Sin dalla fondazione di Machina, «scatola nera» ha ospitato contributi sul ruolo delle riviste nella fase attuale, dibattito che ha connotazioni extra-italiane.
A tal proposito, pubblichiamo l'editoriale zero dei «Cuadernos de Estrategia», nuova rivista nata qualche giorno fa in Spagna che s'interroga su questo tema.
A questo link è possibile accedere al portale della rivista.
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Perché una rivista? Perché un formato così «vecchio», così «intellettuale», così poco adattato alle nuove sensibilità audiovisive, sempre più influenzate dai social media e dall'intelligenza artificiale?
Un breve «scavo archeologico»
Nel febbraio del 1964, lo storico Perry Anderson pubblicò, nel numero 23 della «New Left Review» (NLR), l'articolo intitolato «Origins of the Present Crisis». Questo testo di appena 40 pagine inaugurò uno dei dibattiti più intensi e accesi conosciuti dalla storiografia marxista. Vi parteciparono anche alcuni degli intellettuali più importanti del momento. Oltre allo stesso Anderson, Tom Nairn e un infuriato E. P. Thompson contribuirono alla discussione. Quest’ultimo scrisse, a questo proposito, a cui quest'ultimo aggiunse uno dei suoi testi più noti, «The Peculiarities of the English».
Non è nostro intento approfondire questa discussione, che ha toccato questioni chiave sulla formazione del capitalismo inglese e, addirittura, del capitalismo in generale. Negli anni '60, la NLR cercò di indagare la formazione della borghesia e dello Stato britannici sul residuo rituale della vecchia aristocrazia, l'emergere della nuova borghesia industriale nei primi tempi dell'imperialismo inglese, le particolarità della classe operaia britannica e del capitalismo d’Oltremanica. Successivamente, per decenni, la «New Left Review», insieme ad altre pubblicazioni come il «Social Register», ospitò dibattiti incrociati su tali questioni, che sono stati recentemente ristampati dalla stessa rivista (che ha ormai mezzo secolo di storia).
Menzionare la storia della NLR non è un mero esercizio di erudizione. Serve, piuttosto, a svelare la funzione politica e intellettuale di una rivista politica, militante e di parte. Lo sforzo e il dibattito degli storici marxisti britannici erano, infatti, molto lontani da una discussione accademica. Il loro interesse esplicito era capire e allo stesso tempo intervenire nella crisi inglese di quegli anni. In un modo che ha più di un parallelismo con la situazione spagnola di oggi, gli intellettuali militanti della NLR riconobbero, nella politica laburista e nel movimento sindacale inglese, un eccessivo «presentismo» – ovvero una spasmodica attenzione al breve termine all'interno del quadro della politica istituzionale del momento – e una totale incapacità di intuire i profili della crisi sociale che stava trasformando la società britannica e che successivamente avrebbe trovato nuove forme di espressione politica (sia moderne che reazionarie) nel lungo governo di Margareth Thatcher.
La sinistra britannica di allora, come quella spagnola di oggi, era offuscata dalla lotta ideologica ed elettorale. Non riusciva a comprendere i profondi cambiamenti nella struttura di classe britannica, le nuove forme di soggettivazione, l'emergere di lotte operaie fortemente antisindacali, la formazione di un proletariato e di un sottoproletariato migrante proveniente dalle ex colonie britanniche, il declino stesso del capitalismo britannico o l'impatto crescente dei movimenti antinucleari, delle nuove subculture urbane, dell'organizzazione dei giovani anglocaraibici, ecc. Questo vuoto è ciò che riviste come la «New Left Review», il «Socialist Register» o gli «Stenciled Papers» del Centro di Studi Culturali di Birmingham cercarono di operare e superare, con un successo relativo, durante gli anni '60 e '70.
Al di fuori del mondo anglosassone, e con una vocazione ancora più militante rispetto a quella della NLR, questo fu anche l'obiettivo di una serie di pubblicazioni, che ancora oggi meritano di essere ricordate e che nacquero intorno agli anni '60. È il caso di «Socialisme ou Barbarie» o «Informations et Correspondances Ouvrières» (ICO) in Francia, dei «Quaderni rossi» o di «classe operaia» in Italia. Anche nella Spagna degli anni '70, ci furono vari tentativi di svolgere questa funzione attraverso i «Cuadernos de Ruedo Ibérico» o riviste più modeste come «Teoría y Praxis».
In tutte queste pubblicazioni c’è un duplice obiettivo. In primo luogo, la certificazione che la sinistra è in crisi, che è politicamente incapace, che è corrotta, che manca della minima intelligenza per intervenire in una situazione mutevole. Se collochiamo la diagnosi negli anni '60, questo «movimento delle riviste» appare associato alla critica della sinistra socialista e comunista, sia per il suo collaborazionismo con le forme politiche ed economiche dell'epoca (il fordismo keynesiano), sia per l'indurimento dogmatico del marxismo di partito, sia per una miscela dei due argomenti. In secondo luogo, queste riviste si sono poste la necessità, l'urgenza, di comprendere e analizzare le trasformazioni in corso: i cambiamenti sociali, le nuove forme di lotta e protesta, la crisi imminente delle forme capitalistiche del periodo, le trasformazioni interne allo Stato, ecc.
Accanto a queste funzioni – per parlare in termini generici – questo movimento intellettuale si sforzava di aggiungerne un’altra importante: le riviste volevano essere strumenti di organizzazione politica delle nuove forme di espressione della protesta. Così nel caso della NLR, questa aspirava ad essere, in modo probabilmente troppo esplicito, la rivista della Nuova Sinistra. E nei suoi primi anni di vita, i fondatori girarono per tutta la Gran Bretagna con vari furgoni, organizzando club di lettura ovunque potesse, cercando di radunare la nuova sensibilità politica in una forma di proto-organizzazione, in uno stile che ricorda molto ciò che «Jacobin» ha cercato più recentemente di fare con i democratici socialisti negli Usa.
Con un intento militante ancora più ambizioso, i circoli operaisti italiani nacquero fin dall'inizio legati alle nuove forme di espressione operaia: agli scioperi selvaggi, alla generalizzazione dell'assenteismo, al sabotaggio di massa. Il loro metodo di lavoro nelle fabbriche era, contemporaneamente, di agitazione e di ricerca. Per questo inventarono il termine e la pratica della «conricerca», in cui le differenze tra intellettuale e operaio militante si dissolvevano, in un processo di comprensione congiunta del sistema di sfruttamento della fabbrica, ma anche di interruzione della stessa. A questo lavoro di conricerca si devono le magistrali analisi dei principali poli industriali italiani (la Fiat di Torino, la Pirelli, il petrolchimico di Porto Marghera), l’ideazione degli strumenti classici dell’armamentario operaisti (composizione di classe, operaio massa, autovalorizzazione) e la concentrazione di questi concetti nelle pratiche di resistenza operaia, come il «rifiuto del lavoro», che tanto scandalizzavano la vecchia sinistra operaia del Pci.
È ovviamente estremamente presuntuoso pensare che questa rivista che presentiamo ora possa coprire anche solo parzialmente le lacune nella riflessione critica così chiaramente rilevabili oggi nel contesto della crisi politica della sinistra locale, concentrata nei suoi vecchi dibattiti parrocchiali. Sarebbe altrettanto presuntuoso pensare di poter emulare, anche solo parzialmente, la traiettoria di queste vecchie riviste che sono riuscite, a loro modo, a rinnovare il pensiero critico fino a condurlo fino ad oggi. In ogni caso, «Zona de Estrategia» intende almeno evidenziare la necessità, per non dire l'urgenza, di reintegrare almeno tre funzioni che si possono riconoscere in quelle riviste: l'analisi della congiuntura attuale, cioè la crisi probabilmente terminale nel medio periodo dell'egemonia di un certo tipo di capitalismo storico, lanciato verso il collasso della civiltà; la critica delle forme attuali della sinistra che, nel caso spagnolo, sembra essere intrappolata nei limiti a lungo termine del 15M, che oggi prendono la forma dei governi progressisti; e, infine, la vocazione di organizzare le nuove sensibilità, i malumori e le forme di militanza che cavalcano sia sui processi di crisi che sulle incapacità della sinistra.
In questo senso, ci aspettiamo che una parte significativa del lavoro di «Zona de Estrategia» si concentri sull'analisi della crisi. Questa si inserisce in un contesto complesso, in cui operano forze che vanno molto oltre la possibile influenza che qualsiasi politica di carattere locale può anche solo immaginare. Nel caso spagnolo, è necessario riconoscere che la sua realtà provinciale è collegata al lungo ciclo finanziario neoliberale che ha iniziato ad articolarsi negli anni settanta e che sembra entrare nella sua fase finale nel 2008. Pertanto, uno dei compiti fondamentali di questa rivista sarà dissezionare la politica economica di quella «formazione sociale» chiamata Spagna, la sua specializzazione nei settori turistico, finanziario, immobiliare; la composizione della sua struttura di classi contraddistinta dalla preminenza di una classe media che oscilla tra la propensione alla vulnerabilità e la richiesta di protezione dello Stato; le dinamiche di proletarizzazione di una parte di quella stessa società, a volte collegata ai grandi movimenti migratori globali; la forma sociale delle sue principali metropoli; gli impatti della crisi capitalista globale, anche nella sua dimensione ecologica, ecc.
D'altra parte, intendiamo impegnarci, nelle modalità in cui è stato fatto negli anni sessanta e settanta, nella critica della sinistra esistente. Questa sinistra, che nel nostro caso è paradossalmente nuova, emerge dall'evento 15M e si è presentata come una grande promessa per l'articolazione di una «nuova politica». Eppure, questa sinistra, che ha cambiato vari nomi mentre si organizzava con forme e intensità diverse (Podemos, Sumar, municipalismi), ha lasciato ugualmente una traccia di delusione, disincanto e impotenza. Senza la medicina di una forte scommessa politica, pochi esercizi possono essere moralmente più devastanti del paragonare la sfida generale al regime politico negli anni 2011-2013 con i processi di purga e guerra interna all'interno di questa nuova sinistra e il suo successivo addomesticamento come partito subordinato al PSOE. All'analisi e critica di questo processo di assorbimento e subordinazione della nuova sinistra, abbiamo voluto dedicare la prima di quelle che speriamo essere una lunga serie di monografie, chiamate non molto originalmente (e quasi ironicamente) «Cuadernos de Estrategia». Questo primo contributo si intitola in modo descrittivo: La restauración de la normalidad. Del 15M a los gobiernos progresistas.
Infatti, l’approdo del maggiore evento politico degli ultimi decenni (il 15M) verso questa restaurazione progressiva, insieme alla grande ondata della nuova destra che travolge il pianeta, hanno lasciato il campo della critica e la costruzione di movimenti di lotta intrappolati in dinamiche di impotenza. Crediamo che neanche i movimenti sociali siano sfuggiti a questo destino. Messi alle strette e con poca iniziativa, questi movimenti sono stati subordinati, se non sussunti, alla logica imposta dai diversi governi progressisti, che hanno steso il soffocante manto della pace sociale.
Una delle principali scommesse di questa rivista è, infatti, elaborare una critica alla «forma» movimento sociale, come paradigma di un certo tipo di politica extrainstituzionale che nasce negli anni '80 e che arriva fino ad oggi. La forma movimento sociale che qui sarà oggetto di critica è quella caratterizzata dalla sua frammentazione, dal suo narcisismo differenzialista, dalla sua propensione a riprodurre le politiche dell'identità, dalla sua tendenza al corporativismo e alle forme di istituzionalizzazione che corrispondono ad una società altamente frammentata e individualizzata. Nel complesso, cercheremo qui di considerare la scommessa su forme politiche che superino questo impasse e che non parlino solo di federazione, composizione e alleanza, ma anche di costruzione di soggetti plurali e dotati di una sorta di nuovo «universalismo negativo», capace di riunire sfruttamento e rifiuto di una politica comune.
Pertanto, ci auguriamo che «Zona de Estrategia» possa contribuire in qualche modo alla necessità di articolazione politica che sorge dalla crisi. In questo senso, prendiamo molto sul serio la necessità di «strategia», ma in una modalità che si oppone radicalmente alle premesse della sinistra rivoluzionaria convenzionale, per la quale la strategia e il senso dell'azione politica erano determinati a priori da certi modelli ereditati che, sebbene basati sulla «teoria», non sfuggivano mai a una certa ideologia di partito, se non addirittura ad una liturgia intellettuale. Secondo il nostro punto di vista, la strategia non è determinata né dall'organizzazione, né da alcuna agenzia intellettuale, né naturalmente da questa rivista ma dagli impulsi di emancipazione e trasformazione che si verificano a volte apertamente, a volte in modo sotterraneo, all'interno della stessa società in cui viviamo. In altre parole, la strategia si scopre, non si impianta.
In questo senso, crediamo sia necessario indagare sul campo, riconoscere le forme di lotta e sabotaggio sociale anche quando queste non sono pubbliche, confrontarci frontalmente con i disagi prodotti dalla crisi, le forme di proletarizzazione, impoverimento e svalutazione sociale. E da lì stabilire nuove alleanze sociali. Si tratta, come si vede, di un lavoro di esplorazione sotterranea. Ancora una volta, vogliamo trovarci e far parte della «tribù delle talpe».
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Zona de Estrategia, rivista nata in Spagna, mira a scuotere la critica e costruire strumenti di intervento che non si inchinino a nessuna forma di governo.
La scommessa è quella di fornire strumenti critici e aprire dibattiti che aiutino a spingere avanti la posizione a volte stagnante dei movimenti sociali e dell'accademismo critico.
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