tazza con i tuorli e mescolate bene. Servite subito.
Piatto di mezzo: Gran bollito con ammennicoli e salse
Piatto superbo, specialità de La Crémaillère, in place Beauvau. Il traiteur lo prepara solo su ordinazione e dopograndi insistestenze ma ha un debole per le gambe di M.lle Arlette Marchal che abita vicino, in rue Montaigne. Arlette è riuscita a strappargli la ricetta messa a punto, dopo lunghe discussioni ed esperimenti, da confraternita di gourmets massoni di Pérouges sullatraccia di un antico documento di una loggia detta dei «sette tessitori». Mi è costata una sottoveste di seta e una marquise che avevo appena preso da Frivolités, miraccontò, ridendo1.
È una ricetta costruita sul numero sette. Per ottenere un buon risultato, considerata la quantità d'ingredienti, bisogna essere almeno in dodici e tutti di robustoappetito. In una grande pentola piena d'acqua bollente, appena salata, condita con un bicchiere d'olio d'oliva, mettete un pezzo di ognuno di questi sette tagli di carne: bianco costato di reale, punta di petto, un pezzo di scapola o cappello di prete, tenerone, noce o muscolo di coscia, fiocco di punta e culatta. Ognuno di questi pezzi dev'essere steccato con chiodi di garofano. Vanno messi in pentola tutti nello stesso momento così che ognuno conservi la sua specifica consistenza. Nella pentola, insieme alle carni, aggiungete qualche cipolla, del sedano, qualche carota, glispicchi d'aglio schiacciati, un rametto di rosmarino fresco. In un'altra pentola, con le stessemodalità, vanno cotti i setteammennicoli: una gallina, una lingua dibue e una coda, cotechino, uno zampino, una testina di vitello, un pezzo di lonza. In entrambi i casi, durante la cottura, che deve avvenire a fuoco dolce, schiumate di continuo le pentole. Tutte queste carni vanno servite con sette verdure: patate, rape, cavolo e carote allessati. Cipolline, zucchine e finocchi al burro. Sulle carni, che vanno tenute al caldo inun réchaud, nel loro brodo, va cosparso al momento del servizio del sale grosso. Servite questo bollito con una salsa verde, della mostarda forte e due salse antiche. La prima, la preparerete amalgamando in pari quantità miele, aceto, noci tritate fini. La seconda, con qualche pera martina lessata con cannella, pepe e chiodi di garofano. Si serve con un po' di aceto riscaldato.
Dessert: Torta del buon cristiano
C. M. sembra un diavoletto di Cartesio rinchiuso in una bottiglia di acqua di Danzica. Siam,o i tessitori di nuove ricchezze – proclama – tra cinquant'anni non ci sarà un quadro dipinto tra la rue Ravignan e le grandi gallerie, tra la rue Vavin e le Boeuf sur le Toit che non varrà una fortuna. L'ho conosciuto al Bal des Quat'z'arts, quest'anno il tema era la Persia. La mia mise di odalisca da serraglio è stata molto apprezzata, soprattutto dagli studenti, lo provano i lividi sul culo che due ore di bagno caldo non sono riuscite a cancellare. In compenso ho avuto il tempo di riflettere su qualche pagina delle Lettere persiane di Montesquieu. Quelle in cui si parla delle abitudini e dei costumi parigini. Nella Città singolare dove gli spettacoli si fanno con gli spettatori2.
Nella mia famiglia, un tempo, le pere William si chiamavano del buon cristiano. Per questa torta occorre preparare una pasta brisée. Setacciate 300 grammi di farina e disponetela a fontana su un tavolo di marmo. Al centro mettete 200 grammi di burro rammollito, due uova e un tuorlo, un cucchiaio di zucchero, 10 grammi di sale, un cucchiaio misto di cannella in polvere e noce moscata grattugiata. Lavorate con cura questo impasto fino a ottenere una massa omogenea. Tirateci una sfoglia e con questa foderate una tortiera a bordo mobile facendola aderire con cura. Fate riposare un paio d'ore. A questo punto accomodateci delle fettine sottili di pere William, ben mature, pulite, sbucciate e leggermente acidulate con un po' di succo di limone. Copritele a filo con una crema preparata mescolando con una frusta mezzo litro di panna fresca alla quale avrete aggiunto quattro uova intere, 130 grammi di zucchero, una presa di sale e un bicchierino di grappa di pere. Cuocete in forno la torta per almeno quaranta minuti. Sfornatela appena si è raffreddata e servitela con un di cioccolato amaro, caldo, sciolto in un pentolino con un paio di cucchiai d'acqua e altrettanti di grappa di pere.
1. Questo tratto della rue Montaigne oggi si chiama Jean Mermoz. La marquise è il classico «copri-sesso» rosso, imbottito, a forma di cuore.
2. L'acqua di Danzica era un liquore molto popolare negli anni Trenta: profumato all'arancio aveva in sospensione delle pagliuzze d'oro potabile. Il Bal des Quat'z'arts era organizzato dagli studenti dell'Ecole des Beaux-Arts e la sua vera attrazione erano gli studenti che la mattina dopo si recavano a scuola in costume. Questo ballo aveva ogni anno un tema diverso.
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